Spagna: una lettera dal carcere di Pedro Varela

Ecco alcuni estratti di una lettera del revisionista spagnolo Pedro Varela, in cella per revisionismo dal 12 dicembre 2010 (dovrebbe scontare 3 anni e 4 mesi); la lettera è redatta in un impeccabile inglese. Eccone la traduzione:

In prigione, 9 marzo 2011

(…)
Il mio nuovo compagno di cella è molto più tranquillo del precedente. Molto più importante: è un non fumatore e questo fa una grande differenza. Guarda la TV ma non sempre, così possiamo avere qualche ora di relax al giorno. In qualche modo, è un « buddista », così prega i suoi « mandala », e tutto ciò rende l’ambiente totalmente diverso.

Sul fronte legale, l’Audiencia Provincial ha appena respinto il nostro « ricorso » con ragioni molto poco professionali e truffaldine. Così, adesso per appellarci abbiamo soltanto la Corte Costituzionale di Madrid. È da ottobre che aspettiamo una risposta, solo per sapere se ammettono che la nostra istanza venga discussa oppure no. In caso di risposta affermativa, dovrei essere libero, poiché hanno sempre bisogno di anni: l’ultima volta ebbero bisogno di 8 anni per riconoscermi il diritto di discutere dell’« olocausto ».

Gli psicologi addetti alla « rieducazione » hanno deciso di non accordarmi il 3° grado, perché non ammetto il mio « crimine » e mi sento – così secondo i loro scritti – una « vittima » del Sistema. Abbiamo appena fatto un « recurso » su tutto ciò. Esso non cambierà la situazione poiché, come hanno ammesso, ma oralmente, « hanno avuto ordini dall’alto » (!?) di tenermi qui il più a lungo possibile.

Come vede, non mi permettono di avere una macchina da scrivere o un computer. Non vogliono che io qui lavori o studi e non ho nessuna possibilità di concentrarmi in una biblioteca o in cella. Vogliono solo che io stia tutto il tempo nel « patio » a gironzolare. Ecco cosa intendono per « trattamento psicologico ». Non dovremmo contare su nessun « beneficio penitenciario ».

D’altro canto, il Procuratore lavora di concerto con i « rabbini » di Barcellona – è ciò che hanno dichiarato nel dossier – per riflettere sui « corsi speciali » che dovrei seguire per essere trasformato ;-)! Se non voglio prendervi parte, dicono, starò in prigione fino all’ultimo giorno. Allora, chi comanda nel nostro sistema giudiziario?

Mi sono proposto agli psicologi della prigione di aiutare le suore di Madre Teresa di Calcutta. Le conosco da quando stavo all’università, nel caso ritengano debba pagare con qualche lavoro di utilità sociale! Sempre meglio che entrare in un « master » intensivo di olocausto talmudico.

Cerco di leggere, quando ne ho la possibilità e gli altri carcerati mi lasciano solo, il che non accade mai.

L’aspetto più duro è stare lontano dalla mia piccola figlia, poiché non voglio che entri nell’ambiente della prigione, e si dovrebbero sobbarcare un lungo viaggio dalla Danimarca solo per una breve visita.

Continuiamo a portare avanti il nostro lavoro di pubblicazioni e di conferenze, grazie al gruppo di giovani che stanno fuori. E questo è esattamente quello che loro non vogliono che facciamo. Così, mi faranno « pagare » per questo.

Se guardiamo ai nostri combattenti revisionisti, Germar, Vincent, Sylvia, Gerd e così via, la mia sorte non è cattiva come la loro e non altrettanto lunga e dura. Come sono solito dire, la prigione è come un « postmaster » che deve essere fatto.