Lettera aperta a Micaela Ricciardi, preside del liceo Giulio Cesare di Roma, sul carattere fittizio dei film sulla Shoah


LETTERA APERTA ALLA PROFESSORESSA MICAELA RICCIARDI,
PRESIDE DEL LICEO GIULIO CESARE DI ROMA

Gentile prof.,

le scrivo dopo aver letto nelle scorse settimane la vicenda di quel vostro studente finito nel mirino dei gazzettieri di “Repubblica”[1] per aver osato dire ciò che pensa, e cioè per aver detto – ammesso che quanto gli è stato attribuito lo abbia detto davvero – che i film sulla Shoah sono “fantasy story”.

Questa la sua dichiarazione che mi è rimasta impressa:

«“Scioccata” la preside del Giulio Cesare Micaela Ricciardi: “Resto senza parole – ha commentato – Sono affermazioni gravissime. Lunedì porterò la vicenda in Consiglio di istituto, sarà presente anche Jacopo e chiederò a lui spiegazioni”. E sul ragazzo aggiunge: “Lo conosco come un alunno educatissimo, non ha nascosto le sue idee di destra, ma non è mai arrivato ad usare questi toni inaccettabili, pericolosi soprattutto per i più piccoli, facili prede di propaganda politica”»[2].

A quanto pare, quindi, lei si è detta “scioccata”.

Io invece resto “scioccato” non solo per la vostra intolleranza nei confronti di un ragazzo di cui le stessa riconosce l'educazione ma per la vostra disinvoltura nel rivoltare la frittata.

Sono rimasto infatti particolarmente colpito da una parola da lei usata: “propaganda”.

Un ragazzo evidenzia il carattere fittizio dei film sulla Shoah (prodotti, come si sa, in massima parte a Hollywood) e sarebbe lui a fare “propaganda”?

Ora, lei dovrebbe sapere che il carattere propagandistico dei film di Hollywood non è una tesi esclusiva dei “famigerati negazionisti” bensì largamente condivisa anche dai commentatori più intelligenti della stampa mainstream. Mi limito a citare in proposito questo giudizio che traggo da un articolo del Guardian (intitolato appunto “Hollywood propaganda”):

“…Hollywood movies have for the past three decades sought to convince us that the American way is the only way”[3].

Traduzione: “…I film di Hollywood hanno cercato negli ultimi tre decenni di convincerci che il modo di vivere americano è l’unico modo”.

Le domando: come è definibile un’impostazione ideologica siffatta se non come propaganda?

E, in particolare per ciò che riguarda i film di Hollywood sulla Shoah, che si tratti, se non di “fantasy”, quantomeno di fiction non è una tesi esclusiva dei “famigerati negazionisti” (anche se sono solo questi ultimi a trarne tutte le dovute conseguenze[4]) ma anche qui possiamo trovare delle utili indicazioni in fonti certo non “negazioniste”.

Legga cosa hanno scritto a suo tempo su Newsweek Magazine:

“These films [i film sulla Shoah] are hardly devoided of Hollywood tropes, however. Except for “Valkyrie”, they are all based on successful novels or plays”[5].

Traduzione: “Questi film, tuttavia, non sono certo privi dei tropi di Hollywood. Tranne “Valkyrie, sono tutti basati su romanzi o testi teatrali di successo”.

Su opere che rientrano nella categoria di fiction, appunto.

Ad esempio, lei lo sa che il più famoso film sulla Shoah in assoluto, il celeberrimo “Schindler’s List” di Spielberg è tratto proprio da un romanzo (“Schindler’Ark”, dello scrittore australiano Thomas Keneally)?

Lei mi potrebbe opporre che tale romanzo si basa su una storia vera: ed è appunto ciò che sostiene Wikipedia[6].

Errore. Se così fosse, la Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti non avrebbe catalogato il romanzo in questione, come invece ha fatto, nel genere fiction (“Biographical fiction. War stories”, per la precisione):

http://catalog.loc.gov/cgi-bin/Pwebrecon.cgi?v2=3&ti=1,3&SEQ=20120207070243&Search%5FArg=schindler%27s%20ark&Search%5FCode=GKEY%5E%2A&CNT=100&type=quick&PID=ouUm0qbSVBDx84lJbO4-0JqjgQP&SID=1

Perché la Biblioteca del Congresso, questo è il punto, prevede infatti anche il caso dei romanzi basati su fatti realmente accaduti, dei romanzi conosciuti come “non fiction novels”: romanzi non di “narrativa”.

È il caso, per esempio, del capolavoro di Truman Capote, una delle pietre miliari della letteratura americana del ‘900: “In cold blood; a true account of a multiple murder and its consequences”, A sangue freddo, un resoconto veridico di un omicidio plurimo e delle sue conseguenze,  dove la parola “fiction” infatti non compare.

Se non si fida, controlli pure:

http://catalog.loc.gov/cgi-bin/Pwebrecon.cgi?v1=11&ti=1,11&Search%5FArg=in%20cold%20blood&Search%5FCode=GKEY%5E%2A&CNT=100&type=quick&PID=XZyM_WEId8ISAjkzFBxe1sfvgtER&SEQ=20120221092359&SID=1

Anche in un altro romanzo “non fiction”, “Operación Masacre”, di Rodolfo Walsh, la fatidica parola non compare:

http://catalog.loc.gov/cgi-bin/Pwebrecon.cgi?v1=2&ti=1,2&Search%5FArg=operacion%20masacre%20walsh&Search%5FCode=GKEY%5E%2A&CNT=100&PID=94X3r3n0cLonTOCvx1uwDoQ_&SEQ=20120222044150&SID=2

Che poi il materiale da cui è stato tratto il film di Spielberg sia fiction non solo non rigorosa ma decisamente inattendibile non lo dicono solo i “famigerati negazionisti” ma, addirittura la vedova di Oskar Schindler, Emilie (anche se lo sono scordato un po’ tutti).

Se non ci crede, prof., si legga l’intervista pubblicata a suo tempo dal “Corriere della Sera”:

Un colpo alla leggenda di Hollywood La vedova di Oskar Schindler “La lista? Non è mai esistita”:

UN COLPO ALLA LEGGENDA DI HOLLYWOOD La vedova di Oskar Schindler "La lista? Non e' mai esistita" Continua la vendetta della vedova Schindler, che ha rilasciato un'altra intervista, stavolta al "Daily Telegraph", per distruggere l'immagine agiografica che Hollywood, attraverso il film di Steven Spielberg "Schindler's list", ha dato di suo marito Oskar, l'uomo che salvo' 1.200 ebrei dallo sterminio nazista. Emilie Schindler, una novantenne piegata dall'artrite, vive in una misera villetta di San Vicente, presso Buenos Aires, con 25 gatti e due cani - lupo per i quali spende gran parte della pensione pagatale dall'organizzazione ebraica B'nai B'rith. Al marito, morto nel 1974 in Germania, non perdona le continue infedelta' - la sera delle loro nozze Oskar fu arrestato perche' la sua amante lo aveva accusato per gelosia di aver rubato un portaceneri nell'albergo dove andavano a far l'amore - e soprattutto di averla abbandonata in Argentina piena di debiti, tornando in patria nel 1957 a godersi la pensione israeliana e il risarcimento del governo tedesco per la perdita della fabbrica. Secondo Emilie la lista di Schindler non e' mai esistita, nel senso che non fu lui a compilare l'elenco degli ebrei indispensabili al funzionamento della fabbrica di munizioni, ma un dipendente, tale Goldman, che per inserirvi i nomi si faceva pagare. Se mai fu Hilde, una bella tedesca pura ariana, a salvare 300 ebree, gia' chiuse nei vagoni piombati diretti ad Auschwitz, offrendo in cambio alle guardie prestazioni sessuali. Oskar, secondo l'implacabile vedova, apri' la fabbrica non tanto per salvare gli ebrei, quanto perche' altrimenti sarebbe rimasto disoccupato, e quindi a rischio di finire soldato sul fronte orientale. Emilie inoltre rivendica il ruolo, trascurato nel film, di aver nutrito lei gli ebrei, ricorrendo al mercato nero a rischio della morte. Emilie ha precisato che Oskar, spia tedesca in Polonia, forni' le uniformi polacche indossate dagli incursori del battaglione Brandenburg per fingere l'incidente di confine usato come pretesto da Hitler per l'invasione.

Simone Gianfranco

Pagina 11
(16 ottobre 1997) – Corriere della Sera
http://archiviostorico.corriere.it/1997/ottobre/16/vedova_Oskar_Schindler_lista_Non_co_0_971016920.shtml

Per concludere, prof. Ricciardi, se non mettete i vostri allievi al corrente di questi fatti siete voi a fare “propaganda politica”, non il vostro studente.

Distinti saluti,

Andrea Carancini

"Swindler's Mist": la nebbia dell'imbroglione





[2] Ibidem.
[4] Vedi ad esempio la recensione di “Schindler’s List” fatta a suo tempo da Michael Hoffman, Swindler’s Mist: A Critical Review of Steven Spielberg’s Film, “Schindler’s List [La nebbia dell'imbroglione: una recensione critica del film di Steven Spielberg "Schindler's List"]: http://www.revisionisthistory.org/shindler.html