Tobia Zevi e Nicola Zingaretti: l'ignoranza al potere

È incredibile l’ignoranza mostrata dai censori dei revisionisti quando vengono interpellati – o anche quando intervengono in prima persona – in occasione delle ricorrenti polemiche sulla necessità in Italia di una legge “antinegazionista”. Spesso, costoro, non solo dimostrano di non conoscere nulla del revisionismo e dei suoi autori, ma dimostrano di avere cognizioni decisamente peregrine anche riguardo alla storia in generale.

Vorrei citare, a questo proposito, le dichiarazioni, emblematiche in tal senso, di Tobia Zevi (foto) e di Nicola Zingaretti.

Scrive Zevi in un articolo uscito ieri sull’Unità[1]:

“Il meccanismo intellettuale che fonda il negazionismo, infatti, sovverte il metodo dello storico, «revisionista» per natura: mentre lo studioso serio interroga le fonti, ed è pronto a smentirsi in presenza di nuovi documenti, il negazionista non apporta un contributo originale, ma si limita a «contrapporre» le sue tesi alla vulgata dei vincitori”.

Sbalorditivo. Come fa, chiedo, il signor Zevi a sostenere una cosa del genere? Ha mai letto costui, non dico un libro, ma almeno degli articoli dei più noti autori revisionisti? Secondo me, non solo non li ha letti ma non ha letto neanche qualche minimo ragguaglio informativo al riguardo. Se lo avesse fatto, saprebbe, ad esempio che, cito Wikipedia, “l’Institut für Zeitgeschichte di Monaco, in un saggio sulle fonti relative ad Auschwitz ha inserito nella propria bibliografia lo studio di Mattogno sulla Zentralbauleitung (l’Ufficio Centrale delle Costruzioni) del campo”[2]. Perché lo ha inserito? Semplice, perché è l’unico sull’argomento. Potremmo continuare a lungo ma tanto basti per far capire il livello di chi sdottoreggia sui revisionisti..

Passiamo a Nicola Zingaretti, personaggio che si è più volte distinto per la sua torva intolleranza auspicando la promulgazione della legge-bavaglio. La dichiarazione che sto per citare non è recente, risale all’anno scorso, quando scoppiò il caso Caracciolo[3], ma merita di essere ricordata perché è, a suo modo, particolarmente significativa:

“Le notizie apparse oggi su Repubblica sono la drammatica conferma di quello che diciamo da tempo: la nostra missione è evitare che la memoria diventi storia e che si perda la forza che deve avere la comprensione dei fatti storici”[4].

“La nostra missione è evitare che la memoria diventi storia”. Evidentemente, il buon Zingaretti non si è reso conto dell’autogol da lui marcato: qual è infatti il mestiere dello storico se non quello di storicizzare la memoria? Con questa uscita, il fratello del commissario Montalbano ha fatto però capire il vero motivo per cui gli storici revisionisti sono perseguitati in tutta Europa: perché si ostinano a trattare con i normali metodi della ricerca storica (verifica delle fonti e dei documenti) e scientifica un tabù che non può e non deve essere storicizzato.

Insomma, il dibattito sul revisionismo è viziato all’origine: si nega ai revisionisti la qualifica di storici e la dignità degli accademici, ma se un docente universitario si azzarda ad esercitare fino in fondo la propria libertà di accademico, se ne chiede subito il licenziamento. E allora, di fronte a tutto ciò, cos’è l’appello fatto da più parti, a cominciare dal Vaticano[5], alla “pedagogia”, alla “didattica della storia”, ad “un modo serio e argomentato di discutere e di riflettere sui fatti della storia”, se non un appello all’indottrinamento proprio dei regimi totalitari?

[1] ATTENZIONE A NON FAVORIRE I NEGAZIONISTI, p. 13.
[2] http://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Mattogno
[3] http://www.aaargh.codoh.com/fran/livres9/Caracciolo.pdf
[4] http://www.repubblica.it/2009/10/sezioni/cronaca/prof-olocausto/reazioni-prof-nega/reazioni-prof-nega.html?ref=search
[5] http://www.repubblica.it/cronaca/2010/10/18/news/vaticano_negazionismo-8194117/