Saperi di parte: all'alba della terza Intifada

Collettivo Universitario Autonomo di Pisa
Pisa, giovedì 13 marzo alle ore 17.30
presso il Polo Carmignani in piazza dei Cavalieri
Assemblea pubblica sul tema:
Saperi di parte: all’alba della terza Intifada.
Introduzione a cura del CUA-Pisa
Intervento di Diana Carminati sul movimento sionista
Dibattito

Saperi di parte: all’alba della terza Intifada.

L'Università che ogni giorno viviamo e attraversiamo è troppo spesso rivolta ad offrire un sapere nozionistico, necessario a plasmare soggetti acritici e governabili ma flessibili alle esigenze di un mercato sempre più in crisi, piegato alle direttive di istituzioni e di lobby di potere locali; un sapere che non urti gli interessi e la ''legittimità'' di certe caste legate da torbidi interessi alla vita accademica della nostra città, che preferisce dimenticare alcune verità scomode come le lotte per l'autodeterminazione portate avanti dal popolo palestinese in opposizione al regime di occupazione israeliano. Crediamo quindi che sia giusto e doveroso ritornare a parlare in università di un tema di così scottante attualità, attraverso un sapere dal basso, autonomo e che sappia parlare di conflittualità.

Sei anni fa, nel 2004, un gruppo di studenti e studentesse, intervenne contro un fatto gravissimo che stava per accadere nella facoltà pisana di Scienze Politiche: all’interno di una conferenza dal titolo “Stato democratico di Israele oggi”, era stato invitato ad intervenire il consigliere dell’ambasciata Israeliana a Roma Shai Cohen nel periodo dell'ennesima aggressione a Gaza, aggressione che stava costando la vita a migliaia di persone. Tale iniziativa dava dunque voce ad un funzionario ufficiale di un governo assassino, che solo la mobilitazione di questi studenti riuscì ad impedire.
Pretestuoso appariva anche il titolo della conferenza: secondo il diritto internazionale, infatti, Israele non può essere considerato uno stato, tanto meno democratico. I contestatori furono subito dopo accusati, da più parti, di antisemitismo, intolleranza e violenza. Comunicati di solidarietà a Cohen arrivarono da diversi esponenti dell’ateneo, nonché, ahinoi, da alcune associazioni studentesche che ancora oggi si pongono come portatrici di democrazia e tolleranza nelle nostre aule, salvo poi tacciare di razzismo chi espone le proprie idee opponendosi alla presenza, in un’Università pubblica e che è nostra, di un portavoce di un governo macchiato di sangue.
Noi riteniamo che, oggi come allora, sia necessario appoggiare la resistenza del popolo palestinese in lotta per l’autodeterminazione e contro l’occupazione militare di uno degli eserciti più potenti al mondo. E il nostro appoggio parte anche da questo: dai saperi di parte, dall’intento di portare nelle nostre aule un sapere diverso, avulso da possibili censure e che sia una mano tesa verso i portatori di un conflitto che è l’unica risposta possibile di fronte a quanto accade tutti i giorni in terra palestinese.

La lotta del popolo Palestinese

Il popolo palestinese lotta da 62 anni (dalla creazione, con l'appoggio della comunità internazionale, dello stato d’occupazione nel 1948, anno della "Nakba" o catastrofe per i palestinesi) contro il regime militare e coloniale israeliano che sottrae ai palestinesi ogni libertà attraverso una politica continua di espropriazioni illegittime e di costruzione di insediamenti nei territori occupati, divenuti ormai fortemente militarizzati. Ovunque vi sono torri militari, check-point e enclavi sorte con il muro dell’apartheid col quale lo stato israeliano è riuscito ad espropriare buona parte del territorio che era rimasto sotto la “sovranità” del popolo palestinese il quale tuttavia continua, nonostante le ininterrotte repressioni, arresti collettivi, intimidazioni, demolizioni di case e furto delle risorse naturali, a resistere all’occupazione. A Gaza, prigione a cielo aperto, 1.500.000 persone vivono, infatti, completamente chiuse nella piccola striscia, sotto assedio e private delle necessità primarie (acqua, elettricità anche negli ospedali..). Proprio per questo la lotta è molto intensa e, spesso, con risposte militari ad attacchi dell’esercito israeliano che sempre più spesso raggiungono la popolazione civile; nei territori occupati della Cisgiordania i palestinesi lottano per quanto possibile in maniera pacifica, vedendosi repressi in modo sproporzionato dalle forze d’occupazione, spalleggiate in questo caso oltre che dalla comunità europea anche dalla stessa autorità nazionale palestinese, formazione governativa creata ad hoc da Israele per assicurarsi il controllo politico sulla popolazione civile.

Nei territori del '48 (la cosiddetta Israele democratica, circa il 70% dell’intera Palestina) la lotta è orientata invece su un livello culturale che mira a ricomporre l'identità e le tradizioni del popolo palestinese continuamente usurpate o addirittura distrutte dallo stato d'occupazione sionista.

L’alba di una terza Intifada?

A Gerusalemme occupata, proprio da dove sono partite le due precedenti intifada o insurrezioni popolari, sembra ad oggi nascerne una terza. Infatti, in questa città (la cui acquisizione è consolidata dal muro dell’apartheid con cui lo stato sionista se ne è unilateralmente appropriata), vi è una netta politica di pulizia etnica con cui le forze occupanti cercano di assicurare “il carattere ebraico” della città. In tale logica rientra il fatto che, proprio in questi giorni, le autorità israeliane stanno espropriando alcuni dei più importanti luoghi di culto palestinesi (importantissimi oltre per la cultura palestinese, anche per tutto il mondo arabo) per costruirvi sinagoghe, completando così l’opera di ebraizzazione. Nonostante i cosiddetti “negoziati di pace” siano iniziati più di 20 anni fa il governo israeliano continua con le sue aggressioni e con una sempre più intensiva opera di costruzione degli insediamenti. Per i militanti palestinesi è quindi necessario continuare a resistere e lottare rivendicando l’abolizione dello stato razzista sionista e la realizzazione di uno stato laico e democratico in tutta la Palestina storica.
15 maggio 1948: la Nakba

Tra pochi giorni i palestinesi ricorderanno il giorno della Nakba, che vuol direcatastrofe”. Ogni anno, infatti, si ricorda il 15 maggio 1948, giorno della dichiarazione unilaterale dello stato d'Israele, che ha significato per i palestinesi l'espulsione in massa dalle proprie terre e la condanna a vivere una vita nei campi profughi. All’oggi sono 4.250.000 i palestinesi che il governo israeliano ha espulso. Molti campi profughi si trovano nei paesi limitrofi intorno alla Palestina come Libano, Siria, Giordania. Il sogno di tutti i rifugiati è quello di poter tornare, un giorno, nella propria terra e nelle proprie case. Tale desiderio viene ogni anno rinnovato proprio attraverso la commemorazione della Nakba. Per tenere viva una memoria che sia memoria di lotta contro tutte le riscritture della storia che son peculiarità del progetto sionista. A febbraio di quest’anno la Knesset, il parlamento israeliano, ha varato una legge che vieta, in Israele, di manifestare il 15 maggio per “il giorno della catastrofe”
Ancora un altro atto di violenza e di privazione verso un popolo che è già stato depredato di tutto e che quotidianamente si scaglia contro le politiche razziste e sioniste.