Mattei, De Mauro, Pasolini: il delitto è sempre al potere

Ho finito di leggere in questi giorni Delitto al potere[1], il libro scritto nel 1972 dal giornalista di Paese Sera Riccardo De Sanctis sui casi di Enrico Mattei e Mauro De Mauro. Libro interessante, in quanto inchiesta giornalistica senza tabù né (auto) censure. Il volumetto si segnalò all’epoca per il merito inusitato di rilanciare la tesi dell’omicidio di Mattei, che in precedenza era stata affermata con chiarezza solo da un’opera del 1970, L’assassinio di Enrico Mattei, di Fulvio Bellini e Alessandro Previdi.

De Sanctis fornì spunti che non mi sembra siano stati ripresi in seguito. Da 40 anni infatti quello di De Mauro è considerato essenzialmente un delitto di mafia. A tal proposito, segnalo la contraddittorietà di due dichiarazioni di Buscetta. Nella prima il pentito afferma:

“devo solo aggiungere che anche il rapimento di Mauro De Mauro, il giornalista dell' "Ora" di Palermo scomparso nel 1970, è stato effettuato da Cosa Nostra. De Mauro stava indagando sulla morte di Mattei e aveva ottime fonti all' interno di Cosa Nostra. Stefano Bontade venne a sapere che De Mauro stava avvicinandosi troppo alla verità - e di conseguenza al ruolo che egli stesso aveva giocato nell' attentato - e organizzò il "prelevamento" del giornalista in via delle Magnolie. De Mauro fu rapito per ordine di Stefano Bontade che incaricò dell' operazione il suo vice Girolamo Teresi. La scomparsa di De Mauro non suscitò alcun commento all' interno di Cosa Nostra. Era stato "spento" un nostro nemico e si dette per scontato che il triumvirato che reggeva allora l' associazione in luogo della Commissione provinciale, formato da Stefano Bontade, Gaetano Badalamenti e Luciano Liggio, avesse autorizzato l' azione”[2].

Nella seconda, rivolto al giudice Falcone, disse:

“Della morte dei giornalista
Mauro De Mauro non so nulla. Non è faccenda di mafia. Quando ne parlavo
con i miei interlocutori, questi sembravano stupiti. Ho sentito dire in
giro che la sua scomparsa è legata alla morte di un noto politico
italiano, credo che si chiamasse Enrico Mattei”[3].

Alla luce di questa discrasia, trovo interessante quanto affermato a suo tempo da De Sanctis (p. 103):

Risulta da ambienti molto bene informati che la mafia «ufficiale», la sua organizzazione, abbia cercato il corpo di De Mauro senza riuscire a trovarlo. Nel settembre, ottobre del 1970, infatti dopo la scomparsa del giornalista, migliaia di carabinieri, agenti di polizia e guardie di finanza setacciano scrupolosamente, con pignoleria ogni metro quadro della campagna siciliana, scovando depositi di armi, munizioni, merci di contrabbando, e arrestando decine di ricercati e pregiudicati, arrecando insomma, notevoli danni all’apparato illegale dell’isola e infastidendo notevolmente i professionisti del crimine. Anche la ricerca mafiosa di De Mauro non dette però risultati”.

E non pare che stiano dando grandi risultati, tornando al processo in corso, nemmeno testimonianze come quella di Massimo Ciancimino, che qualche giorno fa, riferendo il giudizio paterno sulla vicenda, ha attribuito il delitto De Mauro alla mafia sì, ma su imput di “ambienti istituzionali romani”[4]. Informazione un tantino generica, da parte di un mafioso al dentro delle segrete cose come don Vito.

Mi sembra più interessante quanto riferì De Sanctis a p. 86 della sua inchiesta:

“…Tutta la stampa di destra soffia sul fuoco cercando di mettere in cattiva luce Mauro De Mauro. La manovra non poteva essere casuale. Comprenderne il perché, significa individuare per quali ambienti De Mauro era divenuto scomodo”.

Ambienti che, a quanto pare, non erano esclusivamente neofascisti visto che, come ragguagliava sempre De Sanctis,

“A Palermo nell’estate 1970 vi è un agente italo-americano, che lavora per la CIA ed ha avuto stretti contatti con il servizio informazione dell’ENI. L’agente, che conosceva De Mauro da molto tempo, (era infatti venuto in Sicilia nel 1943 e vi aveva vissuto per una diecina d’anni) nell’agosto arriva a Palermo «in vacanza» e cerca ripetutamente di mettersi in contatto con il giornalista. Se i due si siano incontrati non sappiamo. Quel che è certo è che, il 20 settembre, quattro giorni dopo la scomparsa di De Mauro le sue «ferie» terminarono e tornò negli Stati Uniti. Nei giorni della scomparsa di De Mauro era a Palermo anche un certo maggiore P., un ufficiale superiore del SID. Non sappiamo se la sua presenza possa collegarsi alle indagini in corso” (pp. 123-124).

Pagine dimenticate, sepolte sotto il peso dell’ultima narrativa che fa testo sulla controversa vicenda: quella del delitto voluto perché De Mauro sarebbe stato al corrente del progettato Golpe Borghese[5]. Sarà vero? Mah…non ho certezze precostituite; osservo però che la narrativa in questione è sicuramente più accettabile per il Palazzo (termine caro a Pasolini) perché scarica sui soliti livelli minori (mafia-neofascisti) responsabilità ben altrimenti condivise, consentendo di relegare nel dimenticatoio il vero nervo scoperto del potere: il petrolio, l’ENI, la sovranità limitata dell’Italia.

Il petrolio: forse è davvero questo il filo che lega l’uccisione di Mattei, quella di De Mauro e quella di Pasolini. Tre figure che hanno in comune anche il fatto di essere state diffamate post mortem (diffamazioni che videro all’opera non solo i soliti neofascisti di servizio ma anche certi organi della grande stampa):

1. Mattei, a ridosso della scomparsa, venne dipinto (dal Financial Times, dall’Economist e dal Corriere della Sera) come un imprenditore virtualmente fallito, bisognoso, per non affogare, del salvataggio di quel cartello del petrolio che tanto aveva avversato[6].

2. Di De Mauro si scrisse che era “un ricattatore”[7].

3. La character assassination riservata a Pasolini è cosa nota.

La diffamazione postuma è un ben noto trattamento mafioso. Ma nel caso di questi tre delitti il trattamento venne dai predetti “ambienti istituzionali”[8], non dalle ciarle di qualche boss. Ambienti tuttora all’opera, oggi non meno di allora: vedi il fango gettato in questi giorni non solo contro Berlusconi ma contro Vladimir Putin[9], fango che in Italia viene accolto come manna. Gli ambienti che si sono serviti dei corleonesi per il cambio di regime del 1992-93 - quello finalizzato al saccheggio delle aziende di stato - e ai quali fa un baffo che un ferro vecchio come Totò Riina venga rottamato come mandante dell’omicidio di De Mauro.

Stiamo in Italia, il 51° Stato degli Stati Uniti d’America.

[1] Riccardo De Sanctis, DELITTO AL POTERE – l’«incidente» di Mattei, il rapimento di De Mauro, l’assassinio di Scaglione, La nuova sinistra Edizioni Samonà e Savelli, Roma, 1972.
[2] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/05/23/buscetta-cosa-nostra-uccise-enrico-mattei.html
[3] http://www.odg.mi.it/node/30514
[4] http://www.antimafiaduemila.com/content/view/31685/48/
[5] http://www.rifondazione-cinecitta.org/demauro1.html
[6] Fulvio Bellini, Alessandro Previdi, L’assassinio di Enrico Mattei, SELENE EDIZIONI, Milano, 2005, pp. 183-184.
[7] Riccardo De Sanctis, op. cit., p. 85.
[8 Nel processo Pasolini compaiono Aldo Semerari e Fiorella Carraro (poi entrambi uccisi a loro volta), “i due periti utilizzati spesso dalla Banda della Magliana per avere delle false perizie”: http://www.pasolini.net/vita_pasolini-ultima-verita.htm
[9] http://www.unonotizie.it/12613-wikileaks-italia-mafia-russia-berlusconi-strettissimo-con-putin-wikileaks-new-york-times-rapporto-silvio-berlusconi-putin.php