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Giuseppe Garibaldi: deluso dalla conquista del Sud |
Le celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia sono
state, oltre che inutili, persino dannose perché hanno omesso come al solito di
ricordare all’opinione pubblica le accorate disillusioni
di alcuni dei più famosi eroi risorgimentali sull’esito del processo
unitario. Ricordiamone solo alcune.
Nel mio post Il
giudizio di Garibaldi sull’Italia unita: il ritratto dell’Italia di oggi
ho riportato il giudizio dell’”Eroe dei due Mondi” espresso nel 1880, e
riferito da Giordano Bruno Guerri nel suo libro Il sangue del Sud:
«Tutt’altra Italia io sognavo nella mia vita, non questa miserabile
all’interno e umiliata all’estero e in preda alla parte peggiore della nazione».
Nel 1868, lo stesso Garibaldi, in una lettera a
Adelaide Cairoli, si era già espresso nel modo seguente:
«Gli oltraggi
subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di
non aver fatto male, nonostante ciò, non rifarei oggi la via dell’Italia
meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo
squallore e suscitato solo odio».
Il paragrafo “I delusi dall’unità” della voce di
Wikipedia relativa alla “Spedizione dei Mille”riporta i giudizi negativi di due
altri famosi esponenti risorgimentali, Luigi
Settembrini e Ferdinando Petruccelli
della Gattina.
Di grande interesse anche la rivisitazione, o revisione, dell’usuale identificazione
di Giuseppe Verdi con l’oleografia
risorgimentale compiuta dallo storico della musica Aldo Nicastro:
“Del resto, nella misura in cui Verdi, immettendo le
scorbutiche dichiarazioni moralistiche del Quarantotto nell’asessuata struttura
artigianale dell’opera d’oltralpe, s’era fatto portatore di una dialettica
interna capace di salvarne le istanze migliori e di condurle pian piano
all’approdo che si sa; in tal misura, è possibile rendersi conto di come anche
l’equivoco liberal-risorgimentale della nascente e confusa borghesia italiana
non riuscisse a toccarlo intimamente. Le adesioni del ‘liberale’ e ‘romantico’
Verdi a quelle aspirazioni sono state sempre e soltanto verbali e generiche,
ossequienti alla retorica dell’epoca; e non di rado viziate da alcuni
episodici, quanto significativi, scoppi di ‘reazionario’ e nostalgico malumore:
come quello che si mette in evidenza nel commento all’imposta sul macinato voluta
da Quintino Sella nel 1867 per riparare in parte ai disastri economici delle
ultime campagne contro l’Austria. Così scriveva in proposito Verdi il 16 giugno
1867 all’Arrivabene:
“Cosa faranno
i nostri uomini di Stato? Coglionerie sopra coglionerie! Ci vuol altro che
mettere delle imposte sul sale e sul macinato e rendere ancora più misera la
condizione dei poveri. Quando i contadini non potranno più lavorare ed i
padroni dei fondi non potranno, per troppe imposte, far lavorare, allora
moriremo tutti di fame. Cosa singolare! Quando l’Italia era divisa in piccoli
Stati, le finanze di tutti erano fiorenti! Ora che siamo tutti uniti, siamo
rovinati”".
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Giuseppe Verdi: furioso con Quintino Sella |
Considerazioni di straordinaria attualità, quelle di
Verdi, alla luce non solo della recente ondata di suicidi dovuti alle politiche
governative ma anche all’analogia, già riscontrata nel 2011 di fronte alla
prime mosse del governo in carica, tra Mario Monti e Quintino Sella!
Tutto ciò, per tacere delle riflessioni critiche sul
Risorgimento riscontrabili nella grande letteratura e nel grande cinema (e nei grandi sceneggiati
RAI degli anni ’60 e ’70!) che, naturalmente, i
nostri “celebratori” si sono ben guardati dal menzionare …
Sono gli effetti, sull’industria culturale, del
nuovo corso patriottardo inaugurato
al Quirinale da Carlo Azeglio Ciampi e proseguito da Giorgio Napolitano.
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Quintino Monti |