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Jean-Claude Pressac |
Jean-Claude Pressac,
chi lo ricorda più?
Una ventina d’anni fa,
il farmacista di La Ville-du-Bois, venne lanciato dai media francesi – con un’operazione
in grande stile
– come la vera star della storiografia di Auschwitz, il punto di riferimento
dell’approccio razionale e scientifico alla Soluzione Finale, lo studioso in
grado di confutare i revisionisti sul loro terreno: quello delle argomentazioni
tecniche.
Dieci anni dopo però,
alla sua morte (nel 2003) a ricordarlo – con simpatia – furono solo alcuni
revisionisti. Dai media che a suo tempo lo avevano incensato solo il silenzio
di una paradossale damnatio memoriae.
Cosa era accaduto nel
frattempo?
Era accaduta la
scomunica, lanciata nel 1995 contro lo storico francese – ritenuto troppo
audace nel predetto approccio – dal Grande Pontefice del Museo di Auschwitz,
Francziszek Piper.
Eppure il suo libro
più importante, Technique and Operation of the Gas Chambers, resta una pietra miliare, il lascito dell’unico
storico di valore che la storiografia ufficiale di Auschwitz abbia mai avuto (praticamente introvabile nell'edizione cartacea, è stato digitalizzato dalla Mazal Library):
Domanda: quanti docenti universitari, quanti contemporaneisti lo
conoscono?
Per ricordare degnamente
Pressac, traduco a seguire l’omaggio resogli nel 2003 da Germar Rudolf:
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Germar Rudolf nel 2003 |
Di Germar Rudolf
Nel maggio del 1993 c’era un gran trambusto al Max Planck
Institute per la Fisica dello Stato Solido di
Stoccarda. Uno dei suoi giovani candidati al dottorato era stato coinvolto in
uno scandalo, che stava facendo notizia in tutta la Germania. Il nome del candidato
era Germar Rudolf, l’autore di queste righe. La mia scandalosa attività
consisteva nell’aver preparato, su richiesta dei difensori del Maggior Generale
Otto Ernst Remer, un rapporto peritale sulle cosiddette “camere a gas” di
Auschwitz, in cui ero giunto alla conclusione che era fisicamente impossibile
che le gasazioni di massa avessero avuto luogo come riferito dai testimoni. Poco
dopo la Pasqua del 1993, il Generale Remer aveva inviato migliaia di copie di
questo rapporto a importanti politici, giuristi, storici, e ai vari media
tedeschi. In conseguenza di ciò, tutti i lobbisti e gruppi di pressione
immaginabili chiesero che le mie
attività di perito venissero fermate con ogni mezzo. In quella memorabile
primavera, ricevetti nel mio luogo di lavoro diverse telefonate da parte dei
vari media, il che non faceva piacere all’ufficio affari dell’Istituto.
L’identità dei chiamanti e il contenuto delle conversazioni non interessano qui,
tranne una eccezione: quando il gentleman all’altro capo del filo si qualificò
come Jean-Claude Pressac. Mi chiese il mio numero privato, che cortesemente gli
rifiutai.
Gli proposi di comunicare con me per iscritto. A ciò, egli
rispose che, per ragioni di sicurezza, preferiva non comunicare con me per
iscritto, perché per lui sarebbe stato pericoloso. Poi mi avvisò di stare in
guardia. In particolare, riguardo all’”Olocausto”, mi consigliò di non
contestare tutti i suoi aspetti in modo complessivo. Disse che nel trattare l’”Olocausto”,
la sola speranza di successo senza rischiare pericoli personali era di
attaccarlo “a spizzichi”, un aspetto alla volta.
Da quella conversazione telefonica, mi sono convinto che
Jean-Claude Pressac riteneva che noi revisionisti abbiamo ragione, in linea di
principio. Ma alla luce del potere schiacciante degli sterminazionisti giunse
presto alla conclusione che il “sistema” doveva essere combattuto dall’interno.
La sua apparente defezione in favore del “nemico” e il suo servizio alla causa
dello sterminazionismo fu la sua versione della tattica del salame. Il suo
piano era di usare il sistema per ottenere una concessione dopo l’altra.
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L'ultima edizione del Rapporto Rudolf |
Se consideriamo le sue pubblicazioni in ordine cronologico,
è ovvio che ad ogni pubblicazione Pressac si avvicinava all’uno o all’altro
aspetto del revisionismo. Il suo primo passo fu semplicemente di rendere
possibile un dibattito pubblico sull’argomento; il secondo, di far riconoscere
al “sistema” la priorità delle prove scientifiche rispetto alle testimonianze
oculari; il terzo, di costringerlo a riconoscere le contraddizioni inerenti a
tali testimonianze. Ad ogni nuova pubblicazione riduceva anche il numero delle
vittime, mentre la sua valutazione delle testimonianze oculari diventava sempre
più critica. Infine, dopo aver attaccato le fondamenta stesse del “Mito di Auschwitz”,
volse la sua attenzione agli altri cosiddetti “campi di sterminio” (vedi p. 431).
Dopo la pubblicazione del suo secondo libro nel 1993, si
deve essere gradualmente spaventato, poiché le successive revisioni del libro
gli portarono molti nemici. La sua conversazione telefonica con me non fu il
solo luogo dove rivelò le sue paure. Carlo Mattogno riferisce che all’epoca [Pressac] ruppe tutti i contatti con lui. Il prof. Faurisson riferisce che [Pressac] fu prossimo al crollo durante il processo a Faurisson del 1995,
quando implorò il giudice di esonerarlo dal rispondere alle domande di
Faurisson:
“Dovete capire che ho
soltanto una vita. Dovete capire che sono solo nella mia battaglia”.
Si rifiutò di testimoniare perché vedeva chiaramente che era
completamente isolato e che la sua vita era in pericolo. La sola spiegazione
per tutto ciò è il fatto che una dichiarazione sincera di fronte alla corte
francese avrebbe avuto dure conseguenze poiché sarebbe stata di tipo
revisionista.
E così, anche se i suoi scritti sono scientificamente
sospetti, Pressac è stato finora senza dubbio il revisionista di maggior
successo da un punto di vista politico. In realtà, era il nostro agente doppio.
Grazie mille, Jean-Claude!