Oranienburg: il tracollo dell'anti"negazionismo" internazionale

Il tracollo dell’anti”negazionismo” internazionale

Nel 2008 si è tenuto a Oranienburg, in Germania, un convegno internazionale diretto essenzialmente contro il revisionismo storico. Gli atti relativi sono stati pubblicati solo di recente, in un volume di oltre 400 pagine intitolato “Neue Studien zu nationalsozialistischen Massentötungen durch Giftgas. Historische Bedeutung, technische Entwicklung, revisionistische Leugnung” (Nuovi studi sulle uccisioni in massa nazionalsocialiste mediante gas tossico. Significato storico, sviluppo tecnico, negazione revisionistica), a cura di Günter Morsch e Betrand Perz con la collaborazione di Astrid Ley, Metropol, Berlino, 2011.
Al revisionismo è dedicata interamente l’ultima parte dell’opera, che si intitola Die Gaskammer-Lüge in der internationalen revisionistischen Propaganda” (La menzogna delle camere a gas” nella propaganda revisionistica internazionale), e contiene otto contributi in circa novanta pagine.
Per commentarla sarebbe necessario un libro specifico. Per il momento mi limito a tre considerazioni generali.
1) All’opera non ha partecipato alcun ricercatore olocaustico italiano, il che conferma che i nostri “esperti”, a cominciare da quelli del Centro di Documentazione Ebraica di Milano, sono considerati a livello internazionale dei dilettanti indegni di essere invitati ad un convegno “serio”.
2) Non viene fatta alcuna menzione di olo-blogger alla Romanov o alla Muhlenkamp, il che conferma, come ho già scritto, che nessuno storico olocaustico li prende sul serio.
3) La confutazione dei miei scritti è assolutamente devastante: sono citato ben due volte, la prima a p. 275, in  un elenco di revisionisti: «… in Italia Carlo Mattogno e Claudio Moffa…»; la seconda volta, a p. 390. Hajo Funke, autore di uno scritto intitolato “La ‘menzogna delle camere  a gas’ nella propaganda revisionistica in Germania e Austria”, vi afferma:
«Già nel 2003 nella rivista revisionistica e spesso negatrice dell’Olocausto “Vierteljahreshefte für freie Geschichtsforschung” [Quaderni trimestrali per la libera ricerca storica] (n. 2, luglio 2003) apparve un articolo di Carlo Mattogno sul campo di concentramento di Sachsenhausen “KL Sachsenhausen. Stärkemeldung und ‘Vernichtungsaktionen’ 1940 bis 1945 (KL Sachsenhausen. Comunicazioni della forza e “azioni di sterminio” 1940-1945). Nella nota introduttiva viene chiaramente menzionato lo scopo revisionistico; tra l’altro vi si dice che “il caso di Sachenhausen è chiarificatore per i metodi degli Alleati, in questo caso specifico della propaganda nera sovietica nell’immediato dopoguerra”; vi si afferma che “in quel campo sarebbero stati uccisi numerosi detenuti con gas tossico; inoltre i Tedeschi vi avrebbero assassinato molte migliaia di prigionieri di guerra sovietici in un impianto di fucilazione”. L’Autore spiega che quest’affermazione sarebbe priva di qualunque fondamento storico e rimanda al riguardo tra l’altro alla letteratura revisionistica».
Qui è necessaria qualche precisazione. Anzitutto la nota introduttiva non è mia, ma della redazione della rivista. In secondo luogo, essa non menziona semplicemente  uno «scopo revisionistico», perché comincia così:
«Il campo di concentramento di Sachsenhausen – chiamato occasionalmente anche Oranienburg –, situato non lungi da Berlino, svolge un ruolo scarso nella discussione sull’ “Olocausto”. Se Carlo Mattogno nel contributo che segue si occupa di questo campo, ciò ha due motivazioni. Anzitutto i documenti relativi a Sachsenhausen da lui trovati insieme a Jürgen Graf nell’Archivio di Stato della Federazione Russa a Mosca rendono possibile la determinazione estremamente precisa della forza del campo, nonché della mortalità durante la guerra. La pubblicazione di questi documenti è un atto di storiografia positiva, in quanto essi non solo contraddicono menzogne storiche e miti, ma permettono di accertare il più esattamente possibile che cosa accadde realmente. In secondo luogo il caso di Sachsenhausen è straordinariamente chiarificatore…»[1].
Segue il testo citato da  H. Funke, che dunque non brilla certamente per correttezza.
La confutazione scientifica del mio articolo dovrebbe pertanto essere rimandata al contributo di Günter Morsch [foto] “Uccisioni mediante gas tossico nel campo di concentramento di Sachsenhausen” (pp. 260-276), tanto più in quanto si chiude con un paragrafo piuttosto pretenzioso dal titolo “Strategie negatorie revisionistiche” (pp. 274-276).
Qui però l’autore si mostra molto cauto, limitandosi ad una vaga allusione al mio articolo:
«Negli ultimi anni,  revisionisti di primo piano hanno cercato in modo crescente di confutare l’esistenza di una camera a gas nel campo di concentramento di Sachsenhausen in riviste specifiche come i “Vierteljahreshefte für freie Geschichtsforschung” e in altre pubblicazioni, soprattutto in internet. In ciò gli autori utilizzano argomentazioni apparentemente scientifiche, avendo esaminato a lungo i documenti degli archivi russi e l’archivio del memoriale [di Sachsenhausen], per presentarsi poi in modo particolareggiato e dettagliato con le loro fonti di valore. Spesso non si tratta affatto di tentativi di negazione grossolani, facilmente comprensibili,   ma di strategie di negazione che cercano di apparire come catene argomentative oggettive che possono essere difficilmente confutate persino da storici che non siano esperti in materia. Questi tentativi di negazione perciò, a mio avviso, devono essere presi assolutamente sul serio, tanto più in quanto possono trovare ampia diffusione via internet e sono stati accolti perfino al processo britannico contro Irving».
Indi  passa alla critica di vari argomenti revisionistici, ma senza neppure accennare a quelli che ho esposto nell’articolo summenzionato. Donde la conseguenza che o l’autore non è esperto in materia (ma allora perché ha scritto su questo campo?), oppure le mie «catene argomentative» sono tanto «oggettive» che egli non è riuscito a confutarle e ha preferito glissare.
Quanto ai molteplici studi che ho dedicato, sia da solo, sia in collaborazione con Jürgen Graf, a molti dei temi trattati nella parte “costruttiva” dell’opera – su Auschwitz, su Belzec, su Treblinka, su Stutthof, su Majdanek – questo consesso internazionale di specialisti ha mantenuto il più rigoroso silenzio. Quelli, successivi, su Chelmno e Sobibor, saranno invece senza dubbio taciuti al prossimo convegno.
Un’ultima osservazione.
Hajo Funke [foto] lascia intendere che il presunto “impianto di fucilazione” di Sachenhausen contestato nella nota introduttiva summenzionata in realtà esistette. E in effetti Günter Morsch a p. 276 ne parla. Ma con riferimento esclusivo a una “perizia” dei Sovietici. Quelli stessi che a Norimberga osarono affermare che a Sachenhausen erano stati giustiziati 840.000 (ottocentoquarantamila) prigionieri di guerra russi!
Poveri specialisti dell’Olocausto: una immensa falange internazionale incapace di confutare un pugno di revisionisti. Ecco perché si invocano le leggi repressive.

                                                                                                              Carlo Mattogno

8 marzo 2011


[1] Vierteljahreshefte für freie Geschichtsforschung, anno 7, n. 2, luglio 2003, p. 173.