Sull'uso del termine "negazionismo" e sul concetto di reputazione presso gli storici accademici

Andrea Giacobazzi (a sinistra)

Ha suscitato qualche polemica nei giorni scorsi l’articolo (poi rimosso per minacce di querela) Ecco come negare l’olocausto con i soldi dello Stato:

http://giornale-indipendente-la-meteora.blogspot.it/2012/10/giornaledi-estrema-destra-distribuito.html

Tra i bersagli del pezzo, lo storico Andrea Giacobazzi, che anche i lettori di questo blog ormai dovrebbero conoscere. Giacobazzi ne ha parlato anche sulla sua bacheca Facebook, in cui ho letto un commento che mi ha colpito e che è il seguente:

“Il fatto che egli [l’autore del pezzo] ti accomuni a nazisti e a negazionisti costituisce una lesione grave dell’onore e della reputazione. Inoltre se tu volessi fare lo storico di professione ti danneggia gravemente come carriera, penso che 70 mila euro li puoi prendere …”.

Ricordo che sull' (ab)uso del termine "negazionismo" ho già scritto, tra gli altri, i seguenti post:

  1. Adriana Goldstaub e l'uso del termine "negazionista": http://andreacarancini.blogspot.it/2010/07/adriana-goldstaub-e-luso-del-termine.html;
  2. "Negazionismo: la Treccani in rete smentita da Ernst Nolte: http://andreacarancini.blogspot.it/2011/06/negazionismo-la-treccani-in-rete.html;
  3. La calunnia della negazionista Anna Foa contro Mons. Williamson: http://andreacarancini.blogspot.it/2011/06/la-calunnia-della-negazionista-anna-foa.html

Mentre leggevo i detti commenti, mi sono però imbattuto in un testo di Jürgen Graf[1] che ancora non conoscevo, e da cui mi sembra importante riportare – sulla condizione degli storici accademici relativamente all’Olocausto, e sul concetto di reputazione che ne deriva – la seguente considerazione[2]:

Si capisce facilmente che questi universitari […] non sono molto propensi all’idea di un dibattito aperto e obbiettivo sull’argomento Auschwitz. La compiacenza con la quale ci si rende disponibili a essere degli storici di corte, creature sprovviste di etica e di probità intellettuale, garantisce a costoro una carriera invidiabile nella misura in cui approvano la tesi ufficiale. Queste persone possono quindi dire qualsiasi cosa, il favore dei media resta garantito, e nessuno studente rischierà di sottoporre loro domande troppo pungenti. Gli storici che hanno ancora un minimo di coscienza e di etica professionale evitano per quanto possibile questo soggetto scabroso; il fatto che in Svizzera le università non propongano praticamente nessun corso o seminario sull’”Olocausto”, ne è indice eloquente. Abbiamo della comprensione per questi storici. In fin dei conti, vogliono conservare il loro posto e continuare ad onorare le loro fatture. Non hanno molta voglia di essere gettati in pasto agli sciacalli dei media, di essere trattati come criminali dalla stampa e dalla televisione e, infine, di incorrere in condanne severe e in pene di prigione per “discriminazione razziale”. Fin quando bisognerà subire questa atmosfera di caccia alle streghe e di terrorismo intellettuale, è prematuro prendere in considerazione una discussione pubblica e obbiettiva su questo tema”.

 

[1] Le Contre Rapport Bergier – Anatomie d’une falsification de l’Histoire (Il contro rapporto Bergier – anatomia di una falsificazione storica): http://www.radioislam.org/suisse/bergier/1intro.htm
[2] Dal capitolo conclusivo del testo suddetto, quinto capoverso: http://www.radioislam.org/suisse/bergier/5silence.htm