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Volpe argentata nazisionista |
In uno degli spazi di discussione in rete da me frequentati
nei giorni scorsi, mi ha colpito un commento rivoltomi da una gentile lettrice,
che cercava di moderare un diverbio sorto con uno zelante propagandista della
Shoah:
“Carancini, per favore, nei giorni della memoria non si può andare a buttare un
fiammifero sulla legna secca. Rischia di bruciare tutto”.
La frase mi ha fatto riflettere.
La prima immagine che mi è venuta in mente è quella della
catasta di legna, anzi, di una catasta:
quella con cui in Dies irae,
uno dei capolavori di Carl Theodor Dreyer, viene bruciata la strega Marte
Herlofs.
Questo è infatti il clima indotto – volutamente indotto – dal
Giorno della Memoria,
la ricorrenza istituita con la legge 211 del 2000 su iniziativa – naturellement – di Furio Colombo.
Un clima, è il caso di dirlo, da inquisizione, da caccia
alla streghe.
Quel clima che in Europa produce, ormai da decenni,
innumerevoli “prigionieri di coscienza”, grazie alle famigerate leggi antirevisioniste.
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Ernst Zundel: il più famoso dei "prigionieri di coscienza" dell'Eurolandia |
Ma che anche in Italia, dove pure la legge antirevisionista
ancora non c’è, ha prodotto le sue vittime: la più nota è il prof. Renato
Pallavidini.
Pallavidini, proprio lui, quello ripiombato qualche
settimana fa – per certe frasi inconsulte da lui proferite su Facebook – nel
temuto ruolo di “famoso per quindici minuti”.
Ripiombato, perché vi era già piombato: additato al pubblico
ludibrio nel 2007, e quella volta
solo per essersi rifiutato di celebrare in classe proprio il “Giorno della Memoria”.
Quella volta Pallavidini, il cui livello scientifico non è
sfuggito a un osservatore attento come Ugo Tassinari, si era
limitato infatti a sostenere, in termini
assolutamente piani e civili, che l’iniziativa in questione è “celebrativa
e strumentale: serviva solo a creare nell’opinione pubblica un clima sempre più
favorevole alla politica israeliana, aggressiva e militarista nei confronti del
popolo palestinese e dei paesi arabi confinanti”.
Ineccepibile, oltre che civile.
Al ludibrio mediatico seguì quello professionale:
l’amministrazione scolastica infatti lo sanzionò (perdita di scatto di anzianità
lavorativa) e lo inquisì, sottoponendolo
addirittura a visita psichiatrica (in cui gli vennero addirittura chieste
opinioni sui suoi genitori e … sul Partito democratico)!
Insomma, se esprimi le tue opinioni – anche se in modo appropriato e civile – prima
ti sbattono in prima pagina e poi ti trattano da “matto”
Se poi dentro ti si rompe qualcosa e dai “di matto” davvero, allora
sei pronto per il rogo: quello professionale, almeno, visto che i nemici del
professore torinese sono riusciti a fargli perdere il lavoro.
È la classica profezia auto-avverante: ho letto con i miei
occhi qualche settimana fa su Facebook di utenti che invocavano per Pallavidini
il Trattamento Sanitario Obbligatorio!
Ecco qual'è il clima sociale che si trovano a dover affrontare tutti coloro
che non si inchinano alle storie raccontate dai “pii sopravvissuti
dell’Olocausto”, quelli sbugiardati nel Grande Processo di Toronto del 1985
dall’avvocato Doug Christie e dal prof. Faurisson, quelli che nei 40 anni
precedenti non erano mai stati seriamente (contro) interrogati!
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"Dies irae", di Carl Theodor Dreyer (1943) |