Con Elie Wiesel le contraddizioni sono il prezzo del biglietto

WIESEL SI CONTRADDICE CON GLI STUDENTI DELLA CHAPMAN

Di Carolyn Yeager, 4 aprile 2011[1]

Il Los Angeles Times[2] ha inviato il suo reporter a seguire il grande arrivo alla Chapman University, durante la prima settimana di aprile, dell’Eroe dell’Olocausto. La sezione locale del giornale presentava un servizio sulla visita di Wiesel, con 21 studenti, nella biblioteca del campus dedicata all’Olocausto.

Di questi tempi, Wiesel dà meno risposte (non ci si aspetta molto da lui) e parla con un linguaggio di frasi fatte in cui si è specializzato. Può essere sicuro che i suoi ascoltatori attribuiranno un significato profondo a qualunque cosa esca dalla sua bocca. Ad esempio:

Uno (studente) voleva sapere in che modo Wiesel riuscì a superare i ricordi della morte di suo padre, sua madre e sua sorella per poter scrivere il suo primo libro, ‘Notte’, un racconto autobiografico dei…campi di concentramento nazisti.

Con una profonda tristezza negli occhi, Wiesel ha replicato: “Solo quelli che erano lì sanno com’era. Dobbiamo portare testimonianza. Il silenzio non è ammesso”.

A Wiesel in realtà la domanda non è piaciuta, e ha dato una risposta sbrigativa che non era per nulla una risposta. La domanda era: come ha fatto a superare i [dolorosi] ricordi per poter scrivere il suo libro? La sua vera risposta, interpretata, è stata: “Non voglio, o non posso, rispondere alla tua domanda”. Ci possiamo chiedere perché non ha risposto a questa domanda, e anche perché non ha mai risposto a questa domanda. Non sarà che non ha idea di come rispondervi perché in realtà una cosa del genere non gli è mai accaduta?

Per farla suonare come una risposta, ha aggiunto due cose che non hanno niente a che vedere con la domanda: “Dobbiamo portare testimonianza” e “Il silenzio non è ammesso”. Questi sono modi di dire tra i suoi preferiti, tipicamente associati a lui. Sentendoglieli pronunciare, i suoi ascoltatori sono paghi di sentire il vero Wiesel, di essere benedetti da un momento “catartico”.

Un’altra domanda è stata più di suo gusto. “Come può questa generazione preservare ciò che lei ha appreso lì?”.

Wiesel si è illuminato e ha detto: “Ascoltate i sopravvissuti. Adesso, sono una specie in via di estinzione. Questa è l’ultima possibilità che avete di ascoltarli. Credo con tutto il mio cuore che chiunque ascolti un testimone diventi un testimone. Dopo che abbiamo ascoltato, non dobbiamo rimanere inerti. L’indifferenza al male rende il male più forte”.

Ancora banalità. Ma un lettore mi ha fatto notare che Wiesel ha contraddetto ciò che aveva detto in un’altra occasione. Anche se sappiamo che le contraddizioni sono per quest’uomo il prezzo del biglietto di prammatica, è meritevole di annotazione che in un’intervista del 1978 con il New York Times, Wiesel pronunciò:

L’Olocausto [è] l’evento supremo, il mistero supremo, che non deve mai essere compreso o trasmesso. Solo quelli che stavano lì sanno cos’era; gli altri non lo sapranno mai[3].

Tutto ciò quadra con la sua prima risposta, ma non con la seconda. E allora, è che “solo quelli che stavano lì sanno com’era (intendendo che è impossibile trasmetterlo ad altri), o è che noi tutti possiamo “diventare un testimone” (e parlare con autorità su quello che è stato)?

Se voi, cari lettori, volete la risposta vera, eccola: qualunque cosa giovi all’Industria dell’Olocausto. Ecco la sola ragione per cui Wiesel va alla Chapman University: per pubblicizzare l’Olocaustianesimo, perché lui non aggiunge nulla all’apprendimento degli studenti. Eppure, tutto ciò viene preso con grande solennità dal corpo docente, dai media mainstream, e dagli stessi studenti salassati, che non capiscono quanto vengono presi in giro. In ambito universitario, ci si aspetta che essi trangugino per intero tutto ciò che ascoltano da fonti iconiche dell’olocausto. Le domande vere che hanno non trovano risposta. È una farsa di istruzione. Questa “fellowship”[4] presidenziale ci mostra che, quando si tratta di Elie Wiesel, è sempre “molto rumore per nulla”.   


[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.eliewieseltattoo.com/wiesel-contradicts-himself-to-chapman-students
[3] Elie Wiesel, “Trivializing the Holocaust” [Banalizzare l’Olocausto], New York Times, 16 aprile 1978; citato in Peter Novick, The Holocaust in American Life, 1999, p. 211.
[4] Nell’agosto del 2010, Wiesel ha accettato la nomina di “Fellow”, docente universitario, presso appunto la Chapman University: http://chapmannews.wordpress.com/2010/08/27/nobel-peace-laureate-elie-wiesel-accepts-chapman-fellowship/