Qualche foro. Qualche Olocausto. La tragicommedia della storiografia di Auschwitz

David Irving sul tetto del Crematorio II, in cerca dei fantomatici fori

QUALCHE FORO. QUALCHE OLOCAUSTO[1]

Le tesi di Provan e Mazal

Di George Brewer

Sin dai primi anni ’70, è stato fatto un tentativo per stabilire la veridicità della tesi largamente diffusa che milioni di esseri umani vennero gasati e cremati nei quattro crematori del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, nella Polonia sud-occidentale.

Certo, vi sono sempre state le testimonianze. Ma l’essenza della sfida dei revisionisti, da Paul Rassinier, a Arthur Butz, Robert Faurisson, e Wilhelm Stäglich, inclusi molti ricercatori più recenti, è stata semplicemente questa: se le testimonianze sono tutto quello che c’è, allora si deve avere la libertà di contestarne le affermazioni.

Jean-Claude Pressac
Per rispondere soprattutto alle critiche di Robert Faurisson, i guardiani francesi dell’Olocausto finanziarono lo sforzo del farmacista francese Jean-Claude Pressac di provare la fattualità della tesi che vi sono altre prove, oltre alle testimonianze, a dimostrare che milioni di persone vennero gasate e cremate ad Auschwitz: in particolare, prove documentarie e prove forensi (archeologiche). Il culmine di questo sforzo fu il famoso, benché raro, libro Auschwitz: Technique and Operation of the Gas Chambers del 1989.

Purtroppo, se le scoperte documentarie di Pressac lasciavano in qualche modo a desiderare, i suoi sforzi archeologici crearono più domande che risposte. Tutto ciò era vero in modo particolare riguardo ai fori del tetto della principale “camera a gas” del Crematorio II di Birkenau, in cui si ritiene siano state uccise mezzo milione di persone. Dopo lunghe ispezioni sul posto, Pressac fu costretto ad ammettere di non essere in grado di trovare i fori sul tetto attraverso cui il gas tossico Zyklon B veniva versato nella camera a gas. Così scrisse all’epoca:

Secondo la fotografia aerea del 24 agosto 1944, i quattro punti di introduzione erano ubicati lungo una linea che attraversava la stanza nella parte ORIENTALE. Nelle rovine attuali, due di queste aperture sono ancora visibili nell’estremità sud ma nella parte OCCIDENTALE. Fino ad ora, nessuno sembra essersi preoccupato di questa contraddizione, né di doverla spiegare.

Robert Faurisson
Poiché il libro di Pressac era diretto in modo specifico contro Faurisson, a Faurisson rimase l’onere della risposta. Il professore francese di letteratura, mentre scriveva diverse critiche analitiche al libro di Pressac, non riuscì a contenere il suo senso dell’assurdo: il fatto era che, se Pressac aveva ammesso l’assenza dei fori giusti sul tetto del Crematorio II, egli aveva ammesso anche, essenzialmente, che nessuna gasazione aveva potuto aver luogo lì. Nella misura in cui questi specifici stermini erano essenziali alla vulgata dell’Olocausto, ne seguiva – certo, con un’iperbole un po’ insolente – che l’Olocausto non era accaduto. Perciò, Faurisson applicò all’ammissione di Pressac una reductio ad absurdum: “Niente Fori, Niente Olocausto”.

I recenti sforzi di Charles Provan[2] e di Harry Mazal[3] OBE[4] costituiscono un tentativo per provare che Pressac aveva torto e, in realtà, che almeno alcuni dei fori sul tetto sono i fori attraverso cui il gas tossico veniva versato sulle vittime. C’è una ragione per questa situazione. Nel corso degli anni, la famosa battuta di Faurisson è stato largamente usata dai revisionisti per irridere l’establishment dell’Olocausto a causa del suo approccio inetto alla realtà storica. Certo, la sfida dei revisionisti non dipende dalla questione dei fori, ma la riconosciuta assenza persino di questi fori ha contribuito a far passare la dipendenza dell’establishment dalle rivelazioni dei testimoni dalla categoria del semplicemente incongruo a quella del distintamente ridicolo.   

Robert Jan van Pelt
Così, durante il suo processo all’inizio del 2000, lo storico inglese David Irving sfidò il reclamizzatissimo esperto di Auschwitz, Robert Jan van Pelt, a mostrargli i fori sul tetto della “camera a gas” del Crematorio II. Van Pelt, a sua volta, sostenne – nel suo rapporto peritale, come pure nella sua testimonianza [al processo] – che i fori originali attraverso cui il gas tossico veniva introdotto non stavano più lì, insinuando, in modo un po’ vago, che erano stati chiusi prima del tentativo dei tedeschi di far esplodere il tetto. In breve, al processo Irving versus Lipstadt venne stabilito che i fori non sono lì ora, ma il giudizio della Corte ritenne che le gasazioni avevano comunque avuto luogo.

La doppiezza necessaria per assumere questa posizione è all’origine degli sforzi, diventati affannosi, non per trovare i fori assenti, ma per dichiarare che alcuni dei fori esistenti sono quelli giusti. Mazal, per esempio, mediante l’acquisto di diverse fotografie di provenienza ancora non rivelata, sostiene adesso di essere riuscito a trovare almeno tre dei fori usati per le gasazioni. Provan, nel frattempo, ha sostenuto tale tesi in base ad un’altra serie di fori.

Questi tentativi presentano molti problemi. In primo luogo, la mancanza di competenza di questi sforzi è denunciata in modo chiaro da Brian Renk, i cui scritti revisionisti sono largamente conosciuti, e che, incidentalmente, è probabilmente il solo esperto di entrambi gli schieramenti con una conoscenza professionale delle opere in muratura e in cemento. La critica di Renk può essere letta qui:  http://www.codoh.com/gcgv/gcgvholes1.html

mentre ulteriori commenti agli argomenti di Provan possono essere consultati qui:

http://www.codoh.com/gcgv/gcgvholes2.html

Charles Provan
il secondo problema è che nel loro zelo di stabilire la realtà dei “fori sul tetto”, sia Mazal che Provan contraddicono la competenza di Jean-Claude Pressac e di Robert Jan van Pelt. Che due dilettanti possano detronizzare così facilmente la competenza delle più grandi autorità del mondo su Auschwitz la dice lunga sulla mancanza di competenza e di rigore che vige nell’establishment dell’Olocausto e tutto ciò, inoltre, avvalora la sfida dei revisionisti alla predetta competenza.

Il terzo problema, come le critiche di Renk dimostrano, è che queste fenditure e fessure sul tetto di cemento non sono i fori attraverso cui il gas sarebbe stato versato, e che se noi accettassimo la tesi per amor di discussione ci troveremmo di fronte ad uno scenario di gasazioni di massa non pianificate, per nulla sistematiche, che vennero a quanto pare improvvisate nel modo più casuale, e che sarebbero state attuate solo nel modo più saltuario. In breve, accettare i fori di Provan o di Mazal porta ad una concezione di gasazioni occasionali in edifici che non erano affatto stati progettati o costruiti a tale scopo. Ma tale conclusione contraddice la nozione dell’establishment che le gasazioni vennero pianificate in modo sistematico e condotte su vasta scala. In altre parole, accettare i fori di Provan o di Mazal porta, al massimo, ad uno scenario di qualche gasazione su piccola scala. Qualche foro. Qualche Olocausto.

Harry W. Mazal
Insomma, bisogna dire che tutti questi sforzi si basano su una falsa premessa; Provan e Mazal sembrano agire nell’illusione che se si liberano della battuta di Faurisson allora hanno provato la fattualità delle loro tesi. Alla fine, però, tutto ciò che sono riusciti a raggiungere è denigrare i loro stessi esperti, contraddire le loro “prove” fotografiche, confutare le loro convinzioni sulle gasazioni sistematiche e accuratamente pianificate di Auschwitz-Birkenau e, di certo, rendersi ridicoli. E, last but not least, rimanere al punto di partenza, con nient’altro che testimonianze. È questo il risultato inevitabile quando si cerca di confutare accuratamente degli slogan deliberatamente iperbolici: quello di trasformare la ricerca paziente della verità storica nell’assurdità di rovesciare degli argomenti “straw man”[5] 

Postilla di Andrea Carancini 

All’articolo di Brewer va aggiunto che Brian Renk, dopo aver scritto le due predette serie di commenti, sviluppò poi la sua critica ai sostenitori dell’esistenza dei fori olocaustici in un saggio vero e proprio, intitolato Convergence or Divergence?: On Recent Evidence for Zyklon Induction Holes at Auschwitz-Birkenau Crematory II[6] (“CONVERGENZA O DIVERGENZA? – Sulle recenti prove delle aperture per l’introduzione dello Zyklon nel Crematorio II di Auschwitz-Birkenau”) che ho tradotto anni fa e che è disponibile al seguente indirizzo:

http://ita.vho.org/convergenza%20o%20divergenza....htm

Da tale saggio vale la pena citare l’ultimo capoverso:

Se le aperture per lo Zyklon sul tetto del Leichenkeller 1 fossero davvero state lì, come affermato dai più importanti testimoni pochi mesi dopo la fine di Auschwitz, la prova indubbia della loro esistenza starebbe lì, visibile ancora oggi. Ma non c’è, e gli sforzi dei più qualificati esperti sterminazionisti e dei dilettanti più assidui per giustificare l’assenza di questa prova, come l’assenza di ogni altra prova d’epoca oltre alle dichiarazioni rese in un processo “show” organizzato dai sovietici – come pure nei processi successivi – hanno prodotto per l’industria dell’Olocausto solo una tragicommedia. In realtà, non c’erano aperture per lo Zyklon nel Crematorio II di Auschwitz-Birkenau, e l’assenza di quegli umili fori lascia il mito di Auschwitz devastato come il cemento, e contorto come uno dei tondini di ferro, delle presenti rovine della camera mortuaria.

Le rovine attuali del Crematorio II di Birkenau




[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://vho.org/tr/2001/3/tr07someholes.html
[2] Deceduto l’11 dicembre 2007: http://en.wikipedia.org/wiki/Charles_D._Provan
[4] OBE: acronimo che sta per Order of the British Empire, Ordine dell’Impero Inglese, onorificenza di cui Mazal venne insignito nel 1983 dalla Regina Elisabetta per “Service sto the Crown”, servizi alla Corona. Fonte:  http://www.holocaust-history.org/team/