Joe Fallisi: TUTTE LE DONNE SONO REGINE


TUTTE LE DONNE SONO REGINE 
Joe Fallisi
Damasco, 6 maggio 2012
Sono le 10h50m del 3 maggio. Nella hall dell’albergo incontro Ahmed al Rifaele, appena arrivato. 


Dice che è esplosa da poco una bomba nel quartiere di Alfahameh, sulla strada per Dar’a… lui, che non dorme all’albergo ma dai suoi genitori, lo ha saputo mentre veniva a trovarci... in quel momento siamo lì solo noi due della comitiva italo-siriana in visita a Damasco… decidiamo di andare subito a vedere. Le forze dell’ordine sono state molto veloci… non c’è più nulla, solo un buco per terra coi bordi bruciacchiati. 


Mi spiega che fanno così abitualmente: tolgono al più presto i resti dell’esplosione, per non allarmare la gente e ripristinare la “normalità”. Ma è questo ormai che sta diventando normale, ogni giorno: bombe, stragi, omicidi mirati. Si trattava di un generale dell’esercito. I terroristi avevano messo una carica sotto la sua BMW, sbagliando però i tempi. E’ esplosa prima che salisse, si è salvato. Veniamo poi a sapere che Ismail Haidar, figlio di Ali Haidar, leader dell’ala pro-regime del Partito nazional-sociale siriano (Pssn), mentre dormiva è stato ucciso nei pressi di Masyaf, nel centro della Siria.


Ahmed mi spiega anche che i datori di lavoro del Qatar, della Turchia, dell’Arabia hanno stabilito un prezziario delle imprese: 50 euro per sparare, idem per un rapimento, 100 per sgozzare, e così via. E mi racconta una storia che risale a un anno fa. Agenti qatarioti contattano a Duma il proprietario di una copisteria e lo finanziano affinché paghi (10 euro a testa) criminali e disoccupati per farli partecipare ai raduni antigovernativi. E’ una massa di gente che si abitua a ricevere quel sussidio quasi quotidiano. Ma nonostante l’impegno, dopo un po’ di mesi il clima cambia e migliora. Allora i finanziamenti stranieri cessano, e il commerciante, a sua volta, non dà più un soldo a nessuno. Inferociti, i manifestanti lo minacciano e gli rapiscono la moglie e i figli. Lui vende casa e negozio, paga il riscatto e fugge coi suoi familiari in Qatar, dove vive tuttora.
La Repubblica siriana è sotto assedio dell’Angloisraeloamerica e degli emiri collaboratori (collaborazionisti). In due modi cercano di destabilizzarla al fine di imporre anche qui un cambio di regime “primaverile”. Da un lato con la disinformazione e il terrorismo, dall’altro con le sanzioni. Il Paese non ha grandi risorse naturali, ed è merito delle misure adottate proprio dal regime se la popolazione gode ancora di conquiste sociali invidiabili: sistema sanitario e istruzione di buono, a volte ottimo livello gratuiti non solo per tutti i cittadini, ma anche per gli ospiti stranieri come i rifugiati palestinesi. Persino più della violenza terroristica quel che può fiaccare il popolo sono le difficoltà economiche crescenti, lo standard di vita che inesorabilmente peggiora giorno dopo giorno. I vampiri dietro l’angolo lo sanno molto bene. Hanno una lunga pratica in materia, Iraq docet. 
Venerdì 4 maggio, di mattina, è il giorno della nostra visita alla Moschea degli Omayyadi, la più grande in Siria  e una delle più belle del mondo. 



Incontreremo lo sceicco Muhammad Sa'id Ramadan al-Buti, Presidente del Congresso Islamico dei Paesi dello Sham. 



Il suk è situato di fronte all’ingresso: lo troviamo deserto. 


Coloro che c’erano stati, sempre di venerdì, solo qualche mese fa constatano la differenza. Il turismo, una delle fonti principali di introiti per la popolazione, è drasticamente diminuito e tutte le attività commerciali ne risentono. Così pure il valore degli immobili è crollato (mentre le merci costano molto più care). Gli alberghi del centro, come il nostro, una volta straripanti e costosi, ora sono quasi vuoti e con prezzi scesi dai 250 euro per notte di un tempo ai 65 attuali. 
All’esterno della Moschea c’è la tomba del Saladino, all’interno la cappella che secondo la tradizione contiene la testa di San Giovanni (il profeta Yayā per l'Islam). 


Amorrei, greci, romani, cristiani, arabi musulmani si sono nei secoli susseguiti: se c’è un luogo che rappresenta l’incontro e il crogiolo delle civiltà e religioni del Vicino Oriente questo è proprio la Moschea di Damasco. 


al-Buti, vecchio teologo da tutti stimato e rispettato, considera un disonore blasfemo le azioni dei criminali vociferanti Allāhu Akbar e allo stesso tempo sostiene che la crisi in corso, una volta finita, avrà un effetto positivo. 



Non so in base a cosa ne sia convinto, ma sembra sincero. Qui tutti sanno, ci dice, che l’America, Israele e i loro alleati vogliono minare dall’interno l’Islam. Considera noi molto più fratelli di “certi cugini generati dallo stesso padre”. Il riferimento ai necromonarchi del Golfo non potrebbe essere più esplicito. Mi viene da pensare all’estremo paradosso: dovunque si trovino, i musulmani orientano le preghiere in direzione della Mecca, città sacra per antonomasia da tanto, troppo tempo nelle mani di quei “cugini” corrotti, dei peggiori traditori e sfruttatori del messaggio di Muammad, "il grandemente lodato".



Ouday Ramadan, uno dei miei compagni di viaggio, formidabile attivista che, abitando da tanti anni a Pisa, parla bene l’arabo come il toscano, 


è stato vittima il 7 novembre 2011 di un attentato mentre veniva da Tartus, dove abitano i suoi parenti (il padre è il capo spirituale degli alauiti). Si è salvato per una speciale benedizione del cielo e ora è di nuovo qui. Mi spiega con una parabola, mentre torniamo al nostro pullman, come mai nei Paesi islamici non ci sia l’usanza di dare o stringere la mano a una donna. Un inglese chiede spiegazioni in proposito a un buon musulmano. Questi gli risponde a sua volta con una domanda. “In Gran Bretagna qualunque uomo può fare una cosa simile con la vostra Regina?” “No”, ammette l’altro. “Ecco: nell’Islam tutte le donne sono regine”.
Gli Assad, quei tiranni, quei dittatori… il padre ancora peggio del figlio, ma il figlio presto peggio del padre!... E Gheddafi lo stesso, va sans dire… e Milosevic, Chávez, forse tra non molto persino la Kirchner!… Bisogna rendersene - e tenerne - conto sempre: siamo ormai nella società spettrale del Kosherbig Brother, dove, per tutto quel che attiene l’assetto e le strategie del potere, il falso è presentato come vero e il vero diviene momento del falso. Che lo utilizza, lo ingloba, lo annulla. 
Ho conosciuto casualmente un giornalista di Londra, Gari Sullivan (http://garisullivan.co.uk/http://noozdesk.com/), che è qui da 4 mesi. 


Mi conferma che siamo sommersi, in relazione alla Siria, da una valanga di menzogne incredibili... tutta roba da al-Jewzeera, da al-Arabyia, che hanno acquisito il perfetto modus operandi attraverso l'esperienza libica... costruita appositamente a tavolino da specialisti della disinformazione... liste di morti che poi risultano vivi... cadaveri di torturati e uccisi dai terroristi fatti passare come opera dell'esercito... simulazioni, ricostruzioni, stages fantasmatici, attori, attrici... E' la stessa cosa, peraltro, che sostiene la televisione siriana indipendente Addounia (cfr. http://syria360.wordpress.com/2012/05/06/marinella-correggia-a-report-from-addounia-syrian-television-against-disinformation/). Società degli spettri.
Fino all’8 marzo 1963 la Siria, che aveva ottenuto l’indipendenza dai francesi nel 1946, era un Paese a regime feudatario, con l’equivalente locale dei vassalli, valvassori, valvassini e servi della gleba del Medioevo europeo. E con il 90% della popolazione analfabeta. Poi salì al potere il partito socialista panarabo Ba’th, il cui programma prevedeva cambiamenti radicali che di lì a pochi anni avrebbero cominciato a manifestarsi. Fu, sino al 1970, un periodo di completa instabilità. Ogni qualche mese si succedevano Putsch e governi aleatori “a scendere”… per mano di colonnelli, di maggiori, di capitani, di tenenti… al punto che si diceva: tra poco arriverà il colpo di stato dei caporali… Finché invece fu la volta del generale e comandante dell’aviazione militare Hāfiz al-Assad (1930-2000). 



Uomo di umili origini, non corrotto né corruttibile, aveva in mente un sogno, far progredire il suo Paese e migliorare la condizione di vita della maggioranza. Tutti i siriani onesti che conoscono la storia lo considerano come l’autentico padre della patria. Fu un militare duro, spietato e accentratore, in questo non diverso da tanti altri suoi colleghi (non solo) arabi. Ma a differenza di quasi tutti loro le trasformazioni desiderate le seppe attuare. Tutto cominciò col “movimento di correzione” o “delle riforme” degli anni 70. Esso dette il via a una serie di conquiste sociali continue e durevoli – di cui i siriani di oggi ancora beneficiano.
La Siria, che non possiede in abbondanza la risorsa del petrolio, era una nazione agricola senza ospedali, scuole, università, infrastrutture, dighe… solo per fare un esempio, di queste ultime ne furono costruite in breve quarantacinque, fra cui quella che divenne ed è la più importante del Vicino Oriente, Al Thawra ("Rivoluzione"), sul fiume Eufrate, garantendo al Paese l'autosufficienza energetica e l’irrigazione generalizzata dei campi. 


La corrente elettrica fa splendere nella sera, davanti ai miei occhi, Damasco e la sua montagna di Qasioun, 


allo stesso modo in cui illumina Aleppo, Homs, Hama, Latakia, Deir el-Zor, al-Raqqa, al-Bab, Idlib, Dumā, al-Safīra, fino all’ultimo villaggio della più sperduta contrada. Tutto ciò si deve a quell’inizio prodigioso di quarant’anni fa. L’istruzione fu resa obbligatoria; sorsero scuole rurali; si restituì la terra ai contadini; la riforma agraria da proclama sempre annunciato divenne realtà; una vasta opera di rimboscamento cambiò la faccia del Paese; le grandi strutture, anche alberghiere, vennero nazionalizzate; si avviò l’industrializzazione e la modernizzazione della Siria… Nel frattempo anche sul campo di battaglia  essa conquistò la propria identità e dignità nazionale, soprattutto nella guerra contro l’entità sionista, iniziata al fianco dell’Egitto di Sadat e poi proseguita da sola. La città capoluogo del Golan di Quneitra, occupata e rasa al suolo dagli israeliani, poi liberata nel 1974, è ancora oggi il monito-testimonianza della barbarie sionista e della sua sconfitta possibile. E non si può non ricordare che nel 1976 l’esercito siriano, entrando in Libano durante la guerra civile, salvò letteralmente dalla morte i cristiani. Che lo sanno bene e anche perciò si stringono solidali al governo della Repubblica. 
E veniamo alla tragedia di Hama del febbraio 1982, presupposto di ogni demonizzazione del regime di Damasco, e giustificazione principale anche del terrorismo odierno. Si trattò senza alcun dubbio di un episodio orribile, dove decine di migliaia di cittadini trovarono la morte ad opera di soldati del loro stesso Paese.
Ma i demoipocriti, campioni della falsa coscienza e dalle mani sporchissime di sangue, dimenticano alcuni fatti che invece sono essenziali perché anche su quell’episodio ci si possa formare un giudizio equo. Innanzi tutto l’odio degli ultra-reazionari “Fratelli musulmani” e simili nei confronti di Assad, cui non perdonavano l’opera modernizzatrice e laica (e coi quali pure dovettero necessariamente scontrarsi leader arabi e socialisti come Nasser e Gheddafi), rimontava ad almeno dieci anni prima. Egli, deciso a mantenere lo Stato autonomo, non vincolato dalla religione, era ritratto da costoro come “nemico di Allah”, “ateo”, o addirittura “maronita”. Si susseguirono gli attacchi dinamitardi contro comunità alauite e cristiane e rappresentanti del governo. Il 26 giugno 1980 lo stesso Assad fu quasi ucciso nel corso di un attentato. Si salvò per il sacrificio di una guardia del corpo e per il suo proprio sangue freddo. A ciò seguì la logica repressione e l’intensificarsi dei richiami alla vendetta e delle bombe. La rivolta di Hama fu il culmine di tale campagna, che aveva come scopo la destabilizzazione e distruzione della Repubblica Araba di Siria. E anche allora manovratori e finanziatori erano i tiranni monarcoteocratici sauditi. Il governo propose di cancellare l’articolo che esigeva l’appartenenza alla fede islamica per accedere alla carica presidenziale. Come reazione i nemici dichiararono Hama “città liberata”, esortando tutto il popolo siriano (in gran parte solidale col suo governo) a insorgere contro l’“infedele”. E, a questo proposito, non stupisce che i corifei yankee dei “diritti umani” (orwelliani) siano in amorosi sensi con gli islamici più oscurantisti. Non giura forse fedeltà anche il loro Presidente con una mano sul petto e l’altra posata sulla Bibbia? In realtà l’Occidente predone giudeocristiano utilizza, quando gli fanno comodo, i “figli della serva”. Per poi dar loro il benservito e murarli nei suoi orridi Bagram, Guantanamo, Abu Ghraib.
Per quasi un  mese ci furono trattative da parte del governo perché si evitasse il bagno di sangue. Risultarono inutili. E si verificò la sciagura.
Oggi i mercenari anti-siriani hanno a disposizione veri e propri istruttori professionali e un training “scientifico” adeguato nei campi di addestramento in Turchia. E dispongono senza limite delle armi più nuove e micidiali. I primi mezzi dell’esercito entrati ad Homs sono stati letteralmente liquefatti da inedite granate al fosforo… a un funerale otto civili, uno dopo l’altro, hanno perso la vita traforati dai colpi di un cecchino (poi scomparso nel nulla) che adoperava un fucile a gas a pressione capace di colpire i suoi obiettivi con precisione millimetrica fino a due chilometri di distanza… a Idleb i soldati scoprirono un ampio tunnel superaccessoriato lungo… 30 chilometri. E ogni località che cade nelle mani degli islamici del Kali Yuga, una volta terminati o fatti fuggire o tenuti in ostaggio come scudi umani gli abitanti, diviene in breve una doppia città spettrale dove da ogni edificio si dipartono, sopra e sotto terra, dedali chimerici di stanze blindate e vie di fuga, scatole cinesi, matriosche del terrore.
Il 5 maggio, come ogni sabato in ogni città, c’è nel tardo pomeriggio una festa-concerto in piazza di sostegno e lealtà al governo legittimo. A volte si riunisce una folla enorme, a volte solo qualche centinaio di persone. Ieri c’era stata una sorta di prova generale. 




Ma oggi non siamo molti di più. Una delle ragioni è senz’altro anche la paura, giustamente. Questa mattina, sul presto, ho assistito al mio secondo dopo-attentato, sempre recandomi sul luogo insieme con Ahmed. Siamo arrivati più sollecitamente e ho potuto vedere le due automobili squarciate dalle cariche di tritolo mentre venivano portate via. Eravamo nel quartiere di Shar al-Dhaura, sotto gli uffici di un Ministero militare su cui campeggiavano gigantografie di Bashar, il Presidente, degno figlio, nel bene, di suo padre, e che cerca con intelligenza e umanità di salvare la patria.





Al concerto si esibiva tra gli altri un bimbo di sei anni, Hadi, dalla voce squillante di oro puro. 


Ho avuto l’onore anch’io di cantare… una piccolissima cosa: il ritornello di una canzone che completerò, spero, ricordandomi Damasco e il suo popolo. Per ora ho scritto solo queste parole:

Oh Surya, oh Surya… anima, anima mia.