Un colloquio internazionale consacrato a
La mémoire d’Auschwitz dans l’art contemporain è stato organizzato a Bruxelles l’11 e il 13 dicembre 1997. Come si vedrà, gli atti del colloquio non sono certamente senza interesse per il ricercatore.
Ma, innanzitutto, ricordiamo che, secondo la storia ufficiale, più di 400.000 ebrei ungheresi sono stati deportati ad Auschwitz nell’estate ’44 e gasati per la maggior parte al loro arrivo: è la pagina più sanguinosa della storia di Auschwitz; in generale, d’altronde, gli inabili venivano sistematicamente gasati all’arrivo: tutti lo sanno bene. Ora, uno degli intervenuti a questo colloquio, una pittrice israeliana di nome Sara Gottliner-Atzmon, è una di questi ebrei ungheresi e la versione della storia che ella fornisce nella presentazione della sua opera pittorica
non è certamente conforme alla storia ufficiale. Sara è nata a Hajdunas (Ungheria) nel 1933; era la quattordicesima di 15 figli. Quando aveva 9 anni (dunque verso il 1942), suo padre e quattro dei suoi figli vennero inviati in un campo di lavoro. Ma, apparentemente, il padre – almeno – ne fu liberato perché nel 1944 venne inviato con «
la famiglia » ad Auschwitz. Sara aveva dunque 11 anni e uno dei suoi fratelli e sorelle era anche più giovane, per non parlare di un nipote di tenera età e di altri fratelli e sorelle che non dovevano essere molto più grandi di lei (la mamma aveva solo 44 anni): eppure costoro non furono gasati; di solito, i bambini sopravvissuti spiegano il fatto in un modo o nell’altro: per esempio, «
Le camere a gas erano guaste », oppure, «
Non c’era più gas », ma Sara, lei, spiega come è riuscita a sfuggire all’ «
INFERNO »
. Ella ha perduto, afferma, 70 persone della sua famiglia (il che sembra assai esagerato, come vedremo) ma, in nessun momento, ella cita le camere a gas (tranne in un’occasione e per un campo in cui nessun membro della sua famiglia vi ha messo piede e per il quale gli stessi storici ufficiali cominciano a smontare le dette camere a gas: Majdanek); suo padre, per esempio, è morto, ma di fame e di privazioni a Strasshof, in Austria (sua madre è tornata e, a quanto pare, anche la maggior parte dei suoi fratelli e sorelle, poiché afferma di aver perduto 3 fratelli, ma non necessariamente nella deportazione). Fine 1944: la madre e i suoi figli furono evacuati da Auschwitz e trascorsero 4 giorni a farsi disinfettare a Strasshof, da dove partirono per Bergen-Belsen, dove vi furono detenuti per 5 mesi. Nell’aprile ’44 [deve necessariamente trattarsi dell’aprile 1945, n. d. t.] vennero liberati dagli americani nei pressi di Magdeburgo; costoro posero loro la scelta: andare negli Stati Uniti o andare in Palestina. Senza esitazione, Sara e sua madre scelsero la Palestina e andarono colà passando per Buchenwald, accompagnati da un «
gruppo di bambini dai 10 ai 15 anni ».
I ricordi di Sara sono certamente confusi: così ella afferma di essere passata per Strasshof sia nel luglio ’44 che alla fine del ’44, o ancora che è stata liberata sia dagli inglesi a Bergen-Belsen che dagli americani nei pressi di Magdeburgo, ma queste discordanze possono essere considerate come non significative: l’«
essenziale » -- per riprendere un discorso caro agli storici ufficiali – è che
lei e gli altri bambini della sua numerosa famiglia sono passati per Auschwitz e che non vi sono stati gasati. La Polizia del Pensiero potrà spiegarci questa violazione del dogma?