Mohamed Merah in Israele: domande senza risposta


MOHAMED MERAH IN ISRAELE: DOMANDE SENZA RISPOSTA

Di Gilles Mounier, domenica 25 marzo 2012[1]

In Israele non entra chi vuole! Mohamed Merah, allora ventiduenne, vi è andato, senza problemi. Incredibile, ma vero. In effetti, un ufficiale superiore americano  di stanza a Kandahar, in Afghanistan, dove Merah è stato arrestato nel novembre 2010, ha rivelato al quotidiano Le Monde[2] che figurano sul suo passaporto dei timbri d’ingresso in Israele, in Siria, in Iraq e in Giordania. Da fonti di polizia “molto ben informate”, il sito israeliano francofono JSSNews[3] precisa che egli è atterrato all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv dove, dopo dei “controlli di sicurezza d’intensità normale, ha ricevuto un visto turistico nello Stato ebraico per un periodo di tre mesi”. Domande: come ha potuto Mohamed Merah superare i controlli israeliani? Cosa è andato a fare in Israele, dove sarebbe restato solo “qualche giorno[4]? come ha potuto, in seguito, entrare in Siria con un timbro israeliano sul suo passaporto?

Interrogatori abusivi

A meno di essere riconosciuti come di religione ebraica, bisogna sapere che i visti turistici israeliani sono concessi ai francesi solo dopo aver subìto un interrogatorio serrato agli aeroporti di partenza o di arrivo. A Roissy, degli agenti del Mossad, sospettosi, interrogano a lungo i viaggiatori, talvolta per quasi un’ora. Portare un nome musulmano è insormontabile. I militanti della causa palestinese o dei diritti umani vengono, la maggior parte delle volte, respinti! I poliziotti chiedono la ragione del viaggio in Israele, chi vi si conosce: nomi e indirizzi. Alla domanda “trasportate delle armi, un coltello, della droga”, il minimo tremito della voce viene notato. Dei passeggeri hanno diritto al controllo della loro cassetta delle lettere, e a delle domande sui loro contatti. Altri devono giustificare i loro movimenti bancari. Al minimo sospetto, l’ingresso può essere rifiutato. All’arrivo a Tel Aviv, ci risiamo … e guai se una risposta differisce appena da quella data all’aeroporto di partenza.

Dopo la frontiera, secondo l’interesse che il Mossad nutre per il turista, un visitatore che viaggia da solo deve aspettarsi di essere seguito, di subire dei controlli improvvisi, di avere i propri bagagli discretamente perquisiti nel suo hotel. Certi militanti palestinesi che sono stati lasciati entrare volontariamente, si sono ritrovati con della droga o con un arma nella loro valigia. Per loro, il destino è il seguente: collaborare o essere incarcerati.

Secondo Bernard  Squarcini, capo della DCRI[5] (ex DST), Mohamed Merah è stato brevemente interrogato a Gerusalemme, “possessore di un coltellino”, poi rilasciato[6]. Arrestato qualche mese più tardi in Afghanistan per “infrazione al codice della strada”, verrà rimandato in Francia dopo una decina di giorni passati in una prigione americana. Figurava in seguito nella “no-fly list” statunitense. Nel 2011, Merah andrà in Pakistan, nella zona tribale del Waziristan, rifugio di apprendisti jihadisti … e di spie.

Visti misteriori

Numerosi paesi arabi rifiutano l’ingresso ai visitatori che hanno un visto israeliano sul loro passaporto. Questo è il caso della Siria e del Libano. La Giordania e l’Egitto che hanno relazioni diplomatiche con Israele, li accettano, l’Iraq anche, dopo il 2003, ma senza riconoscere Israele. Dopo il suo soggiorno in Israele, Mohammed Merah poteva andare in Giordania, per il ponte Allenby, che oltrepassa la Giordania, e forse in seguito in Iraq, ma in Siria certamente no. Avrebbe dovuto passare per Cipro e avere un passaporto arabo, il che non era il caso. Su questo punto, le dichiarazione dell”ufficiale superiore americano” e di Bernard Squarcini non sono attendibili. Bisogna seguire altre piste, meno frequentate.



[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://france-irak-actualite.over-blog.org/article-mohamed-merah-en-israel-questions-sans-reponse-102272955.html

[4] Idem.