Storiografia olocaustica e leggi liberticide antirevisionistiche


STORIOGRAFIA OLOCAUSTICA E LEGGI LIBERTICIDE ANTIREVISIONISTICHE 

Di Carlo Mattogno 

I - La legge liberticida

Il “Disegno di legge” n. 3511 contro il cosidetto “negazionismo”[1], se le sue conseguenze non fossero così tragiche («la reclusione fino a tre anni»!), sarebbe risibile, sia per la forma, sia per il contenuto.
Espongo le parti salienti del suo testo con qualche breve commento.
«ONOREVOLI SENATORI. – Il drammatico aumento di forme di razzismo e di negazione di fatti storici incontrovertibili, come lo sterminio degli Ebrei o di altre minoranze, negli ultimi anni è diventato sempre più evidente sia in Europa che in Italia».
Fatti storici incontrovertibili”? I relatori non hanno la più vaga idea non solo di che cosa sia  la  storiografia revisionistica, ma neppure  quella olocaustica. Il richiamo alle “altre minoranze” serve a velare il fatto, questo sì incontrovertibile, che il disegno di legge mira a privilegiare in modo unico ed esclusivo “lo sterminio degli Ebrei”.
«Non vi è dubbio che il contrasto di queste forme di alienazione deve essere in primo luogo culturale, di formazione delle giovani generazioni e dell’opinione pubblica, di sviluppo di una sensibilità civile tollerante e aperta all’altro e al diverso, basata su una conoscenza quanto più possibile ampia e critica dei fatti storici».
Principi davvero nobili: una “sensibilità civile”  forcaiola  e  una “tolleranza” che reclama una bieca intolleranza, una  “conoscenza quanto più possibile ampia e critica (!) dei fatti storici” che prescrive la galera per chi la persegua davvero.
«Di fronte a fatti specifici e spesso reiterati di denigrazione a sfondo razziale e di negazione tendenziosa della verità storica non può non esserci anche una reazione sul piano giuridico e penale del  sistema democratico».
Spiegherò sotto quale sia la genesi e il valore di questa “verità storica”; quanto alla sua “negazione tendenziosa”, se solo si considera il mio studio più recente - I forni crematori di Auschwitz[2] - due volumi con oltre 500 pagine di testo, 300 documenti riprodotti in facsimile e 370 fotografie,  un'opera eminentemente “affermativa” su un aspetto della storia di Auschwitz sul quale, in tutta la letturatura mondiale, difficilmente si possono reperire qualche decina di pagine quantomeno decenti, se solo si considera ciò, viene semplicemente da ridere.
Il disegno di legge si pone come obiettivo
«il contrasto di quelle forme di “negazionismo”, cioè negazione o minimizzazione, del fenomeno del genocidio degli Ebrei e di altre minoranze etniche, che costituiscono uno degli aspetti più odiosi delle pratiche razziste».
Dunque il revisionismo sarebbe una odiosa pratica razzista! Stupisce che in un atto ufficiale appaia una simile odiosa insinuazione propagandistica.
«Purtroppo, ancora di recente, episodi gravi di aggressione e denigrazione a sfondo razziale hanno portato l’opinione pubblica e in particolare la comunità ebraica, a chiedere nuova attenzione per contrastare in particolare quelle perversioni culturali e civili che portano a negare la persecuzione degli Ebrei e delle minoranze etniche e politiche da parte del regime».
Qui almeno si dice francamente da chi è partita l'iniziativa e a chi è rivolta la legge. Da notare la sottile equiparazione populistica  di  persecuzione degli Ebrei” e “genocidio degli Ebrei”, come se i due termini avessero il medesimo significato. Ovviamente nessuno “nega” la persecuzione ebraica.
Il disegno di legge prevede
«la reclusione fino a tre anni per chiunque, con comportamenti idonei a turbare l’ordine pubblico o che costituiscano minaccia, offesa o ingiuria, fa apologia, nega o minimizza la realtà dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e  dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale, ratificato ai sensi della legge 12 luglio 1999, n. 232, e  dei crimini definiti dall’articolo 6 dello Statuto del tribunale militare internazionale, allegato all’accordo di Londra dell’8 agosto 1945 (tribunale di Norimberga).
La formulazione è volutamente ambigua: la “negazione” o “minimizzazione” è sufficiente in sé stessa a configurare il reato, anche se è sorretta da metodologia e documentazione scientifica, oppure richiede per questo “comportamenti” minacciosi, offensivi ingiuriosi, apologetici? E soprattutto: la negazione ?
Il richiamo allo Statuto dell'accordo di Londra dell'8 agosto 1945 è affatto peregrino, come spiegherò sotto, e mostra tutta l'ignoranza storica degli estensori del disegno. Essi parlano infatti di “crimini contro l’umanità” e  di “crimini di guerra” secondo gli articoli   6, 7 e 8 dello “statuto della Corte penale internazionalee “dei crimini definiti dall’articolo 6 dello Statuto del tribunale militare internazionale”, come se si trattasse di due diversi statuti, mentre ovviamente si tratta di uno solo, in tedesco, lo “Statut für den Internationalen Militärgerichtshof” (Statuto del Tribunale Militare Internazionale), che, all'articolo 6, recita:
«(a) Crimini contro la pace [...].
(b) Crimini di guerra, cioè: violazioni delle leggi o degli usi di guerra. [...].
(c) Crimini contro l'umanità, cioè: assassinio, sterminio, schiavizzazione, deportazione o altre azioni inumane, commesse contro qualunque popolazione civile prima della o durante la guerra, persecuzione per motivi politici, razziali o religiosi, commessi in esecuzione di un crimine o in connessione con un crimine per il quale il Tribunale sia competente e invero indipendentemente dal fatto che l'azione violasse o no (!) la legge del paese in cui fu commessa»[3].
Gli articoli 7  e 8 non si riferiscono minimamente a crimini, ma a semplici norme procedurali.
I Senatori della Repubblica non sanno che esistono anche i libri? 

II - La genesi della storiografia olocaustica e dell'attuale “verità storica” incontrovertibile[4]

Ogni volta che si dibatte sul revisionismo, riaffiora anzitutto, invariabilmente, la “teoria del complotto”. Valentina Pisanty si è soffermata in modo particolare su di essa. A suo avviso, poiché tutte le testimonianze olocaustiche sono tendenzialmente  autonome e concordanti sul «nucleo essenziale», allora, se sono  false, bisogna presupporre che  siano il frutto di un complotto:
«Un qualche riferimento alla teoria del complotto è la condizione indispensabile per delegittimare o invalidare un corpus di testimonianze che, sebbene provengano da fonti diverse e fino a un certo punto autonome, concordino su una certa ricostruzione storica di eventi passati»[5].
Soltanto l’idea di un «complotto» come «progetto coerente  e concertato di falsificazione storica» potrebbe rispondere alla legittima domanda del perché «migliaia di testimoni, per giunta provenienti da sponde politiche contrapposte, abbiano accettato supinamente di mentire  in favore della causa sionista ad essi estranea»[6]. In questo contesto  si potrebbero aggiungere anche le “confessioni” di ex capi o funzionari nazionalsocialisti.
Nell'immaginario mediatico, questi sono appunto gli ingenui argomenti che vengono più di frequente contrapposti alle tesi revisionistiche: la presenza di “migliaia di testimoni” (cosa completamente falsa per quanto riguarda i tre “campi di sterminio” di Belzec, Sobibor e Treblinka, per i quali i testimoni si contano nell'ordine di poche decine; ma anche per Auschwitz i testimoni decisivi non sono più di qualche dozzina) e l'impossibilità pratica che possano essere tutti dei mentitori “in favore della causa sionista”, in quanto - e qui si comprende il significato effettivo della “teoria del complotto” - l'Olocausto sarebbe per il revisionismo il risultato di un “complotto sionista” in funzione della costituzione dello stato di Israele. Roba, come si dice, da far ridere i polli.
Nello stesso tempo,  il revisionismo viene anche accusato  di attribuire valore probatorio soltanto ai  documenti e di rigettare le testimonianze. Questo rilievo è più serio ed è anche corretto, ma non certo nel senso pisantyano che «tali testimonianze sono da scartare apriori»[7]  senza alcuna motivazione. La  posizione  revisionistica è infatti che, in campo olocaustico, solo un  documento  può costituire una prova. Nel novero dei documenti rientrano ovviamente anche le fotografie e i reperti materiali. Tutto il resto, a cominciare dalle testimonianze, ha un valore molto subordinato o nullo nel caso molto frequente in cui le testimonianze non siano suffragate da alcun documento. 
Ciò è del resto ammesso anche da storici olocaustici, come Mathias Beer:
«Tuttavia allo storico non è permesso adottare le sentenze dei tribunali senza averle esaminate, perché la giustizia e la storiografia perseguono fini differenti. Per lui le testimonianze sono importanti anzitutto perché lo aiutano a colmare le lacune delle fonti. Ma le testimonianze, per la loro peculiarità, possono essere trattate sullo stesso piano [delle fonti], ad esempio come documenti, ed essere utilizzate proficuamente dalla ricerca storica, soltanto se vengono rispettati determinati princìpi. Il presupposto fondamentale è di non rinunciare, per quanto è possibile, al confronto tra le dichiarazioni e i documenti di cui siano state esaminate criticamente le fonti, cioè a collegare sempre il fatto probabile con quello certo. [Ma] anche così non si può rispondere in modo soddisfacente a ogni domanda»[8].
Per spiegare questa posizione bisogna esaminare come e perché è nata la storiografia olocaustica.
La storia dei “campi di sterminio” e delle  “camere a gas” fu notoriamente inventata già durante la seconda guerra mondiale da uno stuolo di propagandisti, soprattutto polacchi ed ebrei, che diffusero le storie orrorifiche più incredibili[9].
Nel 1945 il Governo polacco stilò un lungo rapporto ufficiale per il processo di Norimberga, che fu presentato dai Sovietici come documento URSS-93. Un paragrafo riguardava i “Campi di sterminio”. Riguardo a Belzec la relativa Commissione era giunta a questi “accertamenti”:
«All'inizio del 1942 i primi rapporti indicarono che in questo campo furono usate speciali installazioni elettriche per la rapida uccisione in massa di Ebrei. Col pretesto di portarli a fare il bagno, gli Ebrei venivano spogliati completamente e condotti in un edificio il cui pavimento era elettrificato».
Su Treblinka il rapporto dice che gli Ebrei «erano messi a morte in camere a gas, mediante vapore e corrente elettrica». Per Sobibor afferma laconicamente che «venivano uccisi in camere a gas», senza alcun accenno ai gas di scarico di motori. Ad Auschwitz il rapporto attribuiva «milioni» di vittime, e  asseriva che «a Majdanek furono uccisi 1.700.000 esseri umani». La cifra attuale delle vittime di questo campo è di 78.000[10].
La storia delle “camere a vapore” di Treblinka fu oggetto di un altro  rapporto ufficiale del Governo polacco. Esso descriveva come segue il “capo d'accusa n. 6” contro Hans Frank:
«Le autorità tedesche operanti sotto l'autorità del governatore generale dott.  Hans Frank istituirono nel marzo 1942 il campo di sterminio di Treblinka, destinato all'uccisione in massa di Ebrei mediante soffocamento in camere piene di vapore».
Il rapporto, redatto il 5 dicembre 1945, era accompagnato da una certificazione attestante  che esso era stato «presentato dal Governo polacco al Tribunale Militare Internazionale sotto le condizioni esposte nell'Articolo 21 della Carta»[11]. 
Su Sobibor, le commissioni storiche ebraiche, che indagavano parallelamente alla magistratura polacca, raccolsero testimonianze non meno strampalate.
Leon Feldhendler, dichiarò:
«Il bagno era equipaggiato come se fosse davvero destinato a lavarsi (rubinetti per la doccia, arredamento confortevole). I bagni erano  locali di gasazione (gazowniami). Si gasavano 500 persone contemporaneamente. A volte si rilasciava una corrente di cloruro (czasem puszczano prąd chlorku), si provavano continuamente altri gas»[12].
 Zelda Metz asserì:
«Venivano  asfissiati col cloro (dusili chlorem). Dopo 15 minuti erano tutti asfissiati. Attraverso una finestrella si verificava se erano morti tutti. Poi il pavimento si apriva automaticamente. I cadaveri cadevano in un vagone di una ferrovia che passava attraverso la camera a gas e portava i cadaveri al forno»[13].
Salomea Hanel  dichiarò parimenti che «i Tedeschi uccidevano con il cloruro (chlorkiem[14].
Anche riguardo ad Auschwitz circolavano le storie più assurde[15]; non mancavano quelle su impianti di folgorazione, come riguardo a Belzec. Il 23 ottobre 1942 il giornale clandestino Informacja bieżąca (Informazione corrente), n. 39 (64), riferì le informazioni provenienti da un presunto soldato SS impiegato  «presso le camere elettriche (przy komorach elektr.)»: ogni notte 2.500 vittime venivano «uccise nel bagno elettrico (w łaźni elektrycznej) e in camere a gas»[16].
“Camere elettriche” dotate di “pareti metalliche”  sono menzionate anche in un rapporto del 18 aprile 1943[17]. Un articolo dal titolo «Il complesso della morte ad Auschwitz», redatto da Boris Poljevoi subito dopo la liberazione del campo e apparso sulla Pravda il 2 febbraio 1945, faceva eco a queste fabntasticherie, parlando di un «nastro trasportatore elettrico (eljektrokonvjeijera) dove erano stati uccisi centinaia di detenuti alla volta con la corrente elettrica (eljektriceskim tokom[18].
Questa propaganda menzognera, previamente filtrata e rinvigorita dalle varie “commissioni di inchiesta” sovietiche, polacco-sovietiche e polacche e dagli “accertamenti” di giudici istruttori, entrò nelle aule dei Tribunali Militari, uscendone con la nuova  veste di “verità giudiziaria”.
In questo processo, l'elemento decisivo fu  senza dubbio la “Dichiarazione delle Nazioni Unite” del 17 dicembre 1942, che da un lato promosse  la  propaganda a verità ufficiale, dall'altro, sancì il criterio della punizione, ponendo le  basi per la costituzione dei futuri Tribunali Militari:
«Da tutti i paesi occupati gli Ebrei vengono trasportati in condizioni di spaventoso orrore e brutalità nell'Europa orientale. In Polonia, che è diventata il principale mattatoio nazista, i ghetti istituiti dagli invasori tedeschi vengono sistematicamente svuotati di tutti gli Ebrei, ad eccezione di operai altamente specializzati richiesti dalle industrie belliche. Di nessuno dei deportati  si è più sentito parlare. Gli abili al lavoro vengono fatti lavorare fino a una morte lenta in campi di lavoro. I malati vengono lasciati morire di assideramento o di fame, o sono massacrati deliberatamente in esecuzioni di massa.
Il numero delle vittime di queste crudeltà sanguinose è stimato a parecchie centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini del tutto innocenti».
La Dichiarazione si concludeva con la minaccia che le Nazioni Unite «ribadiscono la loro solenne decisione di far sì che i responsabili di questi crimini non sfuggano alla punizione e di perseguire con le necessarie misure pratiche questo fine»[19].
Il progetto della Dichiarazione era stato discusso al Foreign Office, a Londra, fin dall'inizio di dicembre, dopo l'arrivo di molti rapporti propagandistici, l'ultimo dei quali,  quello di Jan Karski (che conteneva, tra l'altro, la favola dello sterminio ebraico a Belzec mediante treni cosparsi di calce viva), era giunto  il 25 novembre[20]. Una nota del 1° dicembre informa:
«Sterminio di Ebrei in Europa.
Il sig. Law riporta una conversazione col sig. Silverman e col sig. Easterman  riguardo allo sterminio di Ebrei in Europa. Il sig.  Silverman ha insistito perché il Governo di Sua Maestà intraprenda qualche azione per alleviare queste atrocità e ha suggerito che sia presentata dalle Nazioni Unite una dichiarazione delle Quattro Potenze la quale proclami che gli esecutori saranno debitamente puniti e anche che bisognerebbe fare trasmissioni radio per incoraggiare i non Ebrei ad aiutare gli Ebrei perseguitat[21].
In una nota manoscritta, David Allen, un funzionario del Central Department, consigliava che la dichiarazione «in assenza di prove più chiare, dovesse evitare anche uno specifico riferimento al piano[22] di sterminio», ma doveva limitarsi a condannare  «la politica tedesca» nei confronti degli Ebrei[23]. Un altro funzionario del Foreign Office, Frank Roberts, rilevò al riguardo:
«Una dichiarazione secondo le direttive summenzionate dovrebbe essere piuttosto vaga, perché non abbiamo nessuna prova reale  di queste atrocità (since we have no actual proof of these atrocities), sebbene, penso, la loro probabilità è sufficientemente grande da giustificare un'azione secondo le direttive summenzionate, se ciò è considerato essenziale al fine di soddisfare l'opinione parlamentare qui. I propagandisti potrebbero poi fare dichiarazioni  secondo le direttive summenzionate come di loro iniziativa. Senza una tale dichiarazione, a mio avviso, sarebbe pericoloso imbarcarsi in una campagna propagandistica senza il fondamento di fatti citabili e comprovati»[24].
L'atto che istituiva  i futuri Tribunali Militari alleati non si fondava dunque su alcuna «prova reale», ma su una mera  «probabilità» delle «atrocità» tedesche. Ma ormai le  Nazioni Unite si erano impegnate davanti al mondo intero, sicché i loro Tribunali dovevano “dimostrare” in qualunque modo i “crimini” tedeschi.
Quale fosse l'amore di giustizia e di verità di questi Tribunali, lo disse esplicitamente Justice Jackson, il pubblico ministero capo americano, alla seduta del 26 luglio 1946 del processo di Norimberga:
«Interpretando la Carta, non dovremmo comunque trascurare il carattere unico ed emergente di questo istituto come Tribunale Militare Internazionale. Esso non è parte del meccanismo costituzionale giudiziario interno di nessuna delle Nazioni firmatarie.  La Germania si è arresa senza condizioni, ma non è stato firmato o concordato alcun trattato di pace. Gli Alleati si trovano tecnicamente ancora in stato di guerra con la Germania, sebbene le istituzioni politiche e militari del nemico siano crollate. Come tribunale militare, questo tribunale costituisce  la continuazione dello sforzo bellico delle Nazioni Alleate. Come Tribunale Internazionale, esso non è legato alle raffinatezze dei nostri rispettivi sistemi giudiziari o costituzionali, e le sue decisioni non introdurranno precedenti nel sistema giudiziario civile interno  di alcun paese»[25] (corsivo mio).  
La  Carta del Tribunale Militare Internazionale menzionata sopra diceva esplicitamente che esso veniva costituito non allo scopo di accertare la verità o per fare giustizia, ma «per il  giusto e pronto
processo e per la punizione dei  maggiori criminali di guerra dell'Asse europea»[26] (corsivo mio).
Al fine di ottenere questo risultato, i vincitori della guerra crearono strumenti giuridici appropriati. L'articolo 19 dello Statuto del Tribunale sanciva:
«Il Tribunale non sarà legato alle regole tecniche di prova. Esso adotterà e applicherà nel modo più ampio possibile una procedura rapida e non tecnica e ammetterà qualunque prova che riterrà avere valore probativo»[27].
E l'articolo 21 affermava:
«Il Tribunale non richiederà la prova di fatti di comune conoscenza, ma ne prenderà judicial notice[28]. Esso prenderà judicial notice anche di documenti governativi ufficiali e di rapporti delle Nazioni Unite, inclusi gli atti e i documenti dei comitati istituiti nei vari Paesi alleati per indagare sui crimini di guerra e documenti o reperti di Tribunali militari o di altro tipo di tutte le Nazioni Unite»[29].
Per completare l'opera, i documenti per i processi erano stati previamente selezionati in funzione dell'accusa.
Alan J.P. Taylor descrisse mirabilmente questa situazione per spiegare  «il consenso quasi universale tra gli storici» sulle origini della seconda guerra mondiale, ma ciò vale anche per le origini della storiografia olocaustica:
«La documentazione in eccesso è quella che fu raccolta per i processi contro i criminali di guerra a Norimberga. Si tratta di documenti che, per imponenti che sembrino nei loro innumerevoli tomi, costituiscono un materiale pericoloso a usarsi da parte dello storico. [...].
I documenti furono scelti non soltanto per dimostrare la colpevolezza degli uomini allora sotto processo, ma anche per nascondere la colpevolezza delle potenze accusatrici. [...]. Il verdetto precedette il processo e i documenti furono addotti per sostenere una conclusione già stabilita»[30].
Raginald T. Paget, che difese il feldmaresciallo Erich von Manstein, descrisse in quale situazione si trovavano i difensori degli imputati tedeschi. Nel luglio 1945 fu costituita una sezione speciale dell'esercito americano col compito di raccogliere, analizzare e ordinare il materiale di prova tedesco per l'accusa nell'ambito dei processi militari. I documenti selezionati furono mandati a Washington per essere vagliati di nuovo al fine di accertare se contenessero materiale di prova utilizzabile dall'accusa. I documenti così riselezionati furono fotocopiati e messi a disposizione dei tribunali. La difesa doveva scegliere i propri documenti tra questi[31].
Il 20 novembre 1945 il colonnello Robert G. Storey, consigliere amministrativo degli Stati Uniti al processo di Norimberga, presentò al Tribunale un affidavit del maggiore William H. Coogan  nel quale espose le procedure di raccolta e elaborazione dei documenti tedeschi:
«A partire dallo scorso giugno, il sig.  Justice Jackson mi ha chiesto di dirigere la raccolta di materiale di prova nel Continente per il processo degli Stati Uniti. Dal nostro ufficio furono organizzati gruppi mobili sotto la direzione del maggiore  William H. Coogan, che ha istituito nei centri principali di documenti dell'Esercito ufficiali di collegamento statunitensi che parlavano tedesco. Questi ufficiali avevano l'ordine di vagliare e analizzare la massa di documenti catturati e di selezionare quelli che avessero valore probatorio per il nostro processo. Sono state vagliate e analizzate letteralmente centinaia di tonnellate di documenti  e atti nemici e quelli selezionati sono stati inoltrati a Norimberga per l'elaborazione. Presento come prova un affidavit del maggiore  Coogan datato 19 novembre 1945, allegato a questo, che descrive il metodo di cattura, cernita e consegna di tali documenti a Norimberga. Dopo che i documenti, selezionati grazie alla summenzionata procedura di cernita, hanno raggiunto il nostro ufficio, sono stati riesaminati, rivagliati e tradotti da personale esperto statunitense, molti  membri del quale sono nati in Germania e sono perciò in possesso di qualificazioni linguistiche e culturali eccellenti. Alla fine, sono stati selezionati e presentati qui  al palazzo di Giustizia più di 2.500 documenti. Almeno diverse centinaia sono addotti come prova. Essi sono stati fotografati, tradotti in inglese, archiviati, forniti di indici e sistemati. L'affidavit del maggiore  Coogan descrive parimenti questa procedura»[32] (corsivo mio).
Il maggiore Coogan  confermò:
«La squadra mobile della Sezione Documentazione è  costituita da personale che conosce a fondo la lingua tedesca. Il loro compito era la ricerca e la selezione di documenti nemici catturati nel Teatro europeo che rivelassero informazioni relative all'accusa contro i maggiori criminali di guerra dell'Asse»[33] (corsivo mio).
Nelle aule dei tribunali il presunto sterminio ebraico, soprattutto riguardo a “campi di sterminio” e “camere a gas”,  divenne subito un «fatto di comune conoscenza» di cui bisognava semplicemente prendere   «judicial notice», vale a dire un dogma indiscutibile. La strategia difensiva degli imputati vi si adattò senza bisogno di pressioni. In tale contesto, la “confessione” era molto più remunerativa di una “negazione”, che avrebbe solo inasprito la pena per il malcapitato, perché sarebbe stato inevitabilmente giudicato un nazista incallito e impenitente. I testimoni dell'accusa, comprensibilmente esacerbati per le sofferenze che avevano patito a causa del regime nazionalsocialista, si precipitarono a reclamare la loro  vendetta. I Tribunali si mostrarono estremamente comprensivi nei loro confronti, garantendo loro di fatto la totale impunità. Tra le migliaia di testimoni che deposero in decine di processi, non risulta infatti che uno solo sia stato incriminato per falsa testimonianza, sebbene molti avessero fatto dichiarazioni palesemente false e assurde.
Il caso del processo Belsen è emblematico a questo riguardo. Fu il primo processo importante del dopoguerra e fu celebrato dai Britannici dal 17 settembre al 17 novembre 1945. Il maggiore imputato, l'SS-Hauptsturmführer Josef Kramer, era stato comandante del KL Auschwitz-II, Bireknau, dall'ottobre 1942 al maggio 1944, poi comandante del campo di Bergen-Belsen. Per questo motivo il processo si occupò anche di Auschwitz. Nella sua prima dichiarazione, Kramer aveva dichiarato ingenuamente la verità:
«Ho sentito parlare  di accuse di ex prigionieri di Auschwitz relative a una camera a gas lì, di esecuzioni in massa e di frustate, di crudeltà delle guardie impiegate, e che tutto ciò avvenne o in mia presenza o a mia conoscenza. Tutto ciò che posso dire al riguardo, è che è tutto falso dall'inizio alla fine»[34].
Ma ben presto egli si rese conto della funzione ideologica e politica del processo. L'unica strategia difensiva ammissibile era  la piena adesione al dogma delle “camere a gas”, e anche  il suo avvocato non poté fare altro che accettarlo:
«Le camere a gas sono esistite, non c'è alcun dubbio su ciò»[35].
«Era chiaro che migliaia di persone erano state uccise nelle camere a gas di Auschwitz...»[36].
Perciò nel corso del dibattimento Kramer dovette ritrattare. Qui fece la sua apparizione la strategia  che divenne poi una regola della difesa: l'imputato “sapeva”, ma non era direttamente  “responsabile”. Nel caso specifico, Kramer dichiarò:
«Ricevetti un ordine scritto da lui [Rudolf Höss] secondo il quale non avevo nulla a che fare né con le camere a gas, né con i trasporti che arrivavano»[37].
Il processo Belsen è emblematico anche per quanto riguarda le testimonianze di ex detenuti. Sebbene il corpo della difesa fosse costituito da undici ufficiali britannici e uno polacco, essi non poterono fare a meno di sottolineare più volte l'inattendibilità dei testimoni:
«Sto sostenendo che l'intero incidente è immaginario» (su A. Bimko)[38].
«Affermo che il vostro racconto, qui, oggi, è esagerato e falso.  [...]. Suggerisco che la stessa cosa vale per il resto della vostra testimonianza e che siete una testimone del tutto inaffidabile» (su S. Liwinska)[39].
«Io vi dico che questo incidente avvenne soltanto nella vostra immaginazione e che tutta la cosa è un tessuto di menzogne» (su D. Szafran)[40].
«Noi ci opponiamo a tutti questi affidavit che sono contenuti in questo libro e altrove, che vengono presentati alla Corte come prove.  A nostro giudizio tutte le deposizioni contenute in questo libro sono completamente inattendibili e invitiamo la Corte, dopo aver considerato le dichiarazioni, che si trovano nel libro, di quei testimoni che hanno già fatto la deposizione, di giudicare da esse e dire che le restanti non dovrebbero essere accettate dalla Corte perché sono del tutto inconsistenti e di valore così esiguo che la Corte non dovrebbe allontanarsi in modo così enorme da ciò che è la normale pratica delle Corti penali e delle Corti marziali generali»[41].
«L'avvocato ha chiesto alla Corte di considerare la storia di Bimko e  Hammermasch con riferimento all'uccisione dei quattro Russi come pura invenzione delle due testimoni che sono apparse in rapida successione in aula al solo scopo di aggredire verbalmente Kramer, il loro ex comandante, e che inoltre proprio per questo motivo queste due testimoni lo hanno accusato di aver preso  attivamente parte alle selezioni ad Auschwitz»[42].
«L'avvocato ha affermato che questo testimone è venuto in aula e ha fatto quest'accusa furibonda contro Kramer senza alcun riguardo per la verità [...]. L'avvocato ha chiesto alla Corte di accettare la storia di Kraft in toto e di rigettare la descrizione di  Sompolinski del campo n. 2, che non può essere sensatamente considerata una  descrizione veritiera»[43].
«Il maggiore  Munro ha asserito che l'intera storia è pura assurdità...» (su H. Klein)[44].
«L'intera storia è fantastica» (su C.S. Bendel)[45].
«Ciò che  Litwinska ha detto è inconcepibile quando venga confrontata con la deposizione del dott. Bendel. A giudizio dell'avvocato, ella ha anzitutto sentito dalla sua amica Bimko ciò che lei, Bimko, ha visto quando ha esaminato la camera a gas; poi ha udito la storia della ragazza che era stata salvata dalla camera a gas da  Hoessler e ha messo insieme le due cose creando questa storia stupida e irreale»[46].
Non era difficile individuare la radice di tutte queste menzogne: l'odio e il desiderio di vendetta.
«I nazisti hanno suscitato una passione razziale in tutto il mondo ed io non credo che sia anormale o sorprendente che queste giovani ebree siano vendicative verso i loro ex guardiani o che cerchino di vendicarsi di loro»[47].
Mi sono soffermato a lungo sul processo Belsen perché illustra perfettamemte il clima che regnava all'epoca, i dogmi della Corte, le strategie della difesa, le motivazioni dei testimoni.
Attraverso una poderosa mobilitazione dei mezzi di informazione,  i dogmi giudiziari divennero presto  una  atmosfera mediatica che permeava e alimentava tutte le parti in causa, giudici e testimoni, ex detenuti ed ex SS, giornalisti e “opinione pubblica”.
Ciò che gli avversari del revisionismo chiamano  “teoria del complotto” è in realtà quest'atmosfera onnipervadente: tutte le parti in causa si trovarono a sostenere, per ragioni diverse, il dogma delle “camere a gas”, non già in virtù di un complotto, ma perché questa era ormai la “verità” giudiziaria e mediatica indiscutibile. Per quanto riguarda i testimoni, non c'è affatto bisogno di presupporre che fossero tutti dei mentitori intenzionali; la cerchia di questi è numericamente insignificante. La stragrande maggioranza dei testimoni si limitò semplicemente a ripetere e ad  abbellire ciò che aveva ascoltato da altre fonti, in un processo che David Irving ha chiamato “impollinazione incrociata”. Altri hanno interpretato eventi di cui ignoravano il significato alla luce delle “conoscenze” successive, in una sorta di autoillusione ben descritta da  Valentina Pisanty:
«Spesso gli scrittori [cioè i testimoni] intrecciano le proprie osservazioni dirette con frammenti di “sentito dire” la cui diffusione nel lager era capillare. La maggior parte delle inesattezze riscontrabili in questi testi è attribuibile alla confusione che i testimoni fanno tra ciò che hanno visto con i propri occhi e ciò di cui hanno sentito parlare durante il periodo dell’internamento. Con il passare degli anni, poi, alla memoria degli eventi vissuti si aggiunge la lettura di altre opere sull’argomento, con il risultato che le autobiografie stese in tempi più recenti perdono l’immediatezza del ricordo in favore di una visione più coerente e completa del processo di sterminio»[48] (corsivo mio).
A partire dall'inizio degli anni Cinquanta,  la nascente storiografia olocaustica, grazie  a personaggi come Léon Poliakov, Gerald Reitlinger, Lord Russell of Liverpool, Artur Eisenbach, Filip Fridman ed altri,  fece uscire dai tribunali la “verità giudiziaria” e cominciò a trasformarla gradualmente in “verità storica”. I processi precedenti alimentarono quelli successivi  in una  perversa spirale che ad ogni nuova sentenza consolidava la “verità giudiziaria” che era già presupposta fin dall'inizio. E la nuova “verità giudiziaria” consolidava a sua volta la “verità storica”. I numerosi processi celebrati nella ex Repubblica Federale Tedesca, più che ad amministrare la giustizia, mirarono soprattutto a puntellare la storiografia olocaustica. Alcuni imputati, come Wilhelm Pfannenstiel, ne furono consapevoli sponsor e furono adeguatamente retribuiti con un non luogo a procedere[49].
Un libro come “NS-Verbrechen vor Gericht” (Crimini nazionalsocialisti davanti al Tribunale) di Adalbert Rückerl[50], un magistrato con velleità storiografiche,  mostra visivamente la dipendenza della storiografia olocaustica dalla “storiografia giudiziaria” inaugurata dai Tribunali Militari alleati, che è come il terreno sul quale essa è germogliata[51].
Due storici tedeschi, Morsch e Perz, in un'opera fondamentale sulla quale ritornerò alla fine di queste annotazioni,  dichiarano candidamente:
«Senza l'attività investigativa di istituzioni giuridiche come la Commissione centrale polacca di Varsavia o la Zentrale Stelle der Landersjustizverwaltungen di Ludwigsburg, la ricerca storica sulle uccisioni in massa mediante gas tossico oggi diventerebbe molto difficile»[52].
Si aggiunga che, di norma, questi processi non giunsero a stabilire neppure una “verità giudiziaria” ineccepibile. Il caso del processo Auschwitz di Francoforte (20 dicembre 1963-20 agosto 1965) è rappresentativo a questo riguardo. Nella motivazione della sentenza i giudici stabilirono quanto segue:
«Oltre a pochi documenti e non molto utili, a disposizione del Tribunale, per la ricostruzione delle azioni degli imputati, c'erano quasi esclusivamente testimonianze. La criminologia insegna che le testimonianze non appartengono al novero dei mezzi di prova migliori. Ciò tanto più  se la dichiarazione dei testimoni si riferisce a fatti che sono stati osservati dai testimoni venti o più anni prima  in uno stato indicibile di pena e di sofferenza. Perfino il testimone ideale, che vuole dire soltanto la pura verità e si sforza di vagliare i suoi ricordi, è soggetto dopo vent'anni ad alcune lacune di memoria. Egli incorre nel pericolo di proiettare su altre persone cose che ha realmente sperimentato e di interpretare come propria esperienza cose che gli sono state raccontate molto drasticamente in quest'ambiente. Per questa via egli corre però il rischio di scambiare tempo e luogo nei suoi ricordi. [...].
Al contrario, bisogna tenere presente quale immenso lavoro minuzioso viene effettuato in un processo per omicidio dei nostri giorni, come sulla base di piccole tessere di mosaico si ricomponga il quadro di ciò che è realmente accaduto al momento dell'omicidio. Il Tribunale ha a disposizione  anzitutto il cadavere, il protocollo di autopsia, la perizia del perito sulle cause della morte e sul giorno nel quale essa dev'essere avvenuta, l'azione che ha portato alla morte della persona in questione. Esso ha a disposizione  l'arma del delitto, le impronte digitali che identificano il colpevole, ha a disposizione le impronte delle scarpe che egli ha lasciato quando è entrato nella casa della vittima e ci sono ancora molti particolari che danno al Tribunale l'indispensabile certezza che quest'uomo è stato assassinato da un ben determinato colpevole. Tutto ciò manca in questo processo»[53],
cioè nel processo Auschwitz; la situazione dei vari processi sui “campi di sterminio” orientali è ancora peggiore, perché lì non c'erano neppure  i “pochi documenti e non molto utili”.
Già da questo quadro sommario risulta evidente che la storiografia olocaustica non ha nulla a che vedere con la normale storiografia. Le altre branche di essa, ad esempio quella medievale, non sono scaturite dalle aule di tribunali militari per punire un colpevole. Solo quella olocaustica rappresenta un'anomalia palese. L“unicità” dell'Olocausto è perfettamente vera, ma solo con riferimento alla relativa storiografia. È la storiografia olocaustica che è “unica”, e ciò è dimostrato dal fatto che essa è l'unica considerata in molti Stati, per legge, intangibile, una sorta di Verità metafisica che nessuno può toccare, pena la galera. I politici che hanno approvato le leggi antirevisionistiche hanno confermato in tal modo che la storiografia olocaustica ha una natura essenzialmente ideologica e politica che va protetta per via legale. Ma nessuno ha mai chiesto leggi contro i “negatori”, ad esempio, di questo o quell'aspetto della storia medievale.
Nel quadro di questa storiografia ideologica, dove ogni fonte extra-documentaria è inficiata fin dall'origine dagli scopi e dalle procedure dei Tribunali Militari, stupisce molto che il revisionismo attribuisca valore probatorio eslusivamente ai documenti e rigetti le testimonianze?  
Ma perfino su ciò ci sarebbe da discutere.  La raccolta e la cernita dei documenti tedeschi effettuata dai vincitori della seconda guerra mondiale rappresentarono  anch'esse  la «continuazione dello sforzo bellico delle Nazioni Alleate» contro la Germania; fu infatti eseguita al solo scopo di individuare materiale per la «punizione» di crimini la cui realtà era presupposta a priori. 
Anche per questo verso la storiografia olocaustica è unica. Tutti i documenti preselezionati ed esibiti nei vari processi sono documenti dell'accusa; la difesa avrebbe dovuto cercare i propri documenti tra di essi, sicché, in via di principio, non esistono documenti della difesa. Più in generale, l'intero materiale d'archivio attualmente disponibile è solo una documentazione d'accusa. Dei poveri olo-blog-dementi  a suo tempo ironizzarono sul fatto che Jürgen Graf ed io, negli archivi orientali, non trovammo documenti sulla destinazione degli Ebrei che, a nostro avviso, furono trasferiti all'Est dai presunti “campi di sterminio”. Se si considera che questi archivi constano di documentazioni raccolte dai Sovietici, si può sperare seriamente di trovarvi documenti di tal fatta?
Questo punto fondamentale della questione  è ormai documentariamente insolubile, qualunque sia la prospettiva da cui si esamina: se i “campi di sterminio” sono esistiti, i nazionalsocialisti hanno distrutto la relativa documentazione sulle “camere a gas” e gli stermini; se i “campi di sterminio” non sono esistiti, i Sovietici hanno distrutto la relativa documentazione su trasferimenti e reinsediamenti. In questo dilemma, la prospettiva olocaustica ha lo svantaggio di dover dimostrare la realtà di “camere a gas” e stermini senza documenti, ricorrendo esclusivamente  a “testimonianze” e “confessioni”, le quali, come ho spiegato sopra, senza un valido riscontro documentario, dal punto di vista di questa storiografia anomala,  non valgono nulla, senza contare le contraddizioni e le assurdità prodigiose che contengono e soprattutto le impossibilità materiali delle procedure di sterminio, che le destituiscono radicalmente di ogni realtà.
Tuttavia, sebbene questo dilemma sia effettivo, la posizione revisionistica è più ragionevole. È noto infatti che i Tedeschi hanno lasciarono un quantitativo cospicuo di documenti relativi alle fucilazioni di Ebrei soprattutto nei territori orientali, documenti che parlano un linguaggio schietto e crudo. Perché allora avrebbero dovuto distruggere sistematicamente tutti i documenti relativi ai “campi di sterminio” orientali (Belzec, Sobibor e Treblinka) e a Chelmno? Questa distruzione “settoriale” di documenti  non ha senso. Né si può credere seriamente che i documenti sulle fucilazioni operate soprattutto dagli Einsatzgruppen si salvarono  per un caso fortuito (ma in tale eventualità si tratterebbe di una vera moltitudine di casi fortuiti), come ipotizzò insensatamente Jean-Claude Pressac per gli archivi della Zentralbauleitung di Auschwitz, che furono lasciati dalle SS praticamente intatti  ai Sovietici[54]. Si sa con certezza che i nazionalsocialisti avevano direttive ben precise per la distruzione di documenti per loro importanti, come risulta da numerosi dossier che  si trovano nell'Archivio Storico Militare di Praga. I documenti classificati  “geheime Sache” (segreto di Stato) e “geheime Reichssache” (affare segreto del Reich)  appartenenti all'Einsatzgruppe VII dell'Organisation Todt furono distrutti fin dal gennaio 1945 per ordine superiore e fu redatto un  “protocollo di distruzione” (Vernichtungsprotokoll) con elenco dettagliato di tutti i documenti distrutti[55]. Ma riguardo ai presunti campi di sterminio orientali  non sono stati trovati neppure questi protocolli. La conclusione è che, in pratica, non si sa affatto quale materiale documentario i nazionalsocialisti  abbiano realmente distrutto e quale i Sovietici abbiano realmente trovato.
Il compito e la funzione essenziale del revisionismo non è di “negare” presunte installazioni o eventi, ma di vagliare e verificare questa storiografia ideologica. Da un punto di vista strettamente metodologico, il problema fondamentale non è neppure se le “camere a gas” sono esistite o non sono esistite, ma se le prove addotte dalla storiografia olocaustica sono fondate o infondate. Dal punto di vista storico ci interessa, positivamente, ciò che accadde realmente, e questo è il senso principale delle nostre ricerche. Perciò non ha senso tacciarle di “negazionismo”.
Siamo anche inclini a credere che la propaganda di guerra sublimata prima in “verità giudiziaria” e divenuta poi universale atmosfera di “verità storica” e mediatica, influenzi pesantemente la maggior parte degli storici olocaustici, che pertanto consideriamo in generale in buona fede, per lo meno riguardo alla loro visione storica complessiva, anche se a volte essi creano, come Raul Hilberg, un evidente tessuto di menzogne intenzionali[56]. Tuttavia,  non c'è dubbio che, al suo sorgere, questa storiografia fu  animata da opportunismo e malafede.  Nonostante le «centinaia di tonnellate di documenti  e atti nemici» esaminati soltanto dagli Americani in vista  dei grandi processi del dopoguerra,  nei 72 volumi delle tre raccolte processuali più importanti[57], come  ha osservato giustamente Samuel Crowell, sulle presunte camere a gas fisse vi erano appena tre documenti, due su Auschwitz e uno su Gross-Rosen: NO-4473, NO-4465 e NO-4345. Uno, la ben nota lettera dell'SS-Hauptsturmführer Karl Bischoff del 29 gennaio 1943, conteneva un errore di traduzione, in quanto il termine “Vergasungskeller” (scantinato di gasazione)[58] veniva reso con “camera a gas” (gas chamber)[59]; il secondo, la lettera della Zentralbauleitung di Auschwitz del 31 marzo 1943, un errore ancora più grave, perché il termine “Türme” (torri), errore di battitura per “Türen” (porte), veniva tradotto con “camere a tenuta di gas” (gas-dicht chambers)[60]; l'ultimo recava una grossolana falsificazione, perché  nella lettera della ditta Tesch und Stabenow del 25 agosto 1941 al campo di Gross-Rosen faceva diventare “due camere di sterminio” (two extermination chambers) le due camere di disinfestazione con sistema Degesch-Kreislauf che erano state ordinate a questa ditta dalla locale Bauleitung [61]. La successiva lettera di questo ufficio allo Hauptamt Haushalt und Bauten del 28 agosto, che si richiama alla lettera summenzionata, ha come oggetto, appunto, “impianto di disinfestazione” (delousing plant)![62]
Su Belzec si fantasticava di  impianti di folgorazione  e su Treblinka di “camere a vapore” e anche di impianti di estrazione dell'aria[63]. Su Chelmno e Sobibor  non si sapeva praticamente nulla. Nonostante ciò, nessuno storico fu mai sfiorato dal minimo dubbio che la storia delle “camere a gas” potesse essere infondata. Al pari dei Tribunali, essi la assunsero aprioristicamente come  un «fatto di comune conoscenza», un fatto certo  che non bisognava discutere, ma solo dimostrare. E dopo quasi settant'anni non ci sono ancora riusciti. 

III - Il tracollo della “verità storica” incontrovertibile sulle “camere a gas”

Nel 2008 si è tenuto a Oranienburg, in Germania, un convegno storico internazionale i cui atti sono stati pubblicati solo nel 2011, in un volume di oltre 400 pagine, il già citato Neue Studien zu nationalsozialistischen Massentötungen durch Giftgas. Historische Bedeutung, technische Entwicklung, revisionistische Leugnung. Lo scopo del convegno era da un lato di esporre i risultati della più recente ricerca olocaustica sul tema delle “camere a gas”, dall'altro di esporre una critica del revisionismo. Esso ha segnato il tracollo definitivo della storiografia olocaustica, come ho dimostrato nel mio studio Schiffbruch. Vom Untergang der Holocaust-Orthodoxie (Naufragio. Dell'affondamento dell'ortodossia olocaustica)[64], di cui riporto gli estratti più significativi della conclusione:
«L’opera “Neue Studien zu nationalsozialistischen Massentötungen durch Giftgas” vuole confutare il revisionismo ribadendo le verità olocaustiche e ribadire le verità olocaustiche confutando il revisionismo. Questi due aspetti, critico e costruttivo,  si intersecano spesso in vari contributi, ma al secondo è riservata in modo specifico l’ultima parte del libro.
L’aspetto costruttivo, nonostante gli aggiornamenti più recenti delle fonti, ha ben poco a che vedere con una trattazione scientifica, ma rappresenta piuttosto l’esposizione degli articoli di fede di una nuova dogmatica storiografica. In essa non esiste nessuna prova ma, per i misteri di questa fede, tutto è dimostrato. In realtà il problema fondamentale, la genesi e lo sviluppo delle camere a gas omicide, da quelle ad ossido di carbonio dei centri di eutanasia, ai “Gaswagen” di prima e seconda generazione,  a quelle a gas di scarico di un motore, a quelle a Zyklon B, resta irrisolto come prima e a nulla vale, sul piano storiografico, la concatenazione di eventi fittizi  creata dai partecipanti sulla base di mere testimonianze, contraddittorie e estrapolate.
L’altro problema essenziale, quello del Führerbefehl, l’ordine di sterminio ebraico, non è neppure sfiorato dai congressisti; esso è tacitamente, o meglio, dogmaticamente presupposto, sicché essi mettono in campo camere a gas per uno sterminio che non si sa da chi, quando e perché sarebbe stato ordinato.
Il terzo problema importante, quello della scelta dei sistemi di uccisione, resta ancora avvolto nella nebbia: la scelta dell’ossido di carbonio in bombole per gli istituti di eutanasia, il ricorso al gas di scarico di motori Diesel e a benzina per i campi dell’azione Reinhardt”, l’impiego di Zyklon B per Auschwitz e altri campi, l’uso di Gaswagen a Chelmo, in Serbia e dietro il fronte russo, nonostante lo sforzo da parte di questi storici di creare tra questi procedimenti così differenti relazioni fittizie (gli interventi dell’Istituto tecnico-criminale, il convegno di Sachsenhausen), restano del tutto slegati, come iniziative locali senza alcuna coordinazione superiore, ma connesse a tre diverse catene di comando che avrebbero agito ciascuna per proprio conto. Sul piano metodologico, pretendere di dimostrare qualcosa senza alcuna prova documentaria e spesso senza neppure alcun reperto materiale, basandosi esclusivamente su testimonianze opportunamente selezionate, rivela un’accentuata  tendenza alla  credulità e al fideismo e nello stesso tempo una preoccupante carenza di formazione scientifica.
Anche gli articoli degni di attenzione sono in effetti superficiali e frettolosi, quasi sempre privi di riferimento alle fonti, semplici compilazioni di testi letterari che si citano l’un l’altro in un circolo vizioso futile e inestricabile.
La situazione è identica per le presunte camere a gas di Ravensbrück e Neuengamme. A Lublino-Majdanek e a Stutthof inequivocabili camere a gas di disinfestazione vengono spacciate per camere a gas omicide, ma senza la minima prova documentaria per quest’uso omicida, e ciò vale anche per  Sachsenhausen e Mauthausen.
Per Auschwitz la questione è diversa. Le prove della presenza in tale campo di camere a gas omicide mancano ugualmente, ma sono in parte rimpiazzate da “indizi criminali” non meno fittizi. In parte, perché anche qui l’origine delle camere a gas resta del tutto indimostrata. [...].
L’ultima parte dell’opera, quella dedicata in modo particolare alla confutazione del revisionismo, pomposamente intitolata “La ‘menzogna delle camere a gas’ nella propaganda revisionistica internazionale”, è senza dubbio la più inconsistente dal punto di vista argomentativo, ma anche la più deludente. L’impressione che suscita è quella di un semplice “atto dovuto”, privo di profondità, di serietà, di impegno, un atto puramente formale per soddisfare in modo fittizio un’ esigenza – la replica al revisionismo – cui i congressisti  non erano in grado di sopperire in modo reale. Il suo unico pregio, nella prospettiva editoriale, è quello di gonfiare artificiosamente la mole del libro, insieme a molti altri contributi di pari livello.
Rispetto a Nationalsozialistische Massentötungen durch Giftgas. Eine Dokumentation[65], apparso nel 1983, l’opera non apporta sostanzialmente niente di nuovo; il fatto che da allora siano apparsi «almeno 60 articoli e monografie sul tema» si riflette certamente su di essa, ma non certo in modo positivo,  in quanto tale letteratura vi viene generosamente sparpagliata nelle note allo scopo precipuo di coprire l’assenza praticamente totale di fonti documentarie ineccepibili.
Dal convegno internazionale di Oranienburg la storiografia olocaustica esce dunque sconfitta, incapace di presentare un quadro documentato e coerente della genesi delle presunte camere a gas omicide, goffa e inetta nel suo tentativo abortito di confutare il revisionismo.
Il quadro che ne risulta, è quello di una storiografia alla deriva, che ormai si sorregge soltanto grazie alla propaganda e ai tribunali».
Questa impotenza inasprisce ed esacerba gli animi forcaioli dei caudatari nostrani di questi storici e ciò si traduce nel disperato tentativo di distruggere il “nemico” mediante il disegno di legge in discussione. Al convegno di  Oranienburg, tra i 34 partecipanti, spiccava l'assenza di storici olocaustici italiani (quali?),  a conferma del fatto, questo sì incontrovertibile, che da noi una storiografia olocaustica degna di questo nome, ossia tale da ben figurare in ambito internazionale, non esiste affatto. Per necessità, dunque, i suddetti caudatari, quanto più  sono storicamente ignoranti e inetti, tanto più sbraitano e si agitano simulando una virtuosa indignazione. Ma la virtuosa indignazione non può sopperire alla corretta critica e alla eventuale confutazione storica del revisionismo, meno che mai una legge.
In tutta la faccenda la cosa più intollerabile è appunto questa  meschina ipocrisia che invoca solenni principi e si riveste di nobili parole soltanto per mascherare la cruda realtà:
non siamo in grado di contrastare il revisionismo sul piano argomentativo, perciò lo vietiamo per legge. Abbiate almeno il coraggio di dirlo!
Ma anche ciò non è così semplice come lorsignori credono. Il riferimento, nel disegno di legge, all'articolo 6 dello Statuto di Londra è pateticamente insulso, perché esso non indica, concretamente, quali siano i “crimini contro l’umanità” e  i “crimini di guerra” che dovrebbero risultare innegabili e dunque perseguibili per legge. Come rilevai a suo tempo,  in occasione del tentativo abortito della “legge Mastella”, «“negare la Shoah” storicamente non significa nulla, perché, contrariamente a quanto credono gli ignoranti, essa non è un fatto, meno che mai un fatto univoco e innegabile, bensì una congerie straordinariamente complessa di interpretazioni di fatti reali, di affermazioni indimostrate e di supposizioni aleatorie. Il reato di “negazione della Shoah”, senza un elenco preciso di tutti i suoi aspetti “innegabili”, sarebbe pertanto giuridicamente aberrante; esso costituirebbe per di più un becero atto di vero negazionismo: la negazione della libertà di opinione in campo olocaustico, l’unico campo storico che, negli intendimenti degli intolleranti fautori della legge,  dovrebbe essere sottratto a suon di galera alla critica»[66].
A Norimberga le storie dell'impianto di folgorazione a Belzec, delle camere a vapore di Treblinka, delle 1.700.000 vittime di Majdanek, delle 4 milioni di vittime di Auschwitz[67], ecc. ecc., furono presentate in documenti governativi ufficiali di cui il Tribunale, secondo l'articolo 21 dello Statuto, doveva semplicemente prendere “judicial notice”. Ma ciò vale anche per il massacro di Katyn, sul quale fu esibito parimenti un documento governativo ufficiale, il lungo rapporto della Commissione sovietica speciale del 24 gennaio 1944, ammesso dal Tribunale come documento URSS-054[68]: esso pretendeva che gli sventurati ufficiali polacchi erano stati fucilati dai Tedeschi.
Sarà vietato “negare” anche queste “verità storiche”, incontrovertibili come tutte le altre “verità” olocaustiche? 
                                                                                                                             Carlo Mattogno 


[1]http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00680793.pdf
[2]Effepi, Genova, 2012.
[3] Der Prozess gegen die Hauptkriegsverbrechen vor dem internationalen Militärgerichtshof. Nürnberg, 14. November 1945-1.Oktober 1946. Veröffentlicht in  Nürnberg, Deutschland, 1947, vol. I, pp. 11-12.
[4]  Questo paragrafo è un adattamento di un capitolo della risposta di J. Graf., T. Kues e mia a patetici olo-pagliacci, confermatisi platealmente impostori di bassa lega, falsari metodici e  soprattutto plagiari spudorati,  che hanno pubblicato in rete una lunga “critica” dei nostri studi su Belzec, Sobibor e Treblinka. La nostra risposta, ancora più lunga, apparirà in inglese tra qualche mese in rete in formato pdf.
[5] V. Pisanty, L’irritante questione delle camere a gas. Logica del negazionismo. Bompiani, Milano, 1998, p. 32. Si veda  la mia risposta: L'«irritante questione» delle camere a gas ovvero da Cappuccetto Rosso ad...Auschwitz. Risposta a Valentina Pisanty. Edizione riveduta, corretta e aggiornata, in:
[6] V. Pisanty, L’irritante questione delle camere a gas. Logica del negazionismo, op. cit., p. 209.
[7] Idem, p. 129.
[8] M. Beer, Die Entwicklung der Gaswagen beim Mord an den Juden, in: Vierteljahreshefte für Zeitgeschichte, Jg. 35, 1987, Heft 3, p. 404.
[9] La loro genesi e diffusione è descritta nei seguenti studi:
J. Graf, C. Mattogno, Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp? Theses & Dissertations Press, Chicago, 2004, pp. 47-69; J. Graf,  T, Kues, C. Mattogno, Sobibór. Holocaust Propaganda end Reality. The Barnes Review, Washington 2010, pp. 63-76; C. Mattogno, Bełżec. Propaganda, testimonianze, indagini archeologiche e storia. Effepi, Genova, 2006, pp. 13-46.
[10] Tomasz Kranz,  Zur Erfassung der Häftlingssterblichkeit im Konzentrationslager Lublin. Państwowe Muzeum na Majdanku, Lublino, 2007, p. 62.
[11] IMT, vol. XXXII, pp. 153-154.
[12] Dokumenty i materiały. Tom I, Obozy. Opracował mgr. N. Blumental.  Łódź, 1946, p. 204. La deposizione risale al 1945 o 1946.
[13] Idem, p. 211. Anche questa deposizione risale al 1945 o 1946.
[14] Commissione storica ebraica di Cracovia, Dokumenty zbrodni i męczeństwa. Cracovia, 1945,  p. 64
[15] Si veda al riguardo il mio scritto Auschwitz. 27 gennaio 1945 - 27 gennaio 2005: Sessant'anni di propaganda, in: http://www.vho.org/aaargh/ital/archimatto/CMausch45.pdf
[16] Obóz koncentracyjny Oświęcim w świetle akt Delegatury Rządu R.P. na Kraj (Il campo di concentramento di Auschwitz alla luce degli atti della Delegatura del Governo della Repubblica polacca nel Paese). “Zeszyty Oświęcimskie” (Quaderni di Auschwitz), numero speciale I, Oświęcim 1968, p. 52.
[17] Martin Gilbert, Auschwitz & the Allies. The politics of rescue. Arrow Books Limited, Londra, 1984, p. 130
[18]B. Poljevoi, Kombinat smjerti v Osvjetzimje. Pravda, 2 febbraio 1945, p. 4.
[19] Trial of the Major War Criminals before the International Military Tribunal. Nuremberg, 14 November  1945 - 1 October 1946. Published at Nuremberg, Germany, 1947 (d'ora in avanti: IMT), vol. XII, p. 364
[20] Vedi al riguardo C. Mattogno, Bełżec. Propaganda, testimonianze, indagini archeologiche e storia, op. cit.,  pp. 30-44.
[21] Foreign Office papers, Fo371/30923 XP004257, p. 62
[22]  Sottolineato nell'originale
[23] Foreign Office papers, Fo371/30923 XP004257, pp. 64-65
[24]  Foreign Office papers, Fo371/30923 XP004257, pp. 66-67
[25] IMT, vol XIX, p. 398
[26] Idem, vol. I, p. 10
[27] IMT, vol. I, p. 15
[28]Il significato è che «La corte dichiara, o accetta, che certi fatti sono ben noti e non hanno bisogno di essere provati». Glossario della legalità americana, in:  http://www.homolaicus.com/linguaggi/glossario_diritto_usa/letteraj.html
[29] Idem
[30] A.J.P. Taylor, Le origini della seconda guerra mondiale. Editori Laterza,  Bari, 1975, pp. 36- 37
[31] R.T. Paget, Manstein. Seine Feldzüge und sein Prozeß. Limes Verlag, Wiesbaden, 1952, pp. 128-129
[32] PS-001(a). IMT, vol. XXV, pp. 2-3
[33] Idem, p. 5
[34] Trial of Josef Kramer and Forty-Four Others (The Belsen Trial).  Edited by Raymond Phillips. William Lodge and Company, Limited. London, Edinburgh, Glasgow, 1949, p. 731
[35] Idem, p. 150
[36] Idem, p. 512. Entrambe le dichiarazioni furono fatte dal maggiore Winwood, difensore di Kramer e di altri tre imputati
[37] Idem, p. 157
[38] Idem, p. 76
[39] Idem, p. 82
[40] Idem, p. 89
[41] Idem, p. 141
[42] Idem, p. 518
[43]Idem, p. 519
[44] Idem, p. 524
[45] Idem
[46] The Belsen Trial, op. cit., p. 535. Ma anche la visita di A. Bimko alle “camere a gas” è una  «storia stupida e irreale».  Vedi il mio studio Le camere a gas di Auschwitz. Effepi, Genova, 2009, pp. 544-546
[47] The Belsen Trial, op. cit.,  p. 244
[48] V. Pisanty, L'irritante questione delle camere a gas. Logica del negazionismo, op. cit., p. 183.
[49] C. Mattogno, Bełżec. Propaganda, testimonianze, indagini archeologiche e storia, op. cit., pp. 71-84
[50] C.F. Müller Juristischer Verlag, Heidelberg, 1982
[51] Nella sua esposizione Rückerl inverte curiosamente il rapporto di causa-effetto descrivendo prima i “NS-Verbrechen” e poi i processi che li resero “verità” giuridica
[52] Neue Studien zu nationalsozialistischen Massentötungen durch Giftgas. Historische Bedeutung, technische Entwicklung, revisionistische Leugnung” (Nuovi studi sulle uccisioni in massa nazionalsocialiste mediante gas tossico. Significato storico, sviluppo tecnico, negazione revisionistica), a cura di Günter Morsch e Betrand Perz, con la collaborazione di Astrid Ley, Metropol, Berlino, 2011. Introduzione, p. XVI
[53]  Bern Naumann, Auschwitz. Bericht über die Strafsache gegen Mulka u.a. vor dem Schwurgericht Frankfurt.d Athäneum Verlag, Frankfurt am Main-Bonn, 1965, pp. 523-524
[54] Auschwitz: The Case for Sanity, op. cit., p. 32-34
[55] Archivio Storico Militare di Praga, , Fond OT, 25/7, pp. 299-303. Si tratta di documenti o rapporti su installazioni  del tutto innocue, come ad esempio “materiale da costruzione”,  “programma Z della protezione antiaerea”, “attacco aereo [subìto] 13.10.44”, “messa in sicurezza di ponti”, “approvvigionamento di acqua potabile”
[56] J. Graf, Riese auf tönernen Füssen. Raul Hilberg und sein Standartwerk über den „Holocaust“, op. cit.;  C. Mattogno, Raul Hilberg e i “centri di sterminio” nazionalsocialisti. Fonti e metodologia, in: http://vho.org/aaargh/fran/livres8/CMhilberg.pdf
[57] Trials of the Major Criminals before the International Military Tribunal. Nuremberg 14 November 1945-1 October 1946. Published at Nuremberg, Germany, 1947, (IMT) 42 volumi; Trials of War Criminals  before the Nuernberg Military Tribunals. Nuernberg October 1946-April 1949 (NMT), 15 volumi; Law Reports of War Criminals; Published for the United Nations War Crimes Commission by Fis Majesty's Stationery Office, London, 1947, 15 volumi
[58]Sul significato reale di questo documento rimando al mio studio edi il mio studio Le camere a gas di Auschwitz, op. cit., pp. 46-54
[59] NMT, vol. V, p. 620. NO-4473
[60] NMT, vol. V, p. 622. NO-4465. Su questo documento vedi Le camere a gas di Auschwitz, op. cit., pp. 150-152
[61] NMT, vol. V, p. 363. NO-4345
[62] NMT, vol. V, p. 362, NO-4344
[63] La Commissione di inchiesta sovietica che aveva indagato su Treblinka  “accertò” che l'uccisione delle vittime vi avveniva per mezzo di una “macchina” che «pompava l'aria fuori del locale». Rapporto del 24 agosto 1944. Vedi Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?, p. 78
[64]Castle Hill Publishers, Uckfield, Gran Bretagna, 2011, pp.274-279
[65]Opera alla quale gli organizzatori del congresso si richiamarono come punto di riferimento diretto
[66]Considerazioni sul reato di negazione della Shoah, http://andreacarancini.blogspot.it/2010/10/carlo-mattogno-considerazioni-sul-reato.html
[67]URSS-008. IMT, vol. XXXIX, p. 242
[68]IMT, vol. XXXIX, pp. 290-332.