Haramlik, Magdi Allam e i rossobruni 10 (L'intervista a Vita - di Mauro Biani)

L’intervista a Vita (di Mauro Biani)


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Questo blog, come ho già scritto, sta per affrontare un po’ di novità.
Tra le novità c’è una riorganizzazione dell’archivio, ovviamente.
Per quanto riguarda il giallo estivo di Haramlik, ovvero la nota cupa vicenda con cui ci siamo intrattenute in questo periodo, mi pare il caso di caricare sul blog tutto il materiale utile a farne una categoria ben fatta e il più possibile completa.
Qualcuno mi chiedeva, l’altro giorno, che fine avesse fatto l’aspetto generale della questione, nel trambusto che venne fuori.
Io ne parlai a suo tempo (fine gennaio) con Mauro Biani, nell’unica vera intervista che io abbia mai dato su questa storia e che venne pubblicata su Vita.
Ho messo il testo dell’intervista nel “Continua“.
Il pdf invece è qua e qua.
(In archivio, oplà.)
Le puntate precedenti:
1. Haramlik vs.Corriere: caccia alla “Talpa”
2. Intrigo blog (I): le sinergie più sorprendenti del mondo
3. Intrigo blog (II): il caso di Miguel “Gossip” Martinez
4. Intrigo blog (III): intermezzo riassuntivo
5. Intrigo blog (IV): del “ci sono” o “ci fanno”
6. Intrigo blog (V): qui ci vuole una puntualizzazione
7. Intrigo blog (VI): due cose che avevo ancora da dire
8. Intrigo blog: deduzioni finali
9. Sentenza del Garante: versione integrale


AGGIORNAMENTO:
Ecco, mancava giusto che ‘sta tizia mi entrasse nell’account su Macchianera.
Che dire.

Di Mauro Biani
Un buon divorzio musulmano è possibile…” Una battaglia al femminile e una carriera della sera.

Lia (un nickname, o pseudonimo) è una professoressa italiana che ha vissuto in Egitto. Cura un blog “Haramlik” ( http://www.ilcircolo.net/lia/ ) molto visitato in cui parla di islam con taglio a volte intimistico e spesso appassionato e “politico”. L’ultima vicenda raccontata, il suo matrimonio con un importante esponente dell’Islam in Italia e la successiva travagliata separazione, l’ha spinta a confrontarsi con tante altre donne musulmane e molte realtà dell’islam in Italia, avviando sul suo blog una campagna: “Un buon divorzio musulmano è possibile, basta una commissione. E’ un diritto delle donne musulmane.
Ma la sua vicenda è invece balzata all’ – onore – delle cronache nazionali sul Corriere della Sera descritta come un pruriginoso “scandalo sessuale a sfondo poligamico” (testuali parole) sulla prima pagina e a firma di Magdi Allam, che attraverso la pubblicazione di una mail privata di Lia (all’oscuro di tale “passaggio”), rivela anche il nome dell’uomo sposato con Lia: Hamza Roberto Piccardo, segretario nazionale dell’UCOII (Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia).
Allora, in seguito a quest’articolo, scatta la querela. Scrive Lia il 19 gennaio sul suo blog: “Li ho querelati oggi pomeriggio, sia il Corriere della Sera che Magdi Allam. Per diffamazione, violenza privata e quanto altro. Non so se mi spiego: il Corriere – il principale quotidiano d’Italia, dico – che pubblica a tutta pagina la mia corrispondenza personale, ricevuta illegalmente e senza uno straccio di autorizzazione al mondo (…)”
Abbiamo incontrato Lia, che gentilmente ha acconsentito di rispondere alle nostre domande nella prima intervista dopo la “deriva” (parole sue) del pezzo di Allam sul Corriere della Sera.
Puoi raccontarci brevemente la tua storia di matrimonio islamico e successivamente del divorzio?

Della storia in sé non c’è molto da raccontare, se non per puntualizzare che non era affatto nata come un rapporto poligamico, checché se ne sia detto sulla stampa. E’ una storia nata come monogamica, tra un signore che si stava separando dalla moglie ed aveva già islamicamente divorziato, e la sottoscritta. Per coerenza verso la sua fede religiosa, questo signore ha voluto regolarizzare il suo rapporto con me attraverso un matrimonio islamico ed io ho acconsentito. In seguito c’è stato un riavvicinamento tra questo signore e la sua famiglia precedente e, dopo un periodo di inevitabile indecisione, il nostro matrimonio si è sciolto e lui è tornato in seno alla famiglia accompagnato da tutta la mia comprensione per la sua scelta. Una vicenda banalissima e che accade continuamente in ogni luogo e in ogni religione, quindi, e che è lontanissima dalle tinte scandalistiche con cui l’ha esposta il Corriere in questi giorni.
Il problema, a livello personale, è sorto quando io, subito dopo la fine del nostro rapporto, mi sono ritrovata in una situazione oggettivamente molto difficile. Avevo precedentemente chiesto il trasferimento di posto di lavoro da Milano a Genova, e questo mi è arrivato esattamente nel momento del divorzio. A quel punto mi sono ritrovata in una situazione di serissima difficoltà e, per giunta, in un momento in cui ero comunque non poco provata.
In questo frangente, il mio ex marito ha rivelato un totale scollamento tra i dettami della sua religione – che prevedono, tra le altre cose, l’obbligo di assistenza verso la moglie nei tre mesi successivi al divorzio – e il suo comportamento effettivo, visto che non solo si era espressamente rifiutato di prestarmi la benché minima assistenza ma non dimostrava neanche alcuna preoccupazione per quali potessero essere le mie condizioni in quel momento. Questo comportamento era in assoluta contraddizione sia con lo spirito che con le regole di quel matrimonio islamico da lui fortemente voluto per potere avere una relazione lecita dal punto di vista religioso, con l’aggravante che chi contraddiceva le regole aveva un ruolo di responsabilità che avrebbe dovuto spingerlo a rispettarle ben più di quanto non debba fare chi non ha ruoli e responsabilità nei confronti dell’islam.
Perchè hai ritenuto di dover rendere pubblica questa esperienza, pur mantenendo anonimi i protagonisti, attraverso il tuo blog?

Mi sono trovata di fronte a un dilemma: io scrivo in rete di islam e mondo arabo da molti anni. Credo di essere stata una delle prime donne in Italia a proporre, su internet, una lettura di questi argomenti tesa a contrastare i pregiudizi e i luoghi comuni contro questa religione, a partire da quelli legati alla condizione femminile, parlando più volte, negli anni, dei diritti che la religione islamica riconosce alle donne e spiegando che, quando sono negati, sono negati dagli uomini o dalla società e non certo dall’islam in quanto tale.
Adesso, proprio in Italia, mi ritrovavo a confrontarmi con una serie di contraddizioni e incoerenze che, sommate ad altre storture, mi offrivano un panorama delle prassi adottate all’interno dell’islam di questo paese che contraddiceva non solo lo spirito e le regole dell’islam stesso, ma anche il discorso pubblico fatto da quegli stessi esponenti della comunità islamica che più si prodigavano a diffonderle e a farle conoscere.
Contraddiceva, soprattutto, tutto ciò che io avevo scritto per molti anni, confermando implicitamente molti degli argomenti usati dai detrattori dell’islam e dei musulmani: il doppio discorso, il disprezzo per la donna, le belle parole usate verso l’esterno dai leader come maquillage per coprire e rimuovere una realtà ben più bieca.
Di fronte a questo, reagire era assolutamente doveroso giacché sapevo di stare vivendo, in piccolo, una situazione condivisa – in termini ben più drammatici e senza sbocco – da un gran numero di donne, spesso immigrate, sole e senza strumenti, che si erano ritrovate, si ritrovavano o si sarebbero ritrovate in una situazione analoga alla mia in un paese in cui, per le donne musulmane, non esiste alcuna rete di assistenza in seno a nessuna comunità.
Attraverso il mio blog, che ha anche un suo pubblico di musulmani e musulmane, ho quindi iniziato a condividere – a volte, in modo politico, a volte in modo personale e intimistico – pensieri e riflessioni, critiche e indignazioni, quotidianità e denunce sociali che andavano via via emergendo dall’esperienza che stavo affrontando.
L’iniziativa affrontava un tema decisamente sentito dalle musulmane di questo paese, e non tardai ad averne conferma: nei blog e nelle mailing list femminili islamiche cominciò a diffondersi un interessante fermento che si concretizzava in idee concrete come la stesura di un documento di matrimonio comune a tutte le moschee, l’ufficializzazione come contratto dei matrimoni islamici davanti al notaio, l’istituzione, all’interno delle organizzazioni islamiche, di organi di tutela e di riferimento, di figure a cui rivolgersi e chiedere, di fonti a cui attingere. Erano le settimane in cui si svolgeva, a Barcellona, il II Congresso internazionale di femminismo islamico, di cui in Italia non si era praticamente parlato, e si creò una ricettività diffusa attorno a queste tematiche.
Magdi Allam, attraverso le colonne del Corriere della Sera, ha cominciato allora a rivelare la tua storia, puntando sull’argomento “poligamia”
Difatti. Tutto questo subì una forte battuta d’arresto nel momento in cui il 1 dicembre, uscì un primo articolo di Magdi Allam sul Corriere. Cominciò a prendere piede l’allarme sulla poligamia, cavalcato dalla destra in modo strumentale per spostare gli equilibri interni alla Consulta, e lo spiraglio di discussione che sembrava essersi aperto su questi temi venne soffocato dalla necessità di difendersi di fronte all’ennesimo attacco mediatico rivolto alla comunità.
Parallelamente, l’aspetto privato della mia vicenda si trascinava in un mare di cavilli secondari, rimandi e temporeggiamenti che impedivano di chiuderla per passare definitivamente al solo aspetto teorico della questione.
Paradossalmente, il primo attacco del Corriere aveva soffocato il dibattito su queste tematiche ma non aveva avuto alcun peso nella risoluzione della vicenda privata da cui queste avevano preso spunto. E credo che ciò sia stato dovuto anche al fatto che, da un punto di vista personale, non c’era nulla da nascondere, se non appunto il nome dei protagonisti che avrebbe potuto essere cavalcato a fini scandalistici.
Poi c’è stato l’articolo del 16 gennaio in prima pagina del Corriere, sempre firmato da Allam

Sì, appunto, la cosa del “cavalcare a fini scandalistici” è puntualmente avvenuta. il Corriere, venuto in possesso a mia insaputa di una mia email personale vecchia di mesi, l’ha sbattuta in prima pagina senza alcuna mia autorizzazione trasformando una questione di diritti nel divorzio in un bieco caso di poligamia, ripudio, scandalo sessuale e altre sconcezze che non hanno nulla a che vedere con la realtà dei fatti e che stravolgono completamente la vicenda.
La gravità di una tale azione ha fatto sì che io sporgessi immediatamente querela sia verso il giornale che verso l’autore dell’articolo.
Ed ora? La campagna: “Un buon divorzio musulmano è possibile, basta una commissione. E’ un diritto delle donne musulmane” va avanti?
Sì, credo che bisogna aspettare che passi la bufera e che si ricompongano i cocci di quanto il Corriere ha distrutto, sostanzialmente.
Le priorità, in questo momento, consistono fondamentalmente nel ristabilire la verità e nell’opporsi a questo modo strumentale e violento di fare informazione che, di fatto, si traduce in attacchi pretestuosi e senza scrupoli inferti a una comunità e ai suoi protagonisti per mero calcolo politico o ripicche personali sferrate dalle pagine di un giornale.
La volontà di mantenere aperto uno spazio di riflessione dedicato alla condizione femminile nell’islam e nella società italiana continua ad esistere ed è presente nei canali di comunicazione usati dai musulmani e dalle musulmane di questo paese. E’ un esigenza che c’è ed è sentita, e che è stata ribadita anche in questi giorni.
Certo: fino a quando l’apertura all’esterno di certi dibattiti – che, come sempre accade alle tematiche femminili, non possono non prendere spunto dalle esperienze personali per farsi collettive – continuerà a prestare il fianco all’attenzione strumentale e malevola dei media, sarà difficile che questi emergano dal circolo ristretto della comunità.
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Comments Closed

5 Commenti

  1.  MJ
    Pubblicato il 20 luglio 2007 alle 19:06 | Permalink
    ECCO perchè hai snobbato Santoro! Perchè volevi la notorietà MOLTO più grande che poteva darti Biani!
    Volevi la fama e la notorietà, eh?;)
    ( ma dico io, ma nemmeno un briciolo di LOGICA e buon senso gira da certe parti?)
  2.  lia
    Pubblicato il 20 luglio 2007 alle 19:11 | Permalink
    Come diceva il tale: la logica (ma anche il coraggio, diciamocelo) se uno non ce l’ha non se la può dare.
  3.  chiara
    Pubblicato il 24 luglio 2007 alle 15:38 | Permalink
    Non sapevo dove lasciare il commento e lo faccio qua: ho letto abbastanza e dappertutto e ancora non ho capito perchè queste persone non rilasciano la liberatoria. Magari a Miguel glielo chiedo.
    Sbacio.
  4.  lia
    Pubblicato il 24 luglio 2007 alle 19:52 | Permalink
    Auguri, Chiara. :)
    Io a Miguel Martinez ho chiesto un sacco di cose, senza avere una risposta chiara che fosse una.
    Per esempio:
    1. Come mai, avendo lui ammesso che gli era stato detto il giorno prima che ‘sto scandalo sarebbe scoppiato, non ha avvisato né me né Piccardo? Mi sarebbe bastato mandare una diffida al Corriere, se l’avessi saputo, per fermare Allam.
    2. Come mai si mise a dare man forte in pubblico a chi insinuava che io fossi dietro ‘sto scandalo, mentre in privato era lui a spiegare a me come era arrivata la mia email al Corriere?
    E non per “aiutarmi”, come ha scritto, ma facendo semplicemente il gradasso.
    3. Da chi ha saputo che la mia email era stata mandata al Corriere per fax? Un particolare del genere te lo può dire solo chi l’ha fatto, o chi è in ottimi rapporti con chi l’ha fatto.
    E poi, sulla IADL:
    1. Ma lui lo sa o non lo sa, che i “2000 grandi elettori musulmani” millantati dalla cosiddetta IADL sono una clamorosa balla?
    2. E come mai viene chiesta la sua consulenza su chi premiare, se non ne fa parte?
    Potrei andare avanti per un pezzo: le cose poco chiare che riguardano Miguel Martinez sono parecchie, temo.
    Solo che, in 1500 commenti sulla questione scritti sul suo blog, di chiarimenti su queste cose non ce ne è manco uno.
  5. Pubblicato il 17 luglio 2008 alle 17:47 | Permalink
    Ho dedicato diverse ore a leggere commenti su commenti, postati almeno su almeno tre blog, compreso questo e quello della Valent, ovviamente, perché il cosiddetto ‘giallo estivo’ contiene in sé più di una nota d’interesse (mondo islamico generale, italiano, blogger, informazione a mezzo stampa, privacy, eccetera eccetera). Decido ora di esprimere la mia modesta opinione di stima nei confronti di Lia/Haramlik, per la sua dimensione culturale e intellettuale, che percepisco come integralmente onesta, oltreché intellettualmente coraggiosa e apprezzabile.
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