Berlusconi e Fini: il vero oggetto del contendere

Ho finito di leggere nei giorni scorsi Mondo privato e altre storie, il denso e interessante “taccuino familiare e politico” pubblicato l’anno scorso, presso Bollati Boringhieri, da Marta Dassù, direttore della rivista «Aspenia», ben nota – agli addetti lavori – esperta di politica estera, già consigliere dei presidenti del Consiglio Massimo D’Alema e Giuliano Amato.
Particolarmente degno di riflessione, il seguente passaggio (p. 88), che può dirci qualcosa anche sull'attuale crisi politica:

“Era una strano destino che a guidare l’Italia fosse proprio Massimo D’Alema, quando la Nato decise, nel marzo del 1999, l’intervento militare contro la Serbia: la prima delle guerre definite umanitarie, a difesa della popolazione kosovara albanese. Secondo Francesco Cossiga, non era affatto destino ma era stata una scelta: D’Alema avrebbe esitato meno di Romano Prodi – la previsione era questa, negli ambienti atlantici, che quindi avallarono il cambio di governo a Roma. Non sono certa, ancora oggi, quanto questa ricostruzione – condivisa da Carlo Scognamiglio[1], allora ministro della Difesa – fosse fondata o forzata. Ma è indubbio che D’Alema, non esitò, dopo il fallimento dei negoziati di Rambouillet fra serbi e albanesi del Kosovo, a mettere in gioco l’Italia.”.

Eppure all’epoca, i media si occuparono molto più di Bertinotti, presunto dominus della caduta di Prodi, che degli “ambienti atlantici” che furono i primi responsabili del cambio della guardia.

Oggi stiamo vivendo una situazione analoga: a giudicare dal tono prevalente del dibattito politico, sembrerebbe che la resa dei conti tra Berlusconi e Fini dipenda, a scelta, dalla “mancanza di democrazia interna del PDL”, dal “processo breve”, dalla legge sulle intercettazioni, o da altri motivi di politica interna, quando invece la ragione prima dello scontro riguarda essenzialmente la politica estera: gli accordi economici e politici tra Italia e Libia e, soprattutto, il gasdotto South Stream, che per gli americani non s’ha da fare.

Questo per dire che è la politica estera la chiave di volta della politica nazionale ma ben pochi, tra i giornalisti e i politici che tengono banco sui media, ne parlano, vuoi per provincialismo, vuoi per faziosità (perché non si vuole ammettere l’esistenza dei condizionamenti d’oltreoceano), vuoi – e questo è il caso dei finiani - per omertà: perché è bene che la gente non capisca davvero quello che sta succedendo.

In ogni caso, quello che emerge è che su questo tema cruciale – il ruolo dell’Italia sulla scena internazionale – certi oppositori di Berlusconi che vanno per la maggiore, come Di Pietro e De Magistris, stanno facendo la figura dei dilettanti allo sbaraglio[2].

[1] Al seguente indirizzo potete leggere la lettera di Scognamiglio con cui l’ex ministro rivendica la detta ricostruzione, la risposta di Romano Prodi e la successiva replica di Scognamiglio: http://www.arcipelago.org/storie%20italiane/dalema_jugo.htm
[2] Vedi la recente richiesta di embargo alla Libia, da parte di Di Pietro: http://it.notizie.yahoo.com/19/20100915/tpl-italia-libia-di-pietro-serve-embargo-1204c2b.html e le considerazioni “politicamente corrette” di De Magistris su Gheddafi e Putin: http://www.luigidemagistris.it/index.php?t=P1386