Il terrore dell'"abietta legge Gayssot"

Robert Faurisson, prima vittima della legge Gayssot

Da Bocage ricevo e traduco (le note a piè di pagina sono mie):
Letto sul quotidiano “Présent” (5 rue d’Amboise, 75002 Paris), n° 8054 del 1° marzo 2014, nella rubrica “La chronique de Camille Galic”:
Libretto di ballo, libretto degli assegni
[…]
Il terrore de “L’abietta legge Gayssot”
Fondatore e, per ventitré anni, segretario generale di Reporters sans frontières, Robert Ménard ha finito per accorgersene. Invitato l’11 maggio 2011 dal Cercle des avocats libres – fondato da Frédéric Pichon – insieme all’ex procuratore Philippe Bilger, al deputato UMP Christian Vanneste, al demografo Yves-Marie Laulan e al nostro amico Jacques Trémolet de Villers, egli ammetteva anche che la professione è “sottoposta a vincoli di costrizione su un certo numero di argomenti, soprattutto quelli che riguardano il razzismo” poiché “è sufficiente essere qualificati come solforosi per essere marchiati a fuoco”. E a vedersi condannati nel migliore dei casi all’emarginazione, nel peggiore alla disoccupazione.
E, parlando dei “limiti dell’informazione in Francia”, Ménard li spiega con “la paura della legge Gayssot”, “l’abietta legge Gayssot”, come l’aveva definita Yves Baudelot, avvocato del “Monde” … perseguito all’epoca da certe associazioni armene per minimizzazione del genocidio del 1915! Ma una legge promossa dal deputato comunista (e più tardi ministro) Jean-Claude Gayssot, portata in Assemblea da Laurent Fabius, allora titolare della Presidenza, e promulgata dal primo ministro Michel Rocard nell’isteria di “Carpentras”[1], senza che si trovasse nell’opposizione di destra la sessantina di parlamentari necessari per depositare un ricorso al Consiglio costituzionale. E per un motivo ben preciso: “Nessun politico rischierà di chiedere la sua abrogazione, né a destra né a sinistra. Tutti gli eletti se la fanno sotto, perché sanno che gliela farebbero pagare molto cara. A Reporters sans frontières abbiamo sempre attaccato la legge Gayssot, ma non abbiamo mai osato difendere le sue vittime. Si ha paura”. Quale confessione nella nostra Repubblica dagli Immortali Principi!
Se, in seguito, Robert Ménard è stato, con Dominique Jamet, il solo giornalista ad aver firmato una petizione contro l’incarcerazione del revisionista (e padre di otto figli!) Vincent Reynouard, la qualcosa indusse “dei colleghi ad andare da lui una mattina per dirgli ‘Ce la pagherai’”, il silenzio prudente di Conrart[2] è più che mai appropriato per RSF[3], a giudicare comunque dall’ultimo rapporto.
Un’Europa staliniana
Il 19 aprile 2007, il Consiglio europeo si rallegrava della decisione quadro volta a “armonizzare al livello dell’Unione Europea le sanzioni penali contro il razzismo e la xenofobia” e contro “l’approvazione pubblica, la negazione o la banalizzazione grossolana dei crimini di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra”. Il 14 gennaio 2014, però, la commissaria (politica) incaricata della Giustizia, la frenetica Viviane Reding, deplorava tuttavia che il progetto aveva fatto fiasco poiché “quindici Stati membri non hanno ancora delle disposizioni specifiche che incriminino l’apologia pubblica, la negazione e la banalizzazione grossolana dei crimini contro la pace, crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi dai grandi criminali del paesi dell’Asse”, i grandi criminali sovietici rimanendo però assolti, con grande scandalo dei paesi baltici. E Reding annunciava l’inizio a loro riguardo di “procedure d’infrazione” se costoro non avessero uniformato la loro legislazione “prima del prossimo 1° dicembre”.
Tra codesti refrattari alla caporalizzazione, la Finlandia, i Paesi Bassi, la Norvegia, la Danimarca, la Svezia e l’Estonia. Ossia, nell’ordine, i campioni europei della libertà di espressione secondo la classifica di RSF. Se in tale primato non farebbe una bella figura, la Francia troneggia invece al primo posto nelle richieste di soppressione dei tweet, con l’87% del totale delle richieste a livello mondiale nel 2013. Richieste provenienti per l’essenziale “dallo Stato e da certi partner di Twitter (tra gli altri, l’Union des étudiants juifs de France[4] e SOS Homophobie, due associazioni riccamente finanziate dallo Stato medesimo e dunque da voi e da me, sia detto di passaggio), che possono segnalare dei contenuti da costoro ritenuti illegali”.
Abbandonata dai grandi media appiattiti sulla finanza mondializzata e sull’ideologia dominante, la libertà di espressione ha dunque, almeno provvisoriamente, trovato rifugio su Internet. E ci si meraviglierà allora della bancarotta della stampa appiattita in generale e dei libertari-sic di “Libération” in particolare!
Camille Galic
FINE DEL TESTO DI CAMILLE GALIC E DEL COMUNICATO DI BOCAGE

L'"isteria di Carpentras": la manifestazione parigina del 1990
 
Nota bene: il video della conferenza sulla libertà di espressione del maggio 2011 citato nel testo è visibile al seguente link:
http://asso-cedif.e-monsite.com/pages/interpellations/cercle-des-avocats-libres.html
 
 




[1] Riferimento alla profanazione del cimitero ebraico di Carpentras, che fece da volano all’approvazione della legge. Vedi in proposito l'articolo: Il segreto di Carpentras: i suoi giovani bene hanno profanato il cimitero 
http://archiviostorico.corriere.it/1995/settembre/23/segreto_Carpentras_suoi_giovani_bene_co_0_95092313399.shtml
[3] Acronimo di Reporters Sans Frontières.
[4] L’Unione degli studenti ebrei francesi.