Carlo Mattogno: Arthur Butz e i "gas detectors" di Auschwitz

OSSERVAZIONI  SULL’ARTICOLO DI A. BUTZ “GAS DETECTORS IN THE AUSCHWITZ CREMATORIUM II”.
(Versione riveduta, corretta e aggiornata dell’articolo Critique of the A.R. Butz article, “Gas Detectors in Auschwitz Crematorium II” pubblicato in inglese da Russell Granata nel 1998, ora nel sito
http://www.codoh.com/viewpoints/vpmatbutz.html)

Nel numero di settembre-ottobre 1997 (vol. 16, n. 5)  di The Journal of Historical Review  è apparso un articolo di Arthur Butz  intitolato A “Criminal Trace”? Gas Detectors in Auschwitz Crematory II (pp. 24-30) che vale la pena di esaminare. Lo scritto verte su due documenti della Zentralbauleitung di Auschwitz trovati a Mosca da Jean-Claude Pressac: il telegramma alla Topf del 26 febbraio 1943[1], contenente la richiesta di  «10 Gasprüfer» e la lettera, indirizzata parimenti alla Topf,  del 2 marzo 1943, che menziona degli «Anzeigegeräte für Blausäure-Reste»[2].
Per Pressac questi due documenti, in particolare il secondo, costituirebbero la «prova definitiva dell’esistenza di una camera a gas omicida nel crematorio II» di Birkenau[3].  Nel quaderno I Gasprüfer di Auschwirz. Analisi storico-tecnica di una “prova definitiva”[4], in cui ho pubblicato, tra l’altro, questi due documenti, ho dimostrato che l’interpretazione di Pressac – secondo la quale  i Gasprüfer e gli Anzeigegeräte für Blausäure-Reste erano «rivelatori» di acido cianidrico destinati alla presunta camera a gas omicida – è  in realtà completamente infondata.
Riguardo a questi documenti,  Butz  formula un’ipotesi indubbiamente originale, ma parimenti inconsistente,  che egli  riassume nel modo seguente:
«È certo che la lettera della Topf non ha nulla a che vedere con lo Zyklon B. È quasi certo che il pericolo dell’ HCN [acido cianidrico] cui si riferisce, proveniva dall’inceneritore dei rifiuti. Sarebbe sorprendente se si mostrasse che non era così. È probabile che i rivelatori di HCN furono richiesti a causa del potenziale pericolo di sviluppo di HCN nella combustione di tessuti, in particolare rayon trattato con ritardanti di fiamma. Comunque sono lungi dall’essere certo di ciò e non mi stupirei se si mostrasse che altri materiali consumati nell’inceneritore fossero sospettati dalla Zentralbauleitung di Auschwitz di essere fonti potenziali di sviluppo di HCN (p. 28).
Un’ipotesi, se non vuole essere una sterile esercitazione dialettica, deve trovare un riscontro oggettivo nella realtà o nei documenti; l’ipotesi di Butz  si basa  invece su  alcuni  presupposti fondamentali – inquadrati in una serie di presupposti  secondari concatenati   che sono tutti documentariamente  e   storicamente infondati. I presupposti fondamentali –  la cui infondatezza infirma radicalmente già in partenza l’ipotesi di Butz –  sono:
·      L’esistenza di Anzeigegeräte für Blausäure-Reste;
·      L’identità tra  Anzeigegeräte für Blausäure-Reste e Gasprüfer;
·      L’identificazione di Anzeigegeräte für Blausäure-Reste e Gasprüfer con i «rivelatori» di acido cianidrico, ossia con gli apparati per eseguire la prova del gas residuo per acido cianidrico (Gasrestnachweisgeräte für Zyklon);
·      Il collegamento commerciale della Topf  con l’acido cianidrico e
·      l’esistenza  nel 1943 di un  «rivelatore di gas» (gas detector)  per acido cianidrico diverso dal “Gasrestnachweisgerät” standard secondo il procedimento chimico di Pertusi e Gastaldi.
Tali questioni sono illustrate sinteticamente nel mio articolo Arthur Butz e “Auschwitz: The case for Sanity”: Una recensione non propriamente spassionata pubblicato in questo sito.

Per maggiore chiarezza, espongo e critico le congetture di. Butz nel loro ordine logico.

1)  Dalla combustione di nylon e lana si può formare acido cianidrico, «fatto che era conosciuto dagli anni Trenta» (p. 26).
Questa affermazione non è documentata da Butz.

2) (a) «La combustione di rayon può produrre gas HCN se il rayon è impregnato con composti di ammoniaca, ma non chimicamente legato ad essi, la quale fornisce l’azoto necessario. Ciò fu accertato alcuni anni fa da T. Morikawa, il quale  eseguì esperimenti che stabilirono che l’ammoniaca e i suoi composti, combinati con “materiali cellulosi”, possono in effetti dar luogo alla formazione di HCN quando vengono bruciati» (p. 27).
 (b) «Di fatti la Germania faceva  molto assegnamento sulla manifattura del rayon e durante la guerra le uniformi dell’esercito contenevano il 65% di rayon. Si deve presumere che le uniformi dei campi di concentramento e altri tessuti usati nei campi avessero un alto contenuto di rayon» (p. 27).
(c)  «Sebbene non sia in possesso di un documento che lo affermi, considero molto plausibile che molti tessuti per i campi di concentramento fossero trattati con ritardanti di fiamma per ragioni di sicurezza, cioè per limitare gli effetti di incendi partiti da detenuti» (p. 27).
A queste affermazioni si può obiettare quanto segue:
(a)  Il fatto che la combustione del rayon impregnato di una sostanza «ritardante di fiamma» (il «fosfato di diammonio»)  generi HCN è stato scoperto solo  qualche decennio fa. Butz rimanda a  studi tecnici pubblicati tra il 1977 e il 1987; T. Morikawa ha pubblicato i risultati dei suoi esperimenti nell’agosto 1978. È dunque evidente che i Tedeschi non potevano avere questa preocupazione nel 1943.
(b) e (c)  Butz espone semplici congetture che  non sono suffragate  neppure da un vago indizio.

3) (d) «Mentre la preoccupazione per lo sviluppo di HCN nella combustione oggi è routine, nel 1943 sarebbe stata nuova, fatto che potrebbe spiegare la novità, per Prüfer, del desiderio di un rivelatore per HCN» (p. 27). 
  (e)  «Un’altra cosa che potrebbe giustificare questa novità è che il progetto dell’incineratore per i rifiuti era esso stesso nuovo» (p. 27). 
  (f) «Non ho una conoscenza peritale in questo campo, ma, intuitivamente, penserei che il progetto di un incineratore che condivida il camino con altri impianti ai quali lavorino delle persone, sia pericoloso» (p. 27).
L’affermazione (d) è in contrasto con l’affermazione  (1): se la cosa era nota fin dagli anni Trenta,  non poteva rappresentare una novità nel 1943.
L’affermazione (e) è storicamente falsa: il “Müllverbrennungsofen MV” installato nel crematorio II  non era affatto «nuovo», ma un modello sperimentato che era in vendita già da  parecchi  anni. Esso è descritto in un opuscolo pubblicitario della Topf  (senza data ma risalente sicuramente al 1940) intitolato “Topf Abfall-Vernichtungs-Ofen” (Forno Topf per la distruzione dei rifiuti)  insieme ad altri tipi (forni per la distruzione dei rifiuti AV1 e AV2, forni per la distruzione degli sputi, dei cavi, dei materassi, delle corone funebri).  In quest’opuscolo non c’è il minimo accenno al pericolo di sviluppo di HCN dalla combustione dei rifiuti (che erano di ogni tipo) e alla necessità di un “rivelatore di gas”  per  la sicurezza del personale. Nell’ultima pagina vi è un lungo elenco dei clienti della Topf in questo  settore  con i nomi di un’ottantina di istituti pubblici. Nell’opuscolo appare  inoltre la fotografia di un operaio addetto ad un “Forno Topf per la combustione di materassi della città di Müllbeseitigung, Berlino” mentre si accinge, senza alcuna precuazione particolare, a  caricare nel forno un materasso di lana[5].
Nel campo della distruzione dei rifiuti di ogni tipo, la ditta che deteneva il primato commerciale in Germania era la Hans Kori di Berlino, la quale, fino al 1937, aveva venduto 3.500  impianti, come risulta da un opuscolo pubblicitario di quell’anno[6]. Il “Müllverbrennungsofen MV” della Topf  era chiaramente ispirato all’ “Ofen mit doppelten Verbrennungskammern” (forno con doppia camera di combustione) della ditta Kori. Neppure  in questo opuscolo appare il minimo  accenno al pericolo della formazione di acido cianidrico dalla combustione di rifiuti speciali.
L’affermazione (f)  è metodologicamente sorprendente: che cosa bisognerebbe pensare di chi, pur ammettendo  di non essere esperto di camere a gas e gasazioni, pretendesse  «intuitivamente» che il Leichenkeller 1 del crematorio II fosse una camera a gas omicida?  Sulla realtà del presunto pericolo ritornerò successivamente.

4)  «L’inceneritore per i rifiuti fu parimenti fornito dalla ditta Topf e Prüfer avrebbe potuto avere la responsabilità di prendere in considerazione qualunque pericolo da esso derivante. Sembrerebbe dunque adatto un rivelatore di gas diverso da quello impiegato nelle operazioni di disinfestazione con lo Zyklon; forse si desiderava  un rivelatore che producesse un allarme sonoro» (pp. 26-27).
Questo è uno dei due presupposti fondamentali sui quali si regge l’ipotesi di A. Butz ed è anche il suo punto più debole: un tale “rivelatore di gas” infatti all’epoca non esisteva. Proprio per l’importanza essenziale di questo punto,  Butz non può limitarsi a fare un’affermazione arbitraria e infondata: egli non può  ridursi a dire che un tale “rivelatore di gas”  poteva esistere, ma deve dimostrare che esisteva realmente.

5)      «L’autore non fornisce fonti, ma penso che l’affermazione di un tale coinvolgimento della Topf coll’HCN, presumibilmente tramite Zyklon, sia del tutto plausibile» (p. 25).
Questo è l’altro presupposto fondamentale di A. Butz. La fonte di questa informazione è «un libro antirevisionistico a favore di Pressac pubblicato in Francia all’inizio del 1997» di un tale Jean-François Forges il quale ha scritto in una nota (senza alcun riferimento alla fonte) che la Topf, negli anni Venti, costruiva silos per il grano e che «nei servizi post-vendita e di manutenzione per questi silos, la Topf si occupò anche di disinfestazione con HCN e fornì il materiale necessario» (p. 25). 
Dopo la stesura di questo testo  (1998), ho acquisito nuovi documenti che chiariscono definitivamente la questione. Il reparto (Abteilung) E II della ditta Topf era addetto alla costruzione di magazzini e silos per i cereali. Dal 1924 al settembre 1937, la ditta Topf aveva già consegnato, o le erano stati commissionati, in Germania e all’estero, 39 impianti di gasazione per silos (Silo-Begasungsanlagen)[7]. Ma per la disinfestazione dei silos non veniva usato  l’acido cianidrico, bensì  l’Areginal, un disinfestante a base di etile formiato, o il Cartox  (contro la “calandra granaria”, un temibile parassita del grano)[8]. La ditta Topf, per la gasazione dei silos da essa costruiti, utilizzava appunto l’Areginal, come è attestato dalle sue  “Istruzioni sull’uso di impianti di gasazione per Areginal” (Betriebsleitung für Areginal-Begasungsanlagen)[9], di cui riproduco l’intestazione[10].









Gli impianti di gasazione per Areginal venivano installati alla base dei silos, eventualmente nel loro scantinato, come si vede in questo disegno[11].


















6)      «Comunque sono lungi dall’essere certo  di ciò e non mi stupirei se si mostrasse che altri materiali consumati nell’inceneritore fossero sospettati dalla Zentralbauleitung di Auschwitz di essere fonti potenziali di sviluppo di HCN» (p. 28).
Come ho rilevato sopra, in generale,  Butz non dimostra la conoscenza di questo pericolo  relativamente al nylon  in Germania  fin dagli anni Trenta, mentre il pericolo derivante dalla combustione di rayon  imbevuto di fosfato di diammonio è stato scoperto solo negli anni Settanta.
Qui voglio approfondire  un altro punto importante: che cosa bisogna intendere per «direzione di Auschwitz»  e qual era il suo potere decisionale?
La prevenzione degli infortuni  per avvelenamento da sostanze chimiche era compito del Gruppo di uffici DIII (Amtsgruppe DIII) - Sanità (Sanitätswesen) – dell’SS-WVHA. L’ Amtsgruppe CIII - Technische Fachgebiete (ambiti di competenza tecnico-specialistici) – ne era competente  per  le infrastrutture  destinate alla conservazione di tali sostanze.  A questo  riguardo si conosce una direttiva specifica relativa al “Luftschutz von Lagerbehältern für brennbare oder giftige Flüssigkeiten und Gase” (Protezione antiaerea di siti di stoccaggio per fluidi e gas combustibili o tossici), tra cui l’acido cianidrico, dell’inizio di  dicembre del 1942[12].
L’eventuale pericolo legato agli incineritori per i rifiuti (Müllverbrennungsöfen) dei campi di concentramento,  ossia il possibile sviluppo di HCN, sarebbe dunque stato segnalato e regolamentato con un’apposita direttiva dall’SS-WVHA; d’altra parte, dal punto di vista amministrativo, la Zentralbauleitung non poteva prendere  l’iniziativa per la prevenzione di un pericolo  aleatorio che non fosse  ordinata da un’apposita direttiva dell’SS-WVHA. Tuttavia  di questo pericolo non esiste la minima traccia in nessun documento noto, né ad Auschwitz, né in altri campi, né nel mondo civile, perciò, fino a prova contraria, esso era ignoto all’SS-WVHA e alla Zentralbauleitung di Auschwitz, che dunque non poteva ordinare alla Topf  strumenti  per prevenire un rischio che non conosceva.

Dal punto di vista tecnico, l’ipotesi di Butz è altrettanto infondata. Al riguardo, rilevo quanto segue.

a) L’ipotesi di A. Butz non spiega il numero dei “Gasprüfer” richiesti: perché 10?
b) Dove dovevano essere collocati i “Gasprüfer”? 
Non all’interno del “Müllverbrennungsofen”, altrimenti sarebbero bruciati; non nel condotto del fumo, perché in tal caso sarebbero stati perfettamente inutili. Qui mi riallaccio all’ipotesi di Butz della pericolosità “intuitiva” di un inceneritore collegato ad  «un camino con altri impianti ai quali lavorino delle persone». Poiché l’acido cianidrico è combustibile, Butz distingue tra la combustione «statica» e «dinamica» di esso e  precisa che quest’ultima ha luogo «quando viene insufflata aria forzata e l’HCN fuoriesce dalla zona calda prima che possa decomporsi in qualche modo» (p. 27).
Ora, ammesso e non concesso che nel “Müllverbrennungsofen” del crematorio II di Auschwitz si formasse acido cianidrico e che questo non bruciasse completamente nella camera di combustione, i residui incombusti sarebbero passati nel condotto del fumo e sarebbero usciti dal camino, a quasi 16 metri dal livello del suolo, con  tutti i  fumi dell’impianto: come dunque avrebbero potuto essere pericolosi  questi eventuali residui di HCN?
Da ciò risulta chiaro che l’eventuale installazione di un  Gasprüfer”/presunto rivelatore di HCN nel condotto del fumo (come avveniva per i veri “Gasprüfer” per controllare la economicità della combustione nei forni crematori civili) sarebbe stata assolutamente inutile.
Parimenti inutile sarebbe stata la collocazione dei “Gasprüfer” all’esterno dell’impianto, nel Müllverbrennungsraum (la sala dell’inceneritore), perché il tiraggio del camino impediva la fuoriuscita di gas e di fumi dalla camera di combustione; l’apertura di uno sportello comportava l’entrata di aria  esterna nel forno, non l’uscita di fumi dal forno.
A ciò si aggiunga che il Müllverbrennungsofen non era dotato di soffieria (Druckluft-Anlage), a differenza dei forni a 2 e a 3 muffole, sicché al suo interno non c’era alcun afflusso di aria forzata, dunque nessuna combustione «dinamica».
Non c’è poi il minimo indizio che in tale impianto si bruciassero divise dell’esercito o di detenuti. Una tale congettura è anzi un controsenso, perché tali divise venivano notoriamente trattate igienicamente nelle lavanderie e nelle camere di disinfestazione di Auschwitz: che motivo c’era di bruciarle?
Quanto al fatto che «l’HCN può essere rilasciato nel fumo dopo che la fiamma si è estinta» (p. 27)  – scoperto parimenti  negli anni Settanta –  esso rientra nel caso precedente: l’acido cianidrico incombusto sarebbe uscito dal camino senza pericolo per nessuno. Se questo «fumo» fosse stato davvero pericoloso, il gas che si formava  nei gasogeni dei forni crematori  sarebbe stato ancora più pericoloso, a causa della formazione di grandi quantità di ossido di carbonio. Ma la Zentralbauleitung non ordinò mai dei “Gasprüfer” per ossido di carbonio per scongiurare questo pericolo.


                                                                                                               Carlo Mattogno                                                      



[1] Archiwum Państwowego Muzeum w Oświęcimiu (Archivio del Museo di Stato di Auschwitz), BW 30/34, p. 48.
[2] Rossiiskii Gosudarstvennii Vojennii Archiv [RGVA] (Archivio russo di Stato della guerra), Mosca, 502-1-313, p. 44.
[3] J.C. Pressac, Le macchine dello sterminio. Auschwitz 1941-1945. Feltrinelli, Milano, 1994, p. 83.
[4] I Quaderni di Auschwitz, n. 2.  Effepi, Genova, 2004.
[5] RGVA,  502-1-327, pp. 161-165.
[6] H. Kori “Verbrennungsöfen für Abfälle alle Art”. Archiwum Państwowego Muzeum na Majdanku (Archivio del Museo di Stato di Majdanek), Lublino,  sygn. VI-9a, vol.1.
[7] Dépliant del 1937 intitolato “Zahlen sprechen…”. Stadtarchiv Erfurt (Archivio di Stato di Erfurt), 5/411 A 191.
[8]  H.W. Frickhinger, Schädlingsbekämpfung für Jedermann. Helingsche Verlagsanstalt, Lipsia, 1942, p. 204; G. Peters, Die hochwirksamen Gase und Dämpfe in der Schädlingsbekämpfung. In: “Sammlung chemischer und chemisch-technischer Vorträge”, Verlag von Ferdinand  Enke in Stuttgart, 1942, pp. 37-38 e 55-57.
[9] Stadtarchiv Erfurt, 5/411 A 182.

[10] Idem, 5/411 A 191.

[11]  WVHA, Amt CIII, “Nachtrag  zur Richtlinie Nr.31”. RGVA, 502-1-9, pp. 58-59.