Ezra Pound: fascista o revisionista?

Il mio intervento di domenica sull’(indebita) appropriazione del nome di Ezra Pound da parte dei fasci di “CasaPound”[1] ha suscitato le risposte di due gentili lettori (fascisti) del mio blog, risposte che mi spingono ad un’ulteriore precisazione, stante l’indubbio interesse dell’argomento. La domanda è: Ezra Pound era fascista?

Non proprio, a mio avviso, e provo a spiegare perché. Innanzitutto, non si può dire che Pound fosse antidemocratico e ostile alla democrazia in quanto tale. Non rimproverò a Roosevelt di essere fedele alla Costituzione americana, ma di averla violata. Cito a tal proposito un brano tratto dall’interessante libro di Piero Sanavio LA GABBIA DI POUND[2], relativo al soggiorno coatto al Gallinger Hospital (1945):

“Sosteneva che aveva sempre voluto «salvare la Costituzione» e a ciò i medici: perché salvare la Costituzione? Da chi? E…l’aveva poi salvata? Ancora (i medici): capiva in che situazione si era ficcato? Si rendeva conto dei pericoli ai quali si era esposto? Sapeva cosa significasse…? A queste nuove domande Pound, invariabilmente esplodeva. Lo aveva scritto nei suoi libri, lo aveva detto da Radio Roma, cosa significasse «salvare la Costituzione»: governo del popolo, rappresentatività nel Congresso, lotta contro l’usura e le speculazioni sull’oro”.

Un programma mi sembra, più da sincero democratico che da “fascista”.

Secondo punto, dimenticato dai più (non solo dai fascisti): la grandiosa polemica di Pound contro l’usura, i banchieri (ebrei e non ebrei) e il bellicismo delle democrazie anglosassoni non riguarda solo la seconda guerra mondiale ma anche la prima. Prende infatti le mosse proprio dalle cause (e dagli esiti) di quest’ultima:

“However, this optimism was brought to a premature end by the First World War which shattered Pound's belief in Western civilisation. His disillusionment is immediately apparent in the satire of Hugh Selwyn Mauberley. Most significantly though, the fall-out from the War prompted Pound to begin work on The Cantos, the epic sequence that was to occupy him for the rest of his life”[3].

Traduzione: “Tuttavia, questo ottimismo finì prematuramente a causa della prima guerra mondiale, che distrusse la fede di Pound nella civiltà occidentale. La sua disillusione è immediatamente evidente nella satira di Hugh Selwyn Mauberley. Il dato più significativo è però che la ricaduta negativa della guerra spinse Pound a iniziare a lavorare sui Cantos, l’epica sequela che lo occupò per il resto della sua vita”.

Alla luce di tutto ciò, ribadisco che chi, in nome di Ezra Pound, va a fare piazzate per un monumento come quello “alla Vittoria” di Bolzano mistifica e tradisce il retaggio del poeta.

Ripeto: il fatto che a suo tempo Pound ammirasse Mussolini non è un motivo sufficiente per definirlo fascista. Fornirò un ulteriore motivo di riflessione, desunto dall’attualità. Prendiamo le rivolte in corso nei paesi africani. Confrontate al riguardo le posizioni di due noti giornalisti di quell’area genericamente definibile di “contro-informazione”. Intendo riferirmi a Maurizio Blondet e a Alberto Mariantoni.

Confrontate, da un lato, gli articoli di Blondet “E se fosse una rivolta contro il capitalismo globale?”[4] e “La vera bomba atomica”[5] e, dall’altro, gli articoli di Mariantoni “Crisi libica o attacco all’Italia”[6] e “Tunisia e Egitto: Tutti contenti e coglionati”[7].

Il paragone è ostacolato dal motivo squisitamente pratico che Blondet scrive su un sito a pagamento. Gli incipit dei due articoli sono però sufficienti a capire la diversità di impostazione. Per Blondet, l’attuale rivolgimento è, tendenzialmente, non solo globale – e, quindi, non riducibile alle sole popolazioni arabe – contro il capitalismo (anch’esso globale) ma anche, potenzialmente, anti-israeliano. Per Mariantoni, le rivolte in Egitto e Tunisia sono “taroccate”, e sono taroccate perché, evidentemente, chi si ribella non solo per il pane ma anche per i propri diritti non va preso sul serio. Nel migliore dei casi è un fesso e nel peggiore un provocatore.

Blondet viene spesso definito dagli antifa e dai comunisti quale “fascista” o “clerico-fascista”. In realtà, Blondet è un cattolico sicuramente (molto) di destra ma non è “fascista”: è, appunto, “poundiano”. Un analista che può, incidentalmente (come fece Pound) elogiare certi aspetti sociali del fascismo ma che ad esso non è ascrivibile e questo per un motivo, tra quelli individuabili, molto semplice: perché non ne condivide il tipico disprezzo per le masse (“Governare gli italiani non è difficile, è inutile”, Benito Mussolini) quel disprezzo che invece nutre l’analisi pletoricamente erudita ma in fondo miope di quel vecchio fascistone neopagano di Mariantoni.

Tornando a Pound: se proprio vogliamo trovargli una definizione, più che fascista io lo definirei proprio, guarda caso, revisionista. Revisionista nel senso originario del termine, quello a suo tempo ricordato da Serge Thion nella sua BREVE STORIA DEL REVISIONISMO[8]: “Coloro che ritenevano che il Trattato di Versailles fosse profondamente cattivo e ingiusto e che avrebbe dato luogo a catastrofi di ogni sorta…”Revisionista” voleva dunque dire critico della formula politica che poneva fine alla Grande Guerra e ai suoi orrori. Questa critica era contagiosa. Inevitabilmente essa conduceva alla messa in discussione delle ragioni dello scoppio della guerra”.

Altro che monumento alla “Vittoria”! 


[2] Fazi Editore, 2005, pp. 39-40.