Aggiornamento della controversia Faurisson-Mattogno sul rapporto Leuchter

Ancora su fred Leuchter  E ildenigratoreMattogno

di Carlo Mattogno

In un articolo su Fred Leuchter, autore della famosa perizia sulle presunte camere a gas di Auschwitz-Birkenau e di Majdanek, Robert Faurisson scrive:
«Quanto al revisionista Carlo Mattogno, egli ha denigrato (dénigré) il Rapporto Leuchter” non senza riprendere egli stesso i fiacchi argomenti di un Jean-Claude Pressac che però, anni dopo, si sarebbe reso conto, da parte sua, di aver difeso coll’aiuto e col denaro dei Klarsfeld un dossier “marcio” e buono solo per i “bidoni delle immondizie della storia”»[1].
Spiace dover ritornare su questa vecchia querelle, ormai chiusa da oltre un decennio, ma è necessario, e non tanto per la questione in sé, bensì per le sue implicazioni.
Del Rapporto Leuchter” mi occupai dettagliatamente nel 1996 nel libro Olocausto: Dilettanti allo sbaraglio. Pierre Vidal-Naquet, Georges Wellers, Deborah Lipstadt, Till Bastian, Florent Brayard et alii contro il revisionismo storico (Edizioni di Ar), il cui capitolo quinto, intitolato “Rapporto Leuchter: La parola agli “esperti”, si apre questa mia presa di posizione sulla questione:
«In questo capitolo non mi propongo di difendere il rapporto Leuchter – che,  personalmente, considero tecnicamente infondato, tranne per l'aspetto chimico, che richiede a mio avviso un ulteriore approfondimento – ma di esporre le principali critiche dei suoi oppositori, onde mostrare con quali argomentazioni insulse costoro, per imperizia o malafede, pretendono di aver demolito il rapporto in questione. Il fatto che esso sia stato attaccato e continui ad essere attaccato in massima parte con argomenti pseudoscientifici dimostra tutta la prevenzione – e il dilettantismo  – di questi oppositori. Non c'è bisogno di precisare che il mio giudizio sul rapporto Leuchter non deve nulla alle argomentazioni fallaci di  questi incompetenti, ma proviene dallo studio della letteratura tecnica relativa alla disinfestazione con acido cianidrico, dallo studio dei documenti d'archivio e dall'ispezione diretta dei luoghi. A titolo di esempio, alla fine del capitolo espongo una mia obiezione al rapporto Leuchter» (p. 181).
Indi confutai le insulse critiche di Georges Wellers, Brigitte Bailer-Galanda, Josef Bailer, Werner Wegner e Till Bastian, senza risparmiare Pressac, riguardo al quale rilevai che, sebbene si situasse su un altro livello rispetto a questi olopropagandisti, «tuttavia  non si può non rilevare che  tanto sono esatti i suoi rilievi architettonici, altrettanto sono inesatte le sue obiezioni tecniche, a cominciare dalla sua confutazione della prova chimica di Leuchter», obiezioni che confutai (pp. 204-207).
Il capitolo in questione si chiude con un paragrafo in cui esponevo a titolo di esempio una obiezione scientifica al del  Rapporto Leuchter”, che riporto senza note:
«Leuchter  ha messo in evidenza i pericoli dell'impiego di acido cianidrico nei crematori di Auschwitz-Birkenau con  questa argomentazione:
“Non solo il gas non è immediato, ma esiste sempre un rischio di esplosione. La miscela gassosa totale è generalmente al di sotto del limite inferiore di esplosività della miscela gas-aria di 0,32% (poiché la miscela normalmente non dovrebbe superare le 3.200 ppm), ma la concentrazione del gas nel generatore (o, nel caso dello Zyklon B, nel supporto inerte) è molto più grande e può anche essere del 90-99% in volume. Questo è quasi acido cianidrico puro e in questa condizione può esistere  in certi momenti in sacche nella camera”.
Jean-Claude Pressac obietta:
“I limiti di infiammabilità nell'aria per l'HCN sono dal 5,6% (minimo) al 40% (massimo) in volume. Ciò significa che al contatto con una fiamma  c'è esplosione se la concentrazione di acido cianidrico con l'aria è compresa tra 67,2 g/m3 e 480 g/m3. Al di sotto di 67,2 g/m3 non c'è alcun rischio; al di sopra di 480 g/m3 neppure, perché non resta abbastanza ossigeno per provocare una infiammazione. Le SS utilizzavano dosi di 5g/m3  per disinfestare e di 12 g/m3  per uccidere, dosi largamente al di sotto del limite di 67,2 g/m3. I loro crematori e le loro camere a gas non potevano perciò esplodere”.
Ma questo è appunto ciò che ha detto Leuchter. Resta da vedere se queste eventuali sacche di miscela esplosiva avrebbero rappresentato  un reale pericolo.
A questo argomento si possono opporre almeno quattro obiezioni:
1) I massimi specialisti tedeschi della disinfestazione con acido cianidrico hanno sempre escluso nell'uso pratico il pericolo di esplosione. Ad esempio, Gerhard Peters, una delle massime autorità tedesche degli anni Trenta e Quaranta in questo campo, scrive al riguardo in un manuale tecnico.
“Infatti, dal fatto che una miscela gas-aria sia esplosiva, non si deve  dedurre senz'altro che il suo impiego comporti in ogni caso rischi di esplosione. Non appena la concentrazione necessaria è notevolmente al di sotto del limite inferiore di esplosività, non si parla più di un rischio di esplosione, come risulta nel caso dell'acido cianidrico” .
Egli rileva che l'acido cianidrico era usato a scopo di disinfestazione in concentrazioni di 10-20 g/m3 e conclude:
“Il limite inferiore di esplosività dell'acido cianidrico è già sufficientemente alto per escludere qualunque pericolo di esplosione nei lavori pratici di gasazione”.
2) Se l'impiego di un gas comportava un rischio di esplosione, il gas veniva usato ugualmente. Alcuni gas, come il T-Gas, venivano impiegati normalmente a scopo di disinfestazione in concentrazioni prossime al limite inferiore di esplosività, altri, come il solfuro di carbonio (Schwefelkohlenstoff) in concentrazioni addirittura superiori (50-100 g/m3; il limite inferiore di esplosività è di 34 g/m3). In questi casi il rischio di esplosione esisteva concretamente, ma le gasazioni venivano eseguite ugualmente. C'erano infatti delle norme di sicurezza molto rigorose che, nella prassi delle gasazioni, consentivano di scongiurare qualunque rischio di esplosione. Nel caso del T-Gas, ad esempio, queste norme si articolavano in 19 punti. Per l'acido cianidrico non esisteva nessuna normativa di sicurezza di questo tipo.
3) Il progetto di una “camera a gas semplice” (einfache Gaskammer) prevedeva la presenza di una stufa elettrica all'interno del locale. Nelle camere a gas a Zyklon B degli impianti di disinfestazione BW5a e 5b di Birkenau  erano installate tre stufe a carbone, che sono ancora visibili nella camera a gas del BW5b.
4) Durante una gasazione, le stufe potevano essere accese senza rischio di esplosione. Un altro esperto di acido cianidrico, R.Queisner, scrive testualmente sulla base di esperimenti pratici eseguiti presso la  Scuola per disinfettori delle Waffen-SS di Oranienburg:
“Quando ci sono temperature esterne fredde, è meglio lasciare bruciare le stufe durante la gasazione (die Öfen während der Vergasung brennen zu lassen) e accollarsi le perdite di acido cianidrico causate da una parziale aspirazione del gas nel camino, oppure si devono far spegnere le stufe  per chiuderle ermeticamente e rinunciare così all'alta temperatura del locale  durante la gasazione? Dalle nostre osservazioni risulta che è meglio lasciar bruciare le stufe, purché non ci sia vento”.
Questo è appunto un esempio di argomentazione scientifica che si può opporre al rapporto Leuchter, ma perfino in questo caso relativamente semplice né Pressac né i suoi emuli sono stati capaci di andare al di là di una superficialità dilettantistica.
Una critica scientifica del rapporto Leuchter attende ancora di essere scritta» (pp. 212-215).
Tutto ciò  riguardava la parte del  Rapporto Leuchter” dedicata ad Auschwitz-Birkenau.
Nel 1998 fu pubblicato il libro KL Majdanek. Eine historische und technische Studie (Castle Hill Publisher, Hastings, Gran Bretagna), scritto da Jürgen Graf e da me, in cui dedicai un paragrafo al tema “Le camere a gas di Majdanek nella letteratura revisionistica”. In tale contesto esposi  anche le seguenti considerazioni sul “Rapporto Leuchter”:
«Nel corso della sua visita a Majdanek il 2 marzo 1988, Leuchter ha ispezionato le installazioni del nuovo crematorio e del Bad- und Desinfektion I [bagno e disinfezione I]; nel relativo rapporto egli è giunto alla conclusione che esse erano incapaci di adempiere lo scopo addotto, cioè non potevano essere usate a scopo omicida. A sostegno di questa affermazione egli ha portato una serie di argomentazioni sulle quali Jean-Claude Pressac ha espresso il seguente giudizio:
Qui l’incompetenza storica di Leuchter appare parimenti alla luce del giorno. […]. Essendosi privato della sua unica base valida, Leuchter sminuisce ancora di più i suoi commenti fondandoli sullo stato attuale dei luoghi senza tener conto delle risistemazioni che le costruzioni hanno subìto dalla liberazione per salvaguardarle dal deterioramento prodotto dal tempo. Irretendosi nei suoi falsi calcoli, Leuchter continua a far esplodere i crematori non appena vi suppone l’impiego di acido cianidrico in una camera mortuaria. Infine, essendo incapace di effettuare una visita completa del campo, egli si disinteressa di una camera a gas del blocco che ne contiene 3 situato a nord-est della baracca 42 (bagno e disinfezione 1), omette di studiare il plastico del campo, che gli avrebbe fatto comprendere la disposizione originaria delle installazioni che doveva periziare e non vede uno dei due forni mobili Kori del primo crematorio, conservato nella baracca 50 dell’esposizione del Museo. Essendo gravate da queste carenze, da questi errori, da queste omissioni, gli apprezzamenti di Leuchter sulle camere a gas e sul nuovo crematorio di Majdanek, perduta ogni base seria, non hanno alcun valore”.
Le accuse di J.-C. Pressac sono pienamente giustificate.
Leuchter ritiene che nel nuovo crematorio “le sole parti dell’edificio che esistevano prima della [sua] ricostruzione erano i forni crematori”, sicché anche la presunta camera a gas sarebbe stata ricostruita successivamente, il che è inesatto. Egli crede inoltre che, se in tale locale fosse stata eseguita una gasazione con Zyklon B, “il gas avrebbe raggiunto i forni e, dopo aver ucciso tutti i tecnici, avrebbe causato un’esplosione e distrutto l’edificio”, il che è tecnicamente impossibile.
Egli esclude poi la funzione criminale della baracca 42 – che non è mai stata asserita da nessuno – con questa motivazione: “Per [la baracca] Bagno e disinfezione 2, sebbene fosse chiusa, un’ispezione attraverso le finestre conferma che la sua funzione era solo quella di un impianto di disinfestazione simile a quelli di Birkenau”. Tuttavia, guardando attraverso quelle finestre, nulla permette di giungere a questa conclusione.
Riguardo alla camera IV, Leuchter rileva le macchie blu di ferrocianuro ferrico presenti nelle pareti e nel soffitto ed ipotizza che essa potesse essere «un locale di disinfestazione o un magazzino per materiale disinfestato», respingendo categoricamente la possibilità di gasazioni omicide. Gli argomenti addotti a sostegno di questa affermazione – mancanza di un camino di ventilazione, sistema di circolazione dell’aria mal concepito, porte non ermetiche –  sono però inconcludenti, essendo diretti contro l’uso stesso di Zyklon B nel locale, anche a scopo di disinfestazione, sicché essi sono smentiti proprio dalla presenza delle macchie suddette, che sono la prova inequivocabile di un uso intenso di Zyklon B nel locale. Nella sua discussione sulla camera III (che egli denomina n.1), Leuchter presenta argomentazioni ancora più fallaci: pur avendo osservato la caratteristica colorazione blu del ferrocianuro ferriconelle pareti di questo locale, egli pretende tuttavia che esso “non era progettato per HCN” ed esclude che risponda ai criteri richiesti non solo per una camera a gas omicida, ma perfino per un semplice impianto di disinfestazione (delousing facility): ma allora come si sono formate nelle sue pareti le macchie di ferrocianuro ferrico?
Secondo Leuchter la camera III non poteva essere usata per gasazioni con CO, “per la necessità di produrre 4.000 ppm (la concentrazione mortale) alla pressione richiesta di 2,5 atmosfere”, il che è tecnicamente insensato. Ma poi, in contraddizione con ciò, afferma che il locale in questione “è operativo per ossido di carbonio”.
Per quanto concerne la camera I (che egli denomina n.2), Leuchter esclude la possibilità di gasazioni omicide con CO perché “la tubatura è incompleta”, con HCN, in particolare, perché “non è mai stata praticata un’apertura sul tetto”. Il primo argomento non è chiaro, il secondo è privo di valore, perché l’attuale tetto è stato costruito dopo la fine della guerra. Leuchter rileva ancora che il blocco contenente le camere I, II e III è circondato da tre parti da un canaletto di cemento per i deflusso dell’acqua piovana e dichiara: “Questo è del tutto incompatibile con un progetto intelligente di impiego del gas perché in questo canale si sarebbero accumulate infiltrazioni di gas e, essendo al riparo del vento, non si sarebbe dissipato. Ciò avrebbe reso l’intera area una trappola mortale, specialmente con [l’impiego di] HCN”. In realtà  questo canaletto di deflusso  fu costruito  per proteggere dall’umidità le fondamenta dell’impianto di disinfestazione su proposta della perizia tecnica dell’ingegnere architetto T. Makarski del giugno 1965. Comunque, considerata la grande volatilità dell’HCN, non si vede come  un tale canaletto avrebbe potuto costituire un pericolo» (pp. 154-157).
Questi sono i fatti da cui è sorta la querelle.
Ora c’è da chiedersi: la critica documentata di uno scrittore revisionista nei confronti di un altro scrittore revisionista costituisce di per sé una denigrazione?  Se fosse così, il revisionismo avrebbe lavorato per decenni invano, anzi, in modo nefasto, soltanto per sostuituire una dogmatica olocaustica con una dogmatica revisionistica.
Pretendere che Fred Leuchter, in virtù delle ingiustificate persecuzioni da lui subìte,  non sia criticabile ma solo denigrabile, è un’aggravante, perché esattamente ciò gli olocultori affermano riguardo ai loro testimoni, ogni critica ai quali, per quanto documentata, viene da essi considerata appunto una denigrazione.
Non si può reclamare la libertà di critica all’esterno e praticare l’intolleranza all’interno, perché ciò costituirebbe il suicidio del revisionismo.


                                                                                                        Carlo Mattogno.



8 gennaio 2011