Ernst Nolte sul razzismo di Hitler

Da Ernst Nolte, NAZIONALSOCIALISMO E BOLSCEVISMO. La guerra civile europea 1917-1945, Sansoni Editore, Firenze, 1988, pp. 172-173 e 177:

“Nel 1932 in due occasioni Hitler aveva fatto capire in termini ancora più inequivocabili di quelli usati dopo la presa del potere che la sua ideologia era condizionata in prima istanza in senso negativo dal contrasto con l’Unione Sovietica e con il comunismo. Nel suo discorso davanti agli industriali di Düsseldorf del 27 gennaio 1932 egli era partito dal dominio effettivo della razza bianca sul mondo e lo aveva ricondotto alla superiorità ereditaria, che era quindi un diritto, ma un diritto minacciato. Infatti contro di esso, diceva, si era levata una concezione del mondo (Weltanschauung) che aveva già conquistato uno Stato e che in futuro avrebbe fatto crollare tutto il mondo se non fosse stata annientata in tempo debito: « Se questo movimento continua a svilupparsi, fra trecento anni non si vedrà in Lenin soltanto un rivoluzionario del 1917 ma il fondatore di una nuova dottrina universale con una venerazione pari a quella di Budda». Hitler evidentemente non affrontava con disprezzo un «fenomeno così gigantesco » e polemizzava espressamente con gli imprenditori che non ritenevano possibile un’ampia industrializzazione della Russia. Piuttosto in questo caso egli intendeva senza dubbio se stesso come l’anti-Lenin, come l’unico uomo in grado di bloccare questo sviluppo, quindi in termini fondamentalmente identici a quelli di Trockij che lo aveva chiamato il « super-Vrangel della borghesia mondiale». Ai suoi occhi, però, la rovina dell’umanità e la decadenza era quello che agli occhi di Trockij era progresso ed emancipazione, poiché l’industrializzazione della Russia e la presumibile diffusione del bolscevismo in Asia si potevano fondare solo sull’utilizzazione delle risorse occidentali e sullo spietato abbassamento del tenore di vita delle masse russe oppure asiatiche. Hitler, tuttavia, non attribuiva al mondo occidentale il merito di aver migliorato le condizioni di vita degli asiatici e degli altri popoli e non temeva di dichiararsi oggettivamente il propugnatore dell’egoismo occidentale che secondo lui non rappresentava altro che il dominio dell’umanità superiore e colta, dettato da una legge di natura, su quella inferiore e barbarica. Sia che si tratti in questo caso della confessione, fino ad allora inconcepibile, del più reazionario degli imperialismi, sia che si tratti dell’esagerazione di un’intuizione fondamentalmente giusta, in ogni caso un uomo non può proporsi nulla di più ambizioso che svolgere un ruolo decisivo al servizio di una causa nel vasto processo della storia mondiale e quindi ogni concezione che vuol vedere in Hitler solo un nazionalista tedesco è evidentemente insufficiente. Un semplice nazionalista non si sarebbe mai espresso come fece Hitler nel dicembre del 1932 davanti al colonnello von Reichenau: egli sostenne che la diplomazia sovietica era incapace di negoziare e concludere trattati poiché i trattati potevano venir conclusi solo fra contraenti che fossero sullo stesso piano nella loro concezione del mondo...E se Stalin quando presentò il suo ambizioso bilancio davanti al congresso non aveva probabilmente sotto gli occhi il discorso di Hitler del 27 gennaio 1932, si confrontò tuttavia direttamente con esso quando discusse la teoria delle razze superiori e di quelle inferiori. Egli disse: « È noto che l’antica Roma considerava gli antenati dei tedeschi e dei francesi dei nostri giorni esattamente nello stesso modo in cui i rappresentanti della “razza superiore” considerano oggi le nazioni slave…Ma quale fu il risultato? Che i non romani, cioè tutti i “barbari”, si unirono contro il nemico comune e come una tempesta abbatterono Roma…Dov’è la garanzia che i politicanti letterati fascisti di Berlino debbano aver più fortuna dei vecchi e sperimentati conquistatori romani? Non è più giusto supporre il contrario? »".