La sorpresa
 

Opera, 25 febbraio 2014
Una sorridente e compiaciuta giornalista del TG3 aveva informato i telespettatori che “stasera la Corte di cassazione metterà fine al processo per la strage di Brescia”.
Il giorno precedente, la stampa, TG3 compreso, aveva dato notizia che il procuratore generale della Corte di cassazione aveva chiesto l’annullamento della sentenza assolutoria per Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi e Maurizio Tramonte, ma tanto non aveva scosso la sicumera dei giornalisti del TG3, fra i quali spicca la moglie di Felice Casson, sulla volontà dei giudici della Cassazione di chiudere definitivamente il capitolo giudiziario sulla strage di Brescia del 28 maggio 1974 con il passaggio in giudicato delle assoluzioni di tutti gli imputati dell’ultimo processo.
Invece, a sorpresa, la Corte di cassazione, forse complice la possibilità che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si potrà recare a Brescia il 28 maggio 2014 per commemorare il 40° anniversario dell’infame strage, si è ricordata che la legge dovrebbe essere uguale per tutti, compresi i collaboratori dei servizi segreti italiani e stranieri imputati per strage.
La Corte di cassazione, in questa occasione, ha rilevato quanto aveva con estrema disinvoltura ignorato in altri processi per strage compreso quello per l’eccidio di piazza Fontana, a Milano, del 12 dicembre 1969.
Ha cioè constatato che se la Corte di assise di appello di Brescia ha ritenuto colpevoli di concorso nella strage del 28 maggio 1974 Carlo Digilio e Marcello Soffiati, amici fraterni, colleghi fedeli e soprattutto ubbidienti subalterni dell’ispettore triveneto di Ordine nuovo, Carlo Maria Maggi, quest’ultimo non poteva essere riconosciuto estraneo al delitto.
In questa occasione, la formula che il capo poteva non sapere non è stata raccolta e fatta propria dalla Corte di Cassazione che ha, di conseguenza, disposto un nuovo processo di appello a carico di Maggi e del suo collega Maurizio Tramonte questa volta, purtroppo, a Milano.
Il mondo politico e giornalistico filo-stragista hanno avvertito il colpo.
Il TG3 non ha più dedicato una parola alla decisione della Corte di cassazione nelle sue edizioni nazionali, mentre il TG5 ha reagito con livida rabbia presentando Carlo Maria Maggi come un uomo “vecchio e malato”, e ovviamente, per sottolinearne l’innocenza, “tirato in ballo dai pentiti”.
In realtà, gli amici e i difensori del personaggio avrebbero potuto sottolineare la sua “sfortuna” o la sua patologica “ingenuità” perché mai, poveraccio, si era reso conto di essere circondato da confidenti dei servizi segreti italiani e stranieri e da stragisti.
Per sua disgrazia, Carlo Maria Maggi aveva come amico fraterno e fidato collega Giancarlo Rognoni, condannato per la mancata strage sul treno Torino-Roma del 7 aprile 1973, insieme ai suoi sodali Nico Azzi, Mauro Marzorati e Francesco De Min.
Aveva come amico fraterno e fidato collega Carlo Digilio, condannato dalla Corte di assise di appello di Milano per concorso nella strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, e riconosciuto colpevole, post mortem, dalla Corte di assise di appello di Brescia di concorso nella strage, a Brescia, del 28 maggio 1974.
Il Maggi, inoltre, si onorava di avere come amico fraterno e fidato collega Marcello Soffiati, riconosciuto anch’egli colpevole dalla Corte di assise di appello di Brescia di concorso nella strage di piazza della Loggia del 28 maggio 1974.
Giancarlo Rognoni era, a tutti gli effetti, un dipendente del comando carabinieri della divisione “Pastrengo” a Milano; Carlo Digilio era un informatore della Central intelligence agency (Cia) a Venezia; Marcello Soffiati era, a sua volta, un confidente del Sisde, con il criptonimo “Eolo”.
Con costoro, Carlo Maria Maggi divideva vino, donne e canti, ma non si era mai accorto in anni ed anni di intima amicizia che fossero dipendenti dei carabinieri e dei servizi segreti militari e civili italiani e americani.
Men che mai, si era dato conto che svolgevano l’attività di stragisti di Stato partecipando ad un eccidio qui e ad un massacro là.
Per finire, è doveroso sottolineare che erano i suoi subalterni in “Ordine nuovo”, perché era lui, Carlo Maria Maggi, l’ispettore triveneto dell’organizzazione, cioè il capo che impartiva gli ordini.
Agli “ordinovisti” veneti sono ormai attribuite, con sentenze passate in giudicato, le stragi di piazza Fontana, a Milano, del 12 dicembre 1969; di via Fatebenefratelli, a Milano, del 17 maggio 1973; di piazza della Loggia, a Brescia, del 28 maggio 1974.
A guidarli, in nome e per conto di Pino Rauti, c’era sempre lui: Carlo Maria Maggi.
Per gli italiani che non collaborano con i servizi segreti italiani e stranieri né sono indagati od imputati per strage, esiste il “concorso morale” che ha consentito tante volte alla magistratura di condannare persone senza che a loro carico ci fossero elementi probatori o, addirittura, indiziari ma solo per la constatazione dei rapporti gerarchici, ovvero che il “capo” non può essere estraneo a quanto compiono i suoi subalterni, almeno non quando il suo gruppo agisce in ambito locale, circoscritto nel numero, e non in quello nazionale che può raggruppare alcune migliaia di aderenti non tutti e non sempre controllabili.
Insomma, il teorema giudiziario che ha salvato Pino Rauti, capo di “Ordine nuovo”, ritenuto dalla magistratura eternamente all’oscuro di quanto facevano i suoi dirigenti nazionali e periferici, non poteva valere per Carlo Maria Maggi che operava nel ristretto ambito del Veneto e, in modo specifico, in quello di Venezia.
Al gruppo diretto da Carlo Maria Maggi sono, quindi, attribuite con assoluta certezza sul piano giudiziario e storico ben tre massacri, per due dei quali sono stati riconosciuti colpevoli i suoi due amici più fidati, Carlo Digilio e Marcello Soffiati, ma lui, il “capo” è rimasto fino ad oggi ai margini, esentato sia pure con il beneficio del dubbio da ogni condanna.
Sarà cosi anche nel futuro processo in Corte di assise di appello a Milano?
Non possiamo escluderlo.
Il nome di Carlo Maria Maggi evoca il servizio segreto israeliano, quello di cui nessuno osa parlare in questo Paese dove anche la basilica di San Pietro, a Roma, è stata trasformata in sinagoga da Francesco l.
Si può parlare, sottovoce, della Cia, dei servizi segreti italiani, di quelli francesi, greci, spagnoli ecc. ma non è consentito richiamare l’attenzione sulla presenza del Mossad israeliano nell’ambiente stragista italiano.
Il sospetto che le “stragi fasciste” italiane siano in realtà state ispirate da quegli israeliani che, sui massacri indiscriminati dei civili arabi, hanno fondato il proprio Stato, non è permesso.
Il dubbio che gli israeliani abbiano coniugato le necessità della guerra politica anticomunista con l’odio contro il fascismo, debitamente sporcato con l’accusa di stragismo, è però legittimo e fondato.
La mobilitazione politica, giornalistica e giudiziaria per difendere gli ordinovisti veneti e Carlo Maria Maggi dalle accuse che venivano loro rivolte, scattata con puntualità dal momento in cui il giudice istruttore Guido Salvini ha iniziato ad indagare su di loro, chiarisce a sufficienza quale sia stato il ruolo di questi individui nella storia italiana.
Fallito il sabotaggio giudiziario organizzato fra Milano e Venezia contro l’inchiesta di Guido Salvini, i difensori degli stragisti devono ora affidarsi solo a quello giornalistico e politico.
La “Milva”, come la chiama con l’eleganza che gli è propria il più screditato ex magistrato d’Italia, Felice Casson, agisce nella redazione del TG3, mentre il marito fa quel che può dal suo seggio di sherpa senatoriale del Partito democratico.
Altri, insieme a loro, si agitano per chiudere sul piano giudiziario il capitolo dello stragismo di Stato, ma il loro attivismo non impedisce alla verità di farsi lentamente strada nelle menti e nelle coscienze degli italiani.
La disinformazione giornalistica che pretende che in Italia le stragi siano “senza colpevoli” (tesi del T g3 di Bianca Berlinguer), che Carlo Maria Maggi sia un povero vecchio “tirato in ballo dai pentiti” (affermazione del TG5), che Franco Freda e Giovanni Ventura siano innocenti, che Carlo Maria Maggi ed i suoi colleghi siano “estremisti di destra” e non confidenti, a pagamento, dei servizi segreti, inizia a mostrare i segni dell’usura.
La verità, la cui affermazione definitiva si pretende di ritardare a tempo indefinito, è ormai accertata ed accettata da quanti non dipendono solo dai telegiornali e dai quotidiani nazionali.
Il 5 febbraio 1998, “Il Manifesto” pubblicava le dichiarazioni del giudice istruttore Carlo Mastelloni, lo stesso al quale Giulio Andreotti sottrasse l’inchiesta sulla struttura denominata “Gladio” per affidarla nelle mani di Felice Casson, sul conto degli ordinovisti veneti:
“Il Triveneto è un tessuto composto da vari servizi di sicurezza appartenenti ad enti americani anche di diversa matrice. Dagli anni Sessanta in poi, ufficiali delle basi Nato italiane hanno coltivato rapporti con elementi di Ordine nuovo. Questi signori inizialmente avevano solo l’incarico di sorvegliare e riferire sulle sparizioni di materiali anche radioattivi o coperti dal segreto militare ma nel tempo sono diventati coprotagonisti dello stragismo, verosimilmente manovrati, contemporaneamente, anche dai nostri servizi militari”.
Sul letamaio politico, umano e morale che ha agito in Veneto sotto il simbolo di Ordine nuovo non ci sono più dubbi, da tanti anni, così che ora bisogna alzare il tiro sul letamaio che lo occulta agli occhi dell’opinione pubblica italiana.
La battaglia, difatti, non è più quella di cercare l a verità, bensì quella di far conoscere quest’ultima agli italiani, a tutti gli italiani ai quali mancano gli strumenti informativi per apprenderla.
Se il letamaio controlla televisioni e giornali, Internet può essere l’arma decisiva per diffondere la verità che non poggia su opinioni ma su fatti la cui veridicità non può più essere contestata.
Per parteciparvi servono solo coraggio e dignità.
Vincenzo Vinciguerra