Edoardo Spagnolo: sul negazionismo sedicente cattolico contro Bartolomeo de las Casas

Bartolomè de las Casas
UNA CORRENTE STORIOGRAFICA SEDICENTE CATTOLICA
CHE DISONORA LA SPAGNA E LA MEMORIA DI PAPA PAOLO III

Di Edoardo Spagnuolo

Quando si parla di crimini del colonialismo europeo si tende solitamente a circoscrivere il fenomeno alla conquista e al governo della monarchia spagnola nelle Americhe. In realtà diverse nazioni europee, a cominciare dall'Inghilterra, si sono rese protagoniste negli ultimi secoli di genocidi e di delitti di inaudita gravità. La Spagna, al contrario, è l'unica nazione europea che nel corso dei secoli ha dato i natali ad un gran numero di personalità di grande rilevanza, che hanno tentato di denunziare e per quanto possibile contrastare le storture gravissime della colonizzazione realizzata dal proprio paese nelle Americhe.
In questa nazione tuttavia, perdura una corrente storiografica, grazie a Dio del tutto minoritaria, che da sempre si sforza di negare o di minimizzare i crimini dei coloni spagnoli in America. Recentemente questa tradizione storiografica ha conosciuto un piccolo rilancio, dal momento che è riuscita a
permeare con le proprie idee larga parte di quegli ambienti cattolici, che in tutto il mondo contestano la deriva modernista delle gerarchie ecclesiastiche, a partire dal Concilio Vaticano II (contestazione che il sottoscritto condivide pienamente).
Questi storici, legati generalmente al pensiero politico dell'estrema destra spagnola e sudamericana (argentina e brasiliana in particolare), concentrano il loro livore nei riguardi di Bartolomeo de las Casas[1], a loro giudizio, responsabile principale di questa campagna di denunzia nei riguardi della
colonizzazione spagnola. C'è uno scritto in particolare del frate sivigliano, che li fa andare in bestia: la celebre “Brevisima relacion de la destruicion de las Indias”, redatta l'8 dicembre 1542.
Le reazioni nei riguardi di questo scritto sono solitamente improntate ad una esasperata emotività, ma alcuni storici di questa corrente hanno tentato di contestarne “scientificamente” la fondatezza. Il loro impianto critico però è molto debole. Vanno alla ricerca di quelle notizie che, secondo il loro
giudizio, apparirebbero chiaramente infondate o poco credibili per insinuare il discredito verso tutta l'opera. Se venisse accettato un sistema del genere allora non si salverebbe nessun libro di storia. Lo storico serio e scrupoloso sa benissimo infatti che i margini di errori di ogni ricerca storiografica sono
sempre alquanto elevati, tanto più quando l'indagine è rivolta a vicende del passato. È certamente possibile che la “Brevisima relacion” del las Casas contenga degli errori, ma questo, di per sé, non è sufficiente per inficiare tutta l'opera.
Del resto se errori sono presenti nella relazione il frate spagnolo ha responsabilità limitate, dal momento che la parte che riguarda i crimini verificatisi nell'isola di Espaniola non è frutto delle conoscenze (o dell'immaginazione) del las Casas, ma è una trascrizione puntuale e persino letterale di un atto di accusa precedente, sottoscritto da tutti i religiosi delle province domenicane e francescane dell'isola, documento redatto nel 1517, quando il las Casas era un sacerdote secolare, estraneo all'ordine di San Domenico. Con la sua “relacion” il las Casas ha divulgato in parte dei fatti testimoniati e già denunziati da altri religiosi, alcuni dei quali furono dei missionari insigni, morti in concetto di santità. L'autorevolezza, la santità (riconosciuta da tutti) di questi missionari è tale da rendere impossibile avere dei dubbi sulla veridicità dei fatti narrati. Questo documento del 1517, disgraziatamente poco conosciuto (ma che speriamo di divulgare in un prossimo futuro), dimostra, da solo, senza possibilità di dubbio che quanto meno nell'isola di Hispaniola il comportamento della plebe spagnola che vi si riversò fu di inaudita ferocia e viltà. Questo documento conferisce pertanto
una completa veridicità alla parte della “Brevisima relacion” (redatta venticinque anni dopo!), che narra sinteticamente (rispetto alla fonte originale) i fatti dell'isola di Hispaniola. Gli storici "negazionisti”, ovviamente, si guardano bene dal citare questa testimonianza più antica, di eccezionale rilevanza storica: se si fa credere che Bartolomeo de las Casas è stato l'unico ad aver denunziato certe cose e si lascia intendere che lo stesso sia stato un matto, un esaltato, allora l'impresa di distorcere la verità dei fatti diviene più facile.
La “relacion” del frate spagnolo ha anche un altro precedente di eccezionale rilevanza: la bolla “Veritas Ipsa” del 2 giugno 1537, che papa Paolo III inviò a tutta la cristianità e nella quale vengono ribaditi con  l'autorità che proviene dalla Santa Sede i concetti di fondo espressi dal frate spagnolo.
Anche questo documento, non proprio secondario, viene taciuto dai suddetti sedicenti cultori delle verità storica.
La bolla di papa Paolo III è interessante, non tanto per quello che dice, ma per le notizie storiche che trasmette. Se il papa decise di sanzionare i maltrattamenti degli indios da parte degli spagnoli, significa che dovette essere informato dettagliatamente del fenomeno. Ora se è largamente documentato
il grande lavoro che Bartolomeo de las Casas svolse nel denunziare la situazione delle Americhe presso i reali di Spagna, non esiste alcuna documentazione significativa che dimostri che abbia fatto altrettanto presso la Santa Sede. D'altra parte è impensabile che il sommo pontefice avesse deciso di compromettere la Santa Sede su una questione così delicata solo grazie alle denunzie di un povero frate domenicano. È evidente allora che il papa fu informato da altri. Molto probabilmente fu informato dai vertici dell'ordine domenicano e francescano e dalla stessa gerarchia cattolica delle Americhe. Quel che è certo è che tali informazioni dovettero essere a tal punto autorevoli e insistenti da convincere il papa sulla gravità della situazione e sulla necessità di agire.
Tutti gli storici della corrente anzidetta denigrano Bartolomeo de las Casas in maniera inqualificabile, con gli epiteti più offensivi e calunniosi. Alcuni anni fa una rivista cattolica di Madrid ha ospitato un articolo, in cui si parlava addirittura di uno spirito “antievangelico”, che avrebbe animato
Bartolomeo de las Casas. Per questi cattolicissimi detrattori c'è però un gravissimo problema di coscienza. Ad un certo punto il povero frate sivigliano fu eletto alla dignità di successore degli apostoli, di vescovo di Santa Romana Chiesa. Inizialmente gli fu proposta la cattedra di Cuzco, che allora era una delle sedi episcopali più prestigiose d'America. Solo dinanzi al fermo rifiuto del frate si ripiegò su una diocesi del Chiapas. Il papa, dunque, non solo non ebbe mai nulla da ridire contro questo frate ”antievangelico”, ma accettò pure che fosse consacrato vescovo. È appena il caso di ricordare che nel sedicesimo secolo un ecclesiastico per divenire vescovo doveva avere le carte
perfettamente in regola con la Santa Inquisizione (particolarmente in Spagna).
D'altra parte in quel tempo, diversamente dai giorni nostri, i vescovi di tutta la cristianità erano in un rapporto di stretta dipendenza dalla Santa Sede. Monsignor Bartolomeo de las Casas non poteva fare eccezione. Si conservano in effetti numerose lettere, che papa Paolo III inviò a questo vescovo, lettere che iniziano con l'espressione “Diletto figlio” e in cui si manifesta affetto verso il las Casas e piena corrispondenza alle sue richieste. Particolarmente significative risultano le quattro lettere del 19 dicembre 1543, spedite rispettivamente al capitolo, al clero, al popolo e ai “vassalli” della diocesi del las Casas, nelle quali il pontefice comanda ubbidienza e devota riverenza verso il vescovo “Bartholomeo”, prescrivendo al tempo stesso che tutti accolgano e mettano in pratica umilmente i suoi salutiferi ammonimenti e le sue disposizioni. Particolare non secondario: la “Brevisima relacion” era stata pubblicata un anno prima rispetto a queste raccomandazioni della Santa Sede, che dunque, dovette accogliere senza riserve la gravissima denunzia del las Casas.
Se dunque monsignor de las Casas era un “antievangelico” a maggior ragione doveva esserlo papa Paolo III, perfettamente al corrente di tutto ciò che riguardava il suo “diletto figlio”. Di qui a qualificare questo papa come un anticristo il passo è breve. A questo punto non sappiamo che trattamento questi detrattori avrebbero potuto avere se fossero vissuti al tempo dell'Inquisizione
spagnola, che, al contrario, non ebbe nulla da obiettare su questa grande figura di apostolo delle Americhe.
L'insolenza di questi storici “cattolicissimi” non ha alcuna misura. Come tutti i propagatori di menzogne hanno tuttavia un alleato formidabile e difficile da contrastare: l'ignoranza. La cecità di questi autori, sedicenti nazionalisti, li conduce a denigrare un personaggio che ha contribuito come
pochi altri a tenere alto l'onore nazionale della Spagna.

Papa Paolo III nel celebre quadro del Tiziano


[1] Livore da cui non è immune neanche la relativa voce italiana di Wikipedia (http://it.wikipedia.org/wiki/Bartolom%C3%A9_de_Las_Casas ) che, al riguardo, fa persino opera di disinformazione: confronta ad esempio quanto falsamente scrive Wiki a proposito della controversia fra las Casas e il suo nemico Sepúlveda (“la disputa si risolse in un nulla di fatto”) con quanto risulta invece dalla voce consultabile in SANTI, BEATI E TESTIMONI, da cui risulta invece che las Casas vinse la causa nel 1550:  http://www.santiebeati.it/dettaglio/92344 (Nota di Andrea Carancini).