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Roma, 2 giugno 2011: festa della Repubblica |
UNIRE L’ITALIA PER RENDERLA SERVA DEI FORESTIERI – riflessioni sul centocinquantenario
Di Andrea Carancini, 8 giugno 2011
Vorrei fare il punto sulle riflessioni riguardanti il 150° dell’unità d’Italia in base a quanto pubblicato finora su questo blog. Ho iniziato nel novembre 2010, pubblicando un post
sulla camorra quale
protagonista del Risorgimento partenopeo, e sul legame di quest’ultima con l’ideologia (“Ordo ab Chao”) e gli uomini (a cominciare da Liborio Romano) della
massoneria.
Ho proseguito il 19 novembre con una puntualizzazione
(contro una malevola recensione de
il Fatto Quotidiano) sulle fonti di
Terroni, il benemerito pamphlet di Pino Aprile che ha fatto da rompighiaccio,
presso il grande pubblico, contro i luoghi comuni dell’ideologia risorgimentale
.
In marzo ho pubblicato tre post
sulla negletta figura di Pellegrino Rossi, il Primo Ministro dello Stato Pontificio fatto uccidere dai massoni per impedire il progetto dell’Italia federale voluto da Pio IX e da Ferdinando II di Borbone.
In un successivo post
, il 23 marzo, sottolineavo l’elemento di continuità tra il terrorismo italiano dell’800 e quello del 900:
“l’eliminazione degli esponenti riformatori, e tutto ciò a beneficio di chi vuole “L’Italia serva dei forestieri”, come scrisse a suo tempo proprio il Rossi. Forestieri che nell’800 coincidevano, in gran parte, con l’impero britannico e, dalla seconda metà del ‘900, con l’impero americano”.
L’Italia serva dei forestieri…
Questo il senso della mission risorgimentale. Una significativa conferma in tal senso è venuta dalla notizia, pubblicata qualche settimana fa da il Giornale, del dispaccio con cui il ministro degli Esteri inglese dell’epoca, Lord Russell, comunicava il rifiuto di aderire alla proposta francese di un blocco navale contro i Mille di Garibaldi:
“Il 18 agosto Garibaldi poteva così approdare indisturbato nei pressi di Reggio Calabria e iniziare la sua travolgente marcia verso Napoli, grazie alle dichiarazioni di Palmerston dove si rendeva noto che un intervento ostile della squadra francese sarebbe stato considerato
un attentato contro gli interessi strategici inglesi. In questo modo l’Italia compiva la sua unificazione da Torino a Palermo.
Londra si assicurava,
invece,
un vero e proprio protettorato sul nuovo Stato mediterraneo che, da quel momento, per l’estensione stessa delle sue coste, sarebbe restato esposto al ricatto della potenza navale britannica”.
Una prima conclusione può essere tratta da questi fatti: la “sovranità limitata” (concetto sul quale, a partire dal secondo dopoguerra, sono stati versati fiumi d’inchiostro) del nostro paese non nasce nel 1945 ma è già realtà nel 1861.
Conviene oggi all’Italia il federalismo?
Una seconda conclusione può essere poi tratta dalla questione del
federalismo, cui ho dedicato la riesumazione di due importanti articoli di Robert Musil
.
La d
omanda è:
conviene, oggi, all’Italia il federalismo? No: per l’Italia, così com’è, può valere solo il centralismo, e questo per le stesse ragioni esposte a suo tempo dal grande scrittore. Per l’ammissibilità del federalismo,
“deve sussistere una chiara e forte tendenza all’azione comune delle singole parti affinché il sistema federativo sia possibile. Là dove le singole parti tendono a divergere, la forza di coesione della costituzione federativa è troppo debole per sostenere lo Stato. Il vincolo si allenta sempre più e alla fine rimane soltanto la forma, che deve forse la propria consistenza più che altro alle condizioni esterne. Ma in caso di effettive complicazioni esterne la coesione si fa incerta. Perciò, quando un’entità politica viene a trovarsi in una situazione di pericolo, in mezzo a vicini che hanno delle mire sul territorio dello Stato, e quando qualcuna delle sue componenti non si sente incondizionatamente legata al tutto, quell’entità farebbe veramente una politica suicida se indebolisse se stessa mediante una costituzione federalistica”.
Musil pensava all’Austria del 1917 ma le sue considerazioni calzano a pennello anche all’Italia di oggi, afflitta dalla truffa del “federalismo” leghista
. Ma allora, se quello leghista è una truffa, quand’è che è possibile un vero federalismo? Diamo ancora la parola a Musil:
“Se le singole parti, di propria spontanea volontà, perché vi si sentono portate, per comunanza di stirpe o per esperienza storica, tendono ad una unione che tuteli nel modo migliore gli interessi comuni, allora conviene senz’altro il federalismo. Ma se fra le singole parti ci sono aspirazioni tese alla piena indipendenza o all’unione con altri, allora solo un forte centralismo è in grado di conservare la coesione comunitaria”.
Queste condizioni si verificarono in Italia nel 1848, con il predetto tentativo federalista del Papa e di Ferdinando II, ispirato appunto alla “spontanea volontà, alla comunanza di stirpe e agli interessi comuni”. Il progetto venne però respinto dal Piemonte, che si preparava già alle future invasioni e annessioni.
Allora, invece della (vera) concordia e della (vera) fratellanza, avemmo le aggressioni proditorie, la violenza e la colonizzazione del sud spacciate per “liberazione dai tiranni”. Un po’ come sta avvenendo in questi giorni con la Libia.
La Libia del 2011 come il Regno delle Due Sicilie del 1860?
Alcune similitudini vi sono. La prima è data dal carattere
proditorio delle due aggressioni. Così come il Regno di Napoli venne invaso dal Piemonte
senza dichiarazione di guerra, così la Libia ha incominciato a subire i bombardamenti
anche dall’Italia senza
che il Trattato di amicizia tra i due paesi fosse stato da noi denunciato.
La seconda similitudine è data dal fatto che le due aggressioni sono state precedute e “giustificate” presso l’opinione pubblica da un’analoga campagna di menzogne: al Regno di Napoli quale “negazione di Dio”, secondo l’espressione di Lord Gladstone
, fanno riscontro le fandonie
sulle presunte fosse comuni e sulle stragi perpetrate dal regime di Gheddafi.
Una terza similitudine è che, una volta tolto di mezzo Gheddafi, il Mediterraneo sarà non più il Mare nostrum dei popoli che vi si affacciano, con pari dignità e diritti, ma uno spazio NATO, così come nel 1860 – tolta di mezzo la marina borbonica – divenne uno spazio dominato dalla Royal Navy.
La quarta similitudine è la malripagata clemenza dei capi di stato presi di mira: i nemici interni dei Borbone nell’800 così come di Gheddafi oggi hanno in comune il fatto di essere rivoluzionari e terroristi già graziati dai propri governanti, con la promessa della rinuncia alla lotta armata.
Come scrisse all’epoca Giacinto De Sivo, per i fatti del 1848 partenopeo, “I graziati pagarono la regia clemenza, con più fere congiurazioni; le pene durarono poco; e tutta quella mostra risolta in rumore, servì a ponte di rivoluzione. I condannati atteggiati a martiri, furono poscia nel susseguito trionfo implacabili flagelli alla misera patria”
.
E ancora: “Innumerevoli grazie facevansi a condannati: nessuno ebbe morte. In novembre del 51 otto nelle provincie fur salvi dal capestro, e ben quaranta ebbero diminuzione agli anni di ferri…si rifaceva la gendarmeria abolita nel 48, nella quale ripullulò la mala semenza, stante tarlo del reame”
.
A questo punto invito i lettori a confrontare i predetti brani da un lato con il post da me pubblicato il mese scorso:
Davvero Gheddafi è un “dittatore sanguinario”?, nel quale ho dato ampio risalto alla politica conciliativa del Raìs nei confronti dei suoi nemici interni, a cominciare dalla seguente notizia, del 2010:
“La Libia libera 214 islamisti, incluse tre figure di vertice, che avevano combattuto per uno stato islamico” e, dall’altro, con i ragguagli pubblicata due mesi fa dal
Wall Street Journal:
“Due ex mujahiddin afghani e un detenuto imprigionato per sei anni a Guantanamo si sono messi in luce nella campagna militare di questa città [Darna], addestrando nuove reclute per il fronte e per proteggere la città da infiltrati legati al colonnello Gheddafi…
Abdel Hakim al-
Hasadi, un influente predicatore islamico e insegnante di liceo che trascorse cinque anni in un campo di addestramento nell’Afghanistan orientale, supervisiona il reclutamento, l’addestramento e l’impiego di circa 300 ribelli combattenti di Darna…
Sufyan Ben Qumu, un veterano dell’esercito libico che lavorò per la holding di Osama bin Laden in Sudan e in seguito per un istituto di beneficenza legato ad al Qaeda, sta addestrando molte delle reclute dei ribelli della città…
Entrambi vennero rilasciati nel 2008 da prigioni libiche, nell’ambito di una riconciliazione in Libia con gli islamisti”.
Cosa risulta da tutto ciò? Intanto, l’indubbia superiorità morale di questi vituperatissimi “tiranni” (i Borbone ieri, Gheddafi oggi), a fronte dei quali i loro nemici (l’impero inglese ieri, l’impero americano oggi) fanno la figura dei gangster, e della peggiore specie.
E la nostra classe dirigente? Fellona da 150 anni, e, oggi, persino più di 150 anni fa: allora perdemmo il Mediterraneo, oggi lo perdiamo di nuovo con danni incalcolabili non solo per una popolazione (anche) da noi proditoriamente bombardata
ma per i nostri stessi interessi, come ha documentato un articolo di Giancarlo Chetoni che andrebbe fatto leggere in tutte le scuole
.
150 di (Doppio) Stato italiano
Torniamo all’articolo del
Giornale, citato all’inizio di questo pezzo, sul vero volto del Risorgimento italiano. Ogni tanto infatti questo fogliaccio del Potere italico, come pure – benché più raramente – lo stesso
Corriere della Sera, pubblicano degli articoli di veritiere rivelazioni storiche, che vanno in direzione contraria alla vulgata da loro quotidianamente propinata. Perché lo fanno? Si tratta di quella che Michael Hoffman ha definito la “Rivelazione del Metodo”
.
Che cos’è la Rivelazione del Metodo? Il Potere, quando è sicuro della presa del consenso sui propri sudditi, fornisce col contagocce delle rivelazioni sui propri misfatti, rivelazioni che, quantitativamente, sembrano delle inezie nel mare della disinformazione dominante, e che non turbano il rumore di fondo assuefatore delle coscienze.
Gocce d’acqua solo in senso quantitativo, però, perché hanno la funzione di esercitare un’influenza subliminale sui dominati: lo scopo è quello di far accettare che i dominanti sono dei gangster e che possono permettersi qualsiasi cosa.
Nell’articolo di Hoffman l’oggetto è quello di una rivelazione del New York Times sui veri retroscena dell’11 settembre ma il meccanismo è presente anche sui nostri quotidiani di informazione.
Un esempio, oltre le ricorrenti rivelazioni sul Risorgimento, è quello del libro, con relative recensioni, di
Aldo Cazzullo su
Edgardo Sogno:
Testamento di un anticomunista. Nel detto libro, il defunto golpista Sogno, dopo
essere
stato
illo tempore assolto
da
tutte
le
accuse
di
cospirazione
, rivela, vantandosene, che nel 1974 cospirazione vi fu
…
Il fenomeno di cui stiamo parlando è quindi una sorta di omeopatia mediatica la cui funzione, nella sua somministrazione di dosi minime di verità, è quella di “guarire” le coscienze proprio dal bisogno di verità: come scrive Hoffman, si tratta “del soffocamento di massa dello spirito, dell’anima e della mente”.
Due libri di vera rottura: Terroni e Il sangue del Sud
In questo quadro desolante, in cui il controllo del potere sulle masse sembra(va) inscalfibile, è avvenuto, proprio in coincidenza con il centocinquantenario, un fatto imprevisto: l’apparizione del predetto pamphlet di Pino Aprile, con il suo successo travolgente (decine di edizioni in pochi mesi).
Un libro che ha finalmente fatto breccia nelle coscienze di un numero rilevante di meridionali, fino a quel momento del tutto all’oscuro della propria storia. Un libro che ha fatto quindi da volano all’attività di gruppi meridionalisti, come i neoborbonici, la cui attività sta diventando sempre più efficiente e capillare
.
Un volume a cui poco dopo se ne è felicemente affiancato un secondo, di analoga ispirazione revisionista:
Il sangue del Sud, il cui successo, pur meno clamoroso sul piano dei grandi numeri, è risultato altrettanto inviso ai pennivendoli di regime,
e per il taglio accademico
e per essere stato scritto da uno storico famoso come Giordano Bruno Guerri (e nella cui bibliografia, accanto alle fonti più consuete, figurano finalmente le classiche opere anti-unitarie di Padre Buttà e di Giacinto De Sivo).
Tutto ciò ha prodotto la reazione livida della grande stampa, che fino a quel momento aveva semplicemente ignorato il revisionismo storico anti-risorgimentale.
Sono venuti gli articoli denigratori del predetto Cazzullo sul
Corriere della Sera (che però si è trovato a fronteggiare una inaspettata
contraerea polemica di lettori finalmente reattivi). Contro
Terroni è stato scritto persino un contro-pamphlet –
Terronismo – che cerca di sminuire la portata di quella che ha l’indubbio carattere di una
rinascita della memoria storica duosiciliana, equiparando tale memoria al localismo degenerato dei leghisti.
Si tratta di operazioni squallide, che denotano però una novità: per la prima volta, da 150 a questa parte, i sostenitori della vulgata risorgimentale si trovano a inseguire…
Il limite politico dei neoborbonici
Come si è detto, l’attivismo
culturale dei neoborbonici è notevole (e lodevole). Il profilo della loro azione mi sembra però segnato, come avevo già segnalato a suo tempo
, da una certa miopia
politica: quella di focalizzare i propri strali contro i colonialismi passati (Garibaldi, l’impero inglese) sottacendo i colonialismi
odierni (le basi americane dislocate nel meridione).
Così, si prende di mira Pino Daniele per un’improvvida dichiarazione filo-garibaldina ma si tace sulle inquietanti, ben più gravi dichiarazioni del neo-sindaco di Napoli De Magistris:
“Abbiamo inviato una lettera attraverso il protocollo diplomatico al Presidente Obama, del quale sono un sostenitore. Napoli ha per gli Stati Uniti d’America un ruolo strategico, è la capitale del Mediterraneo e abbiamo un rapporto molto saldo”
.
Domanda: ma vi rendete conto di cosa comporta, in termini di indotto criminale, una base NATO? Un assaggino, solo un assaggino:
“E poi, ci dice qualcosa il fatto che ancora oggi in zona Casal di Principe numerose ville dei clan sono state affittate da ufficiali della Nato? Ottimi saranno stati anche i rapporti tra la base americana - quella di Grazzanise, in piena area d'influenza dei Casalesi - e Francesco Schiavone in persona: stando alle rivelazioni del cugino Carmine Schiavone, pentito, Sandokan avrebbe intrattenuto negli anni della “fuga” un love affaire non con una sola, ma con ben due avvenenti ufficiali in gonnella della vicina Us Navy”.
Conclusione: i meridionalisti stiano attenti alla scorciatoia neocon
Attenzione alle possibili commistioni con “tradizionalisti” come il prof. Roberto De Mattei, come nell’ultimo convegno tradizionalista di Civitella del Tronto
. Sarebbe davvero un peccato sprecare un momento propizio come questo facendosi irretire dai cantori dell’
Occidente (che già tanti danni hanno fatto in ambito cattolico-tradizionalista
).
Se la prospettiva di riscatto dei meridionali dovesse rimanere nell’alveo atlantico-imperialista le conseguenze sarebbero tragiche: alla fin fine, avrebbe ragione Cazzullo.