Lo storico opuscolo di Pierre Charles sui Protocolli dei Savi di Sion

I PROTOCOLLI DEI SAVI DI SION

Di Pierre Charles, 1938testo introdotto, tradotto e annotato da Carlo Mattogno, 1988[1]

SIONISMO E PROTOCOLLI

Di Carlo Mattogno, 1988

Dall’articolo “Sionismo e magistrati”[2] traspare la confusione di idee che regna ancora nel campo dei Protocolli dei Savi di Sion.
L’autore vi asserisce che “a differenza delle ‘centurie’ di Nostradamus, i ‘Protocolli’ non prestano il fianco ad interpretazioni arbitrarie e soprattutto si sono avverati in larghissima percentuale”, per cui egli si proclama convinto della loro autenticità.
Poiché pensiamo che questo giudizio rispecchi una situazione generale, approfittiamo dell’occasione per dare qualche orientamento sulla questione.
Anzitutto, non si può prendere seriamente posizione sui Protocolli basandosi esclusivamente su ciò che si dice nell’”Introduzione” di Evola all’edizione di Preziosi del 1938, la quale viene puntualmente riprodotta in ogni riedizione dei Protocolli[3] - per non parlare del saggio L’autenticità deiProtocolliprovata dalla Tradizione ebraica da noi già esaminato[4]. Come in ogni campo, anche qui è necessario studiare la letteratura specialistica – soprattutto quella contraria alla tesi dell’autenticità-veridicità – e, in particolare due opere fondamentali:
L’apocalypse de notre temps (Gallimard, 1939), di Henri Rollin;
Licenza per un genocidio. IProtocolli degli Anziani di Sion”: storia di un falso (Einaudi, Torino 1969), di Norman Cohn[5].

In secondo luogo, non si può sostenere seriamente la tesi dell’autenticità dei Protocolli senza lo studio dell’opera di Maurice Joly Dialogue aux enfers entre Machiavel et Montesquieu[6], da cui essi sono stati tratti con plagio sfrontato. Questo plagio, scientificamente inoppugnabile, è inoltre di proporzioni enormemente maggiori di quanto il relativo accenno di Evola possa far supporre[7].
In terzo luogo, è pura fantasia che l’opera di Maurice Joly costituisca una specie di programma della rivoluzione mondiale o una sorta di “Protocolli” ante litteram. Essa è soltanto ed esclusivamente una satira del Secondo Impero non priva di tinte decisamente “reazionarie”. Ad esempio, Machiavelli (Napoleone III) auspica l’instaurazione di una monarchia ereditaria di diritto divino[8], si atteggia a difensore esclusivo della Chiesa[9] e vagheggia, d’accordo con gli altri monarchi europei, l’istituzione di “servizi di polizia internazionale nell’interesse di una sicurezza reciproca”[10] – una nuova Santa Alleanza! – proprio per stroncare i moti rivoluzionari! Anzi, a tal fine, egli propone perfino la proibizione delle società segrete e la deportazione degli affiliati[11]!
In quarto luogo, è falso che Maurice Joly fosse “semi-ebreo, rivoluzionario e massone”[12]. In realtà, “lungi dall’essere Ebreo o ebraizzante, l’Autore del Dialogue manifestava piuttosto delle tendenze antisemitiche e non nutriva più simpatia per la massoneria che ammirazione per i dirigenti ricoluzionari dell’epoca inperiale”[13]. Nello stesso Dialogue appare un giudizio sprezzante sugli Ebrei, considerati il modello di coloro che hanno il culto dell’oro e costumi mercantili[14].
Infine, circa la presunta veridicità dei Protocolli – argomento al quale dedicheremo in futuro un articolo specifico[15] - considerato nel suo complesso, il piano in essi delineato è inattuabile perché è contraddittorio e assurdo. Qui ci limitiamo a osservare che il fine essenziale di questi “Savi” sionisti riunitisi al congresso sionista di Basilea per discutere le possibilità pratiche del sionismo – il sionismo, appunto, col suo coronamento, la fondazione dello stato di Israele – nei Protocolli non è accennato neppure di sfuggita! Né in essi esiste traccia di altre presunte tappe fondamentali di tale “piano”, come la rivoluzione russa del 1905 e soprattutto la rivoluzione bolscevica! Considerato invece parzialmente, come si fa normalmente quando si pretende di spiegare questo o quell’avvenimento con una citazione dei Protocolli, il “piano”, o più esattamente i suoi vari elementi costitutivi, sono così generici da potersi applicare ai regimi più disparati, non escluso quello nazista. Nella fattispecie, la magistratura nazista appare di gran lunga più aderente alle direttive dei Protocolli che non i vari magistrati più o meno sionisti[16].
In conclusione, i Protocolli non sono né autentici né veridici; il loro preteso carattere “profetico” si basa esclusivamente su interpretazioni forzate ed arbitrarie, come risulta chiaramente dai commenti di uno degli ultimi chiosatori, Traian Romanescu[17].
Come introduzione generale alla questione dei Protocolli, presentiamo la traduzione di un opuscolo redatto nel 1938, dopo la sentenza di appello del processo di Berna, da Pierre Charles, intitolato Les Protocoles des Sages de Sion (Paris-Tournai). Il testo risente in parte del clima rovente della fine degli anni trenta e presenta qualche errore di interpretazione che segnaliamo in nota. Tuttavia le sue argomentazioni serrate indurranno indubbiamente più di un lettore ad un giudizio più ponderato. Sette pagine dell’opuscolo (pp. 20-26) sono dedicate alla dimostrazione del plagio con un confronto diretto di alcuni passi concordanti del Dialogue e dei Protocolli: noi le abbiamo omesse sia per snellire il testo, sia, soprattutto, perché ormai il plagio è un fatto indubitabilmente accertato. Un’analisi approfondita dei passi concordanti dei due testi è offerta da Henri Rollin nell’opera summenzionata (pp. 183-222); qualche esempio illustrativo è riportato anche da Norman Cohn (op. cit, pp. 225-228).

I PROTOCOLLI DEI SAVI DI SION

di Pierre Charles, 1938

Nell’ottobre 1934 a Zurigo e nel maggio 1935 a Berna, si è celebrato, davanti ai tribunali svizzeri, un processo che opponeva da una parte, come querelanti, l’Associazione delle comunità ebraiche della Svizzera e la Comunità israelitica di Berna, dall’altra Theodor Fischer, vecchio capo dei nazisti in Svizzera e redattore del giornale “Der Eidgenosse”, e Silvio Schnell, capo del fronte nazionale svizzero. Fischer aveva pubblicato i Protocolli dei Savi di Sion; Schnell li aveva distribuiti e messi in vendita. La legge cantonale bernese prevede delle sanzioni penali contro la “Schundliteratur”, ma non definisce questo termine piuttosto vago. In tedesco si chiama “Schundware” la semplice robaccia; “Schundpreis” il vil prezzo; “Schund” semplicemente la merce cattiva, l’articolo di scarto, l’intruglio senza valore. La ciarlataneria…I querelanti affermavano che i Protocolli, essendo un falso attribuito malignamente agli Ebrei al fine di renderli odiosi, rientravano nella categoria della “Schundliteratur”.
I dibattiti di prima istanza dimostrarono con una chiarezza lampante che i Protocolli erano proprio un falso e il 14 maggio 1935 il tribunale li dichiarava “Schundliteratur” e, in virtù della legge cantonale bernese, condannava, con motivazioni molto severe, Schnell a 20 franchi di ammenda e Fischer a 50 franchi. I querelanti non avevano chiesto nulla di più. Non si trattava affatto di un’azione di danni e di interessi, ma di una semplice applicazione della legge penale.
I condannati ricorsero in appello. La causa fu discussa davanti alla Corte suprema cantonale di Berna il 27 ottobre 1937. La sentenza, che corregge la decisione del primo giudice e assolve gli imputati, potrebbe far credere al pubblico poco esperto che i Protocolli siano sembrati autentici ai magistrati di Berna. Non è così. La sentenza conferma il giudizio del giudice di prima istanza su questo punto. Ma si poneva la seguente questione di giurisprudenza: che cos’è la “Schundliteratur” penalizzata dalla legge cantonale bernese? La Corte di Berna ha dichiarato che si trattava, nello spirito del legislatore, di letteratura immorale e pornografica (art. 14, della legge cantonale) e che i Protocolli, pur essendo una scritto redatto in malafede, un falso odioso e velenoso, non rientravano nella letteratura oscena dalla quale la legge bernese vuol proteggere il pubblico, ma nella letteratura politica, che ha il dovere di controllare lo Stato federale, non già il cantone. Per mostrare chiaramente, nei limiti del suo potere, la sua riprovazione, la Corte, pur assolvendo gli imputati, li ha condannati a pagare tutte le spese della difesa.
È certo che il giudizio di prima istanza rischiava di creare una giurisprudenza pericolosa. Quasi tutte le controversie religiose sarebbero finite in tribunale. Sarebbe bastato che un protestante avesse accusato i cattolici di mariologia per obbligare il giudice, su querela di questi ultimi, ad emettere una sentenza sul culto dell’iperdulia; che un cattolico avesse dichiarato Calvino o Zwingli colpevole di eresia per obbligare il tribunale a pronunciarsi sull’ortodossia dell’”Istituzione cristiana”. Evidentemente la sentenza di appello ha rifiutato di estendere in modo così ampio la definizione della “Schundliteratur”.
Questa sentenza, che è stata una grande delusione per i querelanti israeliti, non tocca minimamente la questione dell’autenticità dei Protocolli, ma offre lo spunto per un’esposizione della questione: questione che sarebbe stata liquidata da tempo se la passione non accecasse tante menti.
Nel 1905 – la data è importante – Sergio Nilus, un russo, pubblicava, in russo, nella tipografia di tsarkoie Selo, un libro piuttosto strano, sia per il titolo sia per il contenuto. Nella prefazione egli dichiara: “Nel 1901 riuscii ad avere da una persona di mia conoscenza…un manoscritto, che fu messo a mia disposizione, nel quale era esposto, con una precisione e una verità straordinarie, lo sviluppo della congiura giudeo-massonica mondiale la quale deve condurre il nostro mondo corrotto alla sua inevitabile rovina. Questo manoscritto lo presento qui a tutti coloro che desiderano ascoltare, vedere e comprendere, col titolo generale di ‘Protocolli dei Savi di Sion’”.
Bisogna notare che, nel libro di Sergio Nilus, i Protocolli sono semplicemente un’appendice. Il corpo dell’opera è una riedizione rimaneggiata di una pubblicazione dello stesso autore, apparsa a Mosca nel 1901, col titolo: Il Grande nel Piccolo, o l’Anticristo è vicino e il regno del diavolo sulla terra. I Protocolli dei Savi di Sion furono anch’essi ripubblicati da Sergio Nilus, nel 1911, nel 1912 e nel 1917, sempre in russo. Una copia dell’edizione del 1905 si trova alla Biblioteca del British Museum. I Protocolli furono pubblicati per la prima volta in questa edizione del 1905.
Nell’autunno del 1919, un Tedesco, lo Hauptmann Müller von Hausen, tradusse, con lo pseudonimo di Gottfried zur Beck, non il libro stesso di Nilus, come si dice talvolta, ma la sua appendice, cioè i Protocolli, aggiungendovi note, spiegazioni, riferimenti di ogni genere. Il titolo del volume è: Die Geheimnisse der Weisen von Zion, e da p. 68 a p. 143 appaiono i Protocolli pubblicati da Sergio Nilus. Il volume, che si presenta molto bene dal punto di vista tipografico, era dedicato “ai prìncipi d’Europa” come avvertimento per mettersi in guardia contro la cospirazione ebraica, che minaccia i troni e gli altari.
L’opera, energicamente sostenuta dalla nobiltà tedesca, appoggiata dal principe Otto von Salm, dal principe Joachim Albert di Prussia, dall’ex Kaiser stesso Guglielmo, che la raccomandava ai suoi visitatori di Doorn, divulgata nelle edizioni economiche, strombazzata dalla “Deutsche Tageszeitung” del conte di Reventlow e dalla “Kreuzzeitung”, che denunciava incessantemente il pericolo ebraico e vedeva nei Protocolli la spiegazione delle disgrazie della Germania, cominciò nel mondo una carriera trionfale.
Traduzione polacca verso il 1920; tre edizioni francesi una dopo l’altra; una in Inghilterra, tre a New York, una scandinava, una italiana, una giapponese. Nel 1925 a Damasco una traduzione araba, che naturalmente si diffuse come il fuoco in quel Vicino Oriente in cui le animosità razziali le fornivano un combustibile abbondante. L’Alta Commissione francese di Siria proibì la vendita del volume, ma il suo successo non fece che aumentare. Il “Times” dell’8 maggio 1920 dedicava un articolo pieno di allarme a questa strana congiura di cui sarebbero responsabili gli Ebrei e il cui piano si troverebbe nei Protocolli. Il “Morning Post” vi consacrava ventitre lunghi articoli pubblicati poi in volume: The Cause of World Unrest [La causa dell'agitazione del mondo]. Un’edizione apparve subito dopo negli Stati Uniti. Henry Ford, il fabbricante di automobili, fondò una rivista speciale per far conoscere i Protocolli e denunciarne il pericolo ebraico. Questa rivista era “The Dearborn Independent”, che ebbe quasi subito 300.000 abbonati. Anche in questo caso gli articoli consacrati ai Protocolli furono raccolti in volume. Ne furono vendute oltre mezzo milione di copie. Come un riflusso il movimento ripassò l’Atlantico e tornò in Germania. Theodor Fritsch tradusse, col titolo “Der Internationale Jude”, l’opera finanziata da Ford. Poi fu il diluvio: opuscoli, riassunti, commenti. Lo Schuldbuch Judas di Wilhelm Meister vendette 150.000 copie, il commento ai Protocolli di Alfred Rosenberg 50.000. Adolf Hitler, nel Mein Kampf, invoca i Protocolli per giustificare le misure di eccezione contro gli Ebrei. Ecco uno dei passi che vi si riferiscono: Quanto l’intera esistenza del popolo ebraico sia fondata su una menzogna perpetua, lo dimostrano in modo incomparabile i ‘Protocolli dei Savi di Sion’, che gli Ebrei detestano tanto oggigiorno. Questi Protocolli sono un falso, geme la ‘Frankfurter Zeitung’, fornendo così la prova migliore che essi sono autentici…A noi non interessa sapere da quale testa di Ebreo siano uscite queste rivelazioni; ciò che importa è che questi Protocolli ci svelano con una verità quasi spaventosa l’essenza e l’attività del popolo ebraico, con la sua organizzazione interna e i suoi scopi ultimi”.
Anche da noi, in Belgio, l’organo della Lega Nazionale Corporativa del Lavoro, coi suoi due giornali “L’Assaut” e “De Stormloop” ha riprodotto a puntate la traduzione francese dei Protocolli, senza trascurare di presentarli come un piano di distruzione generale della società cristiana, giustificando dunque tutte le misure preventive e tutte le rappresaglie.
Perché è questo il nodo tragico del problema. Non abbiamo a che fare con una semplice questione letteraria. L’odio verso l’Ebreo, alimentato dalle pubblicazioni che sono brulicate intorno ai Protocolli, si serve di questi per predicare e praticare violenze contro tutti gli Israeliti, per presentarli come abominevoli cospiratori e per reclamare dai poteri pubblici, o, in mancanza di essi, dalla folla anonima, sanzioni selvagge e sanzioni penali collettive.
Lasciamo per il momento da parte l’origine dei Protocolli. Accontentiamoci anzitutto di aprirli e di studiarli in se stessi.
È certo che essi si presentano come una specie di piano, in pari tempo piuttosto confuso e piuttosto semplicistico, di disgregazione della società per giungere ad una autocrazia ebraica.
Un lettore non prevenuto non può non essere colpito da dichiarazioni come queste: “Organizzeremo un governo fortemente centralizzato, in modo da acquistare le forze sociali per noi…In questo modo il nostro regno si svilupperà in un dispotismo così possente, da essere in grado di schiacciare i Gentili malcontenti o recalcitranti” (p. 68)[18]. “Tutte le ruote del meccanismo statale sono messe in moto da una forza che è nelle nostre mani: l’oro!” (p. 71). “Con questi mezzi opprimeremo i cristiani ad un tale punto, che li obbligheremo a chiederci di governarli internazionalmente. Quando raggiungeremo ina simile posizione, potremo immediatamente assorbire tutti i poteri governativi del mondo e formare un Super-governo universale; al posto dei governi ora esistenti, metteremo un colosso che si chiamerà l’’Amministrazione del Supergoverno’. Le sue mani si allungheranno come immense tenaglie e disporrà di una tale organizzazione, che otterràcertamente la completa sottomissione di tutti i paesi” (p. 74).
“Dobbiamo metterci in condizioni tali da poter rispondere ad ogni opposizione, con una dichiarazione di guerra da parte del paese confinante a quello Stato che osasse attraversarci la strada; e qualora tali confinanti a loro volta decidessero di unirsi contro di noi, dovremo rispondere promuovendo una guerra universale” (p. 79). “In tutta l’Europa, e con l’aiuto dell’Europa, sugli altri continenti dobbiamo fomentare sedizioni, dissensi e ostilità reciproche” (p. 78). “Per grazia di Dio il suo Popolo prediletto fu sparpagliato, ma questa dispersione, che sembrò al mondo la nostra debolezza, dimostrò di essere la nostra forza, che ci ha ora condotto alla soglia della Sovranità Universale” (p. 102). “Quando saremo al potere, i nostri oratori discuteranno i grandi problemi che hanno agitato l’umanità, allo scopo finale e prefisso di condurre il genere umano sotto il nostro governo benedetto. Chi vorrà, quindi, sospettare che tutti questi problemi furono sollevati da noi, secondo un piano politico prestabilito che nessun uomo ha compreso in tanti secoli?” (p. 116). “Quando ci stabiliremo come Signori della Terra, non ammetteremo altra religione che la nostra: cioè una religione che riconosca il Dio solo, a Cui il nostro destino è collegato dall’averci Egli eletti, e da Cui il destino del mondo è determinato” (p. 117). Quanto furono previdenti i nostri sapienti di un tempo quando ci dissero che, pur di raggiungere uno scopo veramente grandioso, dovevamo ricorrere a qualunque mezzo senza fermarci a contare le vittime che si dovessero sacrificare al successo della causa! E noi non abbiamo mai contato le vittime uscite dal seme di quei bruti di Gentili” (pp. 125-126). “Il Re d’Israele, nel giorno che porrà sul suo capo consacrato la corona che gli verrà presentata da tutta l’Europa, diventerà il Patriarca Mondiale” (p. 134). “In breve: per dimostrare che tutti i governi dei Gentili sono nostri schiavi, faremo vedere il nostro potere ad uno di essi per mezzo di atti di violenza, vale a dire, con un regno di terrore, e qualora tutti i governi insorgessero contro di noi, la nostra risposta sarà datadai cannoni americani, cinesi e giapponesi” (p. 80).
Ci possiamo fermare qui con queste citazioni monotone. Se ne possono spigolare quasi ad ogni pagina dei Protocolli, e la loro ripetizione diventa presto fastidiosa. Io le ho riportate solo a titolo di esempio, per mostrare quali sentimenti esse possano provocare in un lettore credulone quando siano separate dall’insieme dei Protocolli, dove fluttuano come in un mare.
Ma quando i Protocolli si studiano un po’ più da vicino nel loro insieme, non si tarda ad accorgersi che questi piani cinici di sconvolgimento universale sono di una povertà pietosa; che brulicano di contraddizioni; che suppongono perpetuamente risolti i problemi più grandi e che i mezzi che preconizzano sono di un’assurdità molto rassicurante. Se veramente questi misteriosi Savi di Sion non hanno altra saviezza oltre a quella che appare in queste pagine, il mondo può dormire sogni tranquilli.
Facciamo qualche esempio. Quattro sedute, la 20, 21, 22 e 23, sono interamente dedicate al programma finanziario che questi Savi istituiranno nel loro supergoverno mondiale. Essi si preoccupano di dirci, di ricordarci, perfino, che tutta la loro politica è basata sulle cifre. Comunque non se ne trova una sola nei Protocolli. Guardiamoli all’opera.
Essi eviteranno di imporre al popolo tasse troppo gravose (p. 152): baderanno che il peso delle tasse sia ripartito equamente, il che non è molto nuovo come programma. Essi parlano dell’imposta progressiva sulla proprietà come di una prodigiosa innovazione (p. 152); del diritto di bollo esteso a tutte le transazioni importanti. Essi aggiungono piuttosto ingenuamente: “Calcolate quante volte il valore di una simile tassazione sorpasserà la rendita dei governi gentili” (p. 156). Il denaro circolerà. Si istituirà una Corte dei Conti, come se non esistesse da nessuna parte e come se questa istituzione fosse una cosa inaudita (p. 157). La politica monetaria dei Protocolli è di una ingenuità tale che dimostrerebbe da sola l’incompetenza e l’ignoranza radicale di coloro che li hanno redatti. Si giudichi da queste citazioni:
“Sapete, io credo che la moneta aurea è stata la distruzione di tutti gli Stati che l’hanno adottata, perché non poteva soddisfare ai bisogni della popolazione, tanto più che noi abbiamo fatto del nostro meglio, perché fosse congestionata e tolta dalla circolazione. Il nostro governo avrà una moneta basata sulla potenza di lavoro del paese; essa sarà di carta, e magari anche di legno. Emetteremo una quantità di moneta sufficiente per ogni suddito, aumentandone la quantità alla nascita di ogni bambino e diminuendola per la morte di ogni individuo” (p. 159).
Questa ingenuità supera veramente ogni limite: vengono confusi il problema della creazione della moneta e quello della sua distribuzione, e la creazione di nuova moneta che obbedisca alle oscillazioni demografiche è certamente una di quelle trovate che possono escogitare solo dei perfetti ignoranti.
Ma c’è di meglio: “Nel nostro governo avremo grande cura che non succeda una congestione di denaro (non ci si dice come ci si riuscirà) e quindi non avremo prestiti di Stato, eccezion fatta di buoni del Tesoro all’uno per cento, per impedire che il pagamento degli interessi esponga il paese ad essere succhiato dalle mignatte” (p. 163).
Ancora una sciocchezza sbalorditiva. Questi Savi hanno l’aria di credere che basterà che il denaro dei privati circoli perché lo Stato ne trovi sempre abbastanza nelle sue casse e possa finanziare tutte le sue imprese. E senza preoccuparsi minimamente del mondo del tasso di interesse sul mercato dei valori, essi dichiarano una volta per tutte che, una volta abolite le rendite perpetue e i fondi di Stato, si attireranno infallibilmente dei prestatori offrendo loro dei buoni del Tesoro all’1%. I Savi concludono questa bella esposizione con la frase seguente: Questo dimostra il nostro genio ed il fatto che il nostro è il popolo eletto da Dio” (p. 164). Essi mostrano ancora più chiaramente questo genio nella ventunesima seduta, in cui, tornando sui prestiti nazionali, dichiarano che tutti questi prestiti sono “attualmente consolidati da ciò che si chiama il debito fluttuante”[19]. Questa è tanto grossa quanto dire che tutti asciugano i loro vestiti immergendoli nell’acqua. Io chiedo seriamente: qual è il candidato più inesperto in scienza economica che avrebbe la minima possibilità di superare un esame, fosse anche il più elementare, prendendo delle cantonate così enormi?
Ecco ora la genialità dell’organizzazione delle Borse. “Distruggeremo il mercato dei valori pubblici, perché non permetteremo che il nostro prestigio sia scosso dal rialzo e ribasso dei nostri titoli (ci si chiede quali, poiché non ci saranno più fondi di Stato), il cui valore sarà stabilito per legge alla pari senza possibilità alcuna di qualsiasi variazione di prezzo. Il rialzo origina il ribasso (!), ed è per mezzo dei rialzi che abbiamo cominciato a discreditare i titoli dei gentili…Queste istituzioni saranno in grado di gettare sul mercato milioni e milioni di azioni commerciali, o di comperarle in un sol giorno. Quindi tutte le imprese commerciali dipenderanno da noi, e vi potete immaginare quale forza sarà la nostra!” (p. 169). Con quali risorse lo Stato, che non potrà ricorrere al prestito e che tasserà solo moderatamente il contribuente, effettuerà queste retate meravigliose, i Savi non ce lo confidano. Eppure questo è il punto capitale. Con lo stesso procedimento letterario si potrebbe dichiarare in una frase che ci si renderà padroni della pioggia e del vento per dedurre da ciò che si farà il bello e il cattivo tempo a volontà sul pianeta.
I Savi di Sion, o più esattamente quello di essi che fa questi discorsi, continua: “Vi ho mostrato i nostri piani segreti…nonché la nostra politica finanziaria” (p. 170), e conclude: “Nelle nostre mani è concentrata la più grande potenza del momento attuale, vale a dire la potenza dell’oro. In due soli giorni possiamo estrarre qualsiasi somma di depositi segreti dei nostri tesori” (p. 170).
Ecco dunque questi Ebrei, che tutti coloro che credono ai Protocolli ritengono che vi abbiano esposto il loro programma finanziario, il fine supremo delle loro concezioni. Io chiedo: c’è in qualche parte del mondo un ministro delle finanze, un banchiere, un uomo d’affari, un semplice lettore che abbia conservato ancora il suo buon senso e che possegga i rudimenti dell’economia, il quale non giudichi questo piano, se così si può chiamarlo, uno sproloquio di stupida incoerenza? Se in essi ci fosse anche soltanto l’apparenza di una politica finanziaria qualunque, un solo suggerimento sensato o tangibile, e soprattutto se i cospiratori che ci vengono descritti ci avessero confidato in tal modo il segreto del sistema che dovrebbe mettere lo Stato al riparo da ogni bancarotta e fargli trovare ricchezze indefinite, senza prestiti, senza tasse eccessive, soltanto mediante il piccolo gioco dei buoni del Tesoro all’1%, allora presto, approfittiamo tutti della divulgazione di questo segreto! Finiti i deficit del bilancio; finita la disoccupazione, finita la crisi; è sufficiente, come dicono i Protocolli, consolidare i prestiti con debiti fluttuanti, emettere carta moneta a ogni nascita e ritirarla a ogni decesso e fissare il valore “nominale” dei titoli per legge, senza possibilità di fluttuazione (p. 169).
Questi spropositi insensati sono sembrati agli occhi di milioni di lettori un sistema terribilmente profondo! Intorno a questi spropositi si è levato il grido del Pericolo mondiale!
Questi Savi di Sion, pare, hanno previsto tutto. In effetti, nella nona seduta, leggiamo: “Ci si contesta, che le nazioni possono insorgere contro di noi qualora i nostri piani siano scoperti prematuramente; ma noi, anticipando questo avvenimento, possiamo essere sicuri di mettere in azione una forza talmente formidabile da far rabbrividire anche gli uomini più coraggiosi” (p. 87). Oh! Oh! Qual è dunque questa forza? Eccola: “In quel tempo tutte le città avranno ferrovie metropolitane e passaggi sotterranei: da questi faremo saltare in aria tutte le città del mondo, insieme alle loro istituzioni e ai loro documenti” (p. 87). Ecco, è tutto semplice.
Nei Protocolli non c’è solo un programma finanziario: tutta la prima parte espone i piani segreti messi in atto nei rapporti con i Gentili (p. 170). Le formule più ciniche abbondano soprattutto in essa. Quando si cerca di capire il sistema, esso si presenta come un’apologia del dispotismo, ma di un dispotismo illuminato, che conserva le apparenze del liberalismo e le forme esteriori della morale, ma si riserva di detenere tutta la realtà del potere e non si fa scrupoli. La folla è stupida e malvagia, ha bisogno di un autocrate, ma questo despota non deve avere l’aria di un tiranno, deve mostrarsi nelle vesti di protettore. In questa prima parte dei Protocolli, egli viene chiamato piuttosto spesso Presidente. Questo capo, invece di dichiarare la guerra, farà in modo di fomentare discordie presso i suoi vicini e poi interverrà soltanto come una specie di arbitro pacificatore. Anziché di amministratori integri, si circonderà di creature che gli dovranno tutto e che lo serviranno ancor meglio. Invece di una stampa indipendente, farà in modo di avere una stampa ufficiale. La censura veglierà affinché non sia pubblicato nulla di pericoloso per lui. Ma egli stesso susciterà giornali di opposizione i quali diranno soltanto ciò che lascerà dir loro e saranno tanto più efficaci sull’opinione pubblica in quanto si crederà che siano liberi. Invece di una magistratura indipendente, giudici messi in pensione d’ufficio a 55 anni, il che permette di moltiplicare le nomine e lascia adito al favoritismo; invece di un esercito nazionale, una forte polizia, e per distrarre l’opinione pubblica dalle questioni politiche si praticherà, come diversivo, un programma di grandi lavori pubblici. Ci si occuperà del commercio e dell’industria e si darà a piene mani prosperità e benessere in cambio delle libertà confiscate. “Abbiamo messo le nostre mani ovunque: nella giurisdizione, nelle elezioni, nell’amministrazione della stampa, nel promuovere la libertà individuale, e cosa ancor più importante, nell’educazione, che costituisce il sostegno principale della libera esistenza” (p. 86).
Ciò che stupisce in tutta questa prima parte dei Protocolli, è la minuziosità di certi dettagli organizzativi e l’incoerenza dell’insieme. Il Presidente avrà la prerogativa di nominare il presidente e il vicepresidente della camera dei deputati e del senato (p. 95), avrà il diritto di proporre nuove leggi temporanee o persino emendamenti alla costituzione repubblicana (p. 96). Il numero dei deputati sarà ridotto (p. 95) e se essi si ostineranno a fare l’opposizione, saranno scavalcati facendo appello alla nazione (p. 94). Il Presidente sarà “responsabile”, senza che si possa vedere davanti a chi, poiché non hanno “il diritto di discutere l’opportunità delle misure prese dal governo” (p. 95). Il redattore dei Protocolli ignora d’altra parte i rudimenti delle istituzioni politiche, sebbene dichiari che siano ben note (p. 92). Egli non conosce neppure la distinzione dei tre poteri, e, quando li vuole enumerare, omette il potere giudiziario e ripete il potere esecutivo con due nomi diversi (p. 92).
Per tenere a bada la stampa, i Savi non hanno trovato nulla di più nuovo del diritto di bollo, della cauzione, dell’ammenda e dell’interdizione. Tutto ciò è vecchio e ricorda singolarmente la legislazione del Secondo Impero in Francia. Infine quest’ultima perla tra le molte altre che si potrebbero raccogliere: “I delitti che avverranno saranno conosciuti soltanto dalla loro vittima e dagli eventuali testimoni oculari e da nessun altro” (p. 112). Queste enormi ingenuità non hanno bisogno di commento.
Più si esaminano in se stessi questi Protocolli, più essi appaiono assurdi, contraddittori, infantili e le varie dichiarazioni di un cinismo provocante non fanno che mettere in risalto questo infantilismo. Il resto è insensato. Ecco ad esempio la nuova organizzazione della procedura, senza distinzione tra quella civile e quella penale: “Perciò noi limiteremo la sfera d’azione di questa professione e metteremo gli avvocati sulla stessa base dei funzionari esecutivi. Tanto gli avvocati patrocinatori, quanto i giudici, non avranno il diritto di accordarsi con i loro clienti, ma riceveranno il loro mandato difensivo a seconda dell’assegnazione che ne farà il tribunale. Essi studieranno la causa esclusivamente attraverso i documenti ed i rapporti, e difenderanno i loro clienti dopo che questi saranno stati interrogati in tribunale dal pubblico ministero, basando la difesa di essi sui risultati di questo interrogatorio. Il loro onorario sarà fisso senza tener conto se la difesa sia, o pur no, riuscita. Essi diventeranno dei semplici relatori in favore della giustizia, agendo in senso opposto al pubblico ministero, il quale sarà un relatore in favore dell’accusa. In questo modo la procedura legale sarà considerevolmente abbreviata. Inoltre, con questi mezzi, otterremo una difesa onesta e imparziale, la quale non sarò promossa dagli interessi materiali, ma bensì dalla convinzione personale dell’avvocato” (pp. 140-141).
Dopo un esame del contenuto stesso dei Protocolli si impone una prima conclusione. Questo libello non contiene assolutamente nulla che assomigli sia pure da lontano a un piano o ad una organizzazione qualunque. I loro autori ignorano gli elementi dell’economia finanziaria, non hanno alcuna idea delle istituzioni politiche, uniscono ad una ingenuità formidabile pretensioni impudenti. Nulla di costruttivo, neppure nella preparazione del finimondo generale. E dappertutto contraddizioni flagranti. Sfido chiunque a trarre da queste pagine, che si presentano come un programma, l’ombra stessa di un abbozzo di programma.
Perciò il mistero si infittisce. Donde vengono questi Protocolli? Essi esistono, sono stati redatti da qualcuno. Qual è la loro origine?
Sergio Nilus, fin dal 1905, afferma che essi sono stati letti in seduta segreta al congresso ebraico sionista di Basilea nell’agosto del 1897 e che dovevano esporre agli Israeliti, riuniti per iniziativa di Teodoro Herzl, il piano generale della conquista del mondo da parte degli Ebrei. Una spia, inviata a questo congresso dal governo zarista, ne avrebbe sottratta una copia e dopo avventure abbastanza rocambolesche raccontate con varianti essenziali, il manoscritto sarebbe finito nelle mani di Nilus.
È senza dubbio inutile far notare che questo primo congresso sionista aveva un oggetto molto limitato: esaminare la possibilità di un movimento sionista. L’invito, di cui è stata pubblicata la riproduzione fotografica, annunzia che tutte le sedute e tutti i dibattiti saranno pienamente pubblici; che gli invitanti garantiscono che nessun governo, e in particolare quello della Russia, potrà adombrarsi per ciò che si dirà o farà a Basilea; che non avverrà nulla che possa essere contrario alle leggi di nessun paese né ai doveri civici dei partecipanti. Mai si è potuto dimostrare che ci sia stata una qualunque infrazione a queste condizioni, né che si sia svolta una sola seduta segreta. Nilus afferma invece che se ne svolsero 24. Di queste sedute segrete nessuno ha mai saputo nulla: le testimonianze dei giornalisti, degli stenografi, dei partecipanti stessi, presentate al processo per diffamazione che si è celebrato davanti al tribunale di Berna, sono categoriche.
È del resto inutile discutere questo punto. Noi conosciamo la fonte dei Protocolli. Il 16, 17 e 18 agosto 1921 il “Times” ha pubblicato tutta questa storia. Il suo corrispondente di Costantinopoli aveva trovato in una cassa di libri abbandonata da un ufficiale dell’ex esercito zarista che aveva fatto parte della polizia politica, l’Okhrana, un volume scritto in francese privo delle prime pagine. Leggendolo, l’Inglese si accorse presto che esso conteneva una lunga serie di passi strettamente paralleli al testo dei famosi Protocolli. L’identificazione fu rapida. Si trattava di un’opera dell’avvocato parigino Maurice Joly: Dialogue aux enfers entre Machiavel et Montesquieu, ou la politique de Machiavel au XIX siècle, par un contemporain, Bruxelles, A. Mertens, rue de l’Escalier 22, 1864, III-137 pagine, con un’avvertenza datata Ginevra, 15 ottobre 1864. Cito la copia della “Bibliothèque Royale” di Bruxelles, che ho consultato personalmente e che reca il numero di classificazione III.2151. Esistono anche un’edizione anonima, Paris, 1865, e un’edizione senza nome d’autore, Bruxelles, 1868.
Lo scopo dell’intera opera è una satira violenta della politica di Napoleone III, che viene rappresentato come un despota che finge di conservare le apparenze di un regime liberale. Il nome di Napoleone non è mai pronunciato. Al suo posto parla Machiavelli. Montesquieu vi svolge il ruolo dell’uomo onesto che si scandalizza per l’ipocrisia e il cinismo del suo interlocutore.
Basteranno alcune citazioni per stabilire il parallelismo tra i Protocolli e il Dialogue.
Sappiamo che le prime pagine della copia del Dialogue trovata a Costantinopoli nel 1921 mancavano. Ora, i Protocolli cominciano “ex abrupto” all’ottava pagina del Dialogue di Joly[20].
L’ordine stesso dei dialoghi (dell’opera di Joly) è quello dei Protocolli. Tutto il regime finanziario è descritto nei dialoghi 18, 19, 20 e 21. Sono i capitoli 20 e 21 dei Protocolli. Il falsario vi ha frammischiato assurdità già rilevate da esperti finanziari che avrebbero dovuto aprire gli occhi ai meno chiaroveggenti.
Egli ha soppresso il dialogo 22, che parla delle costruzioni napoleoniche e critica, senza nominarlo, Haussmann e la sua megalomania architettonica. Bisogna continuare?
Coloro che negano l’esistenza del plagio non hanno confrontato le due opere, oppure la loro incompetenza in fatto di critica li obbliga imperiosamente a tacere. Che inceda a cavallo o a piedi, la verità ha il diritto di avere la strada libera.
“Per me reges regnant”[21]: questa citazione della Sacra Scrittura (Proverbi 8, 15) effettuata nel latino della traduzione cattolica dei Savi di Sion, al congresso di Basilea, dove si parlava ebraico, basterebbe da sola a tradire il falsario. Egli non ha neppure preso la precauzione di citarla secondo il testo ebraico originale: melâkîm yimlokû[22].
Meglio ancora, egli si è tradito anche con un errore di data. Nella decima seduta, i Savi di Sion dichiarano che prenderanno dei provvedimenti affinché si nominino dei presidenti che abbiano al loro passivo “uno scandalo tipo ‘Panama’ o qualche altra transazione losca o segreta” (p. 94). Questo passo evidentemente non si trova nei Dialogues di Joly, pubblicati nel 1864. È un’aggiunta del falsario. L’unico presidente della Repubblica francese al quale si possa pensare, è Emile Loubet, eletto il 18 febbraio 1899, che, al suo ritorno da Versailles, fu accolto dal popolo parigino col grido di “Panama, Panama”. Quale lettore serio non desumerà con certezza che il passo dei Protocolli è stato scritto dopo questa data?
Ora, il congresso sionista di Basilea, in cui si ritiene che siano stati redatti i Protocolli, risale all’agosto 1897[23].
Le prove del faslo sono così schiaccianti che anche gli avversari più accaniti hanno finito per ammetterlo. Gli espedienti disperati ai quali sono ricorsi per non mollare quest’arma avvelenata dei Protocolli non hanno più nulla a che vedere con la scienza seria.
Si è preteso che Maurice Joly fosse ebreo; si è cambiato il suo nome in Moïse Joel, malgrado la pubblicazione del suo estratto di battesimo coi nomi del padrino e della madrina (“Paix et Droit”, Paris, novembre 1924). Del resto, che sia stato Ebreo o Turco, la natura dei suoi dialoghi non ne risulterebbe mutata. Essi sono semplicemente una critica del governo “machiavellico” di Napoleone III e per nulla affatto un programma di rinnovamento o di sconvolgimento mondiale. Questo governo è stato seppellito nel disastro militare del 2 settembre 1870.
Si è detto – io stesso ho ricevuto delle lettere al riguardo – che i sionisti riuniti a Basilea nel 1897 avevano a bella posta plagiato Joly per potersi coprire con quest’alibi e far credere al falso nel caso in cui i Protocolli fossero stati un giorno scoperti. Questa è tanto grossa come dichiarare che le piramidi d’Egitto sono state costruite per servire come ponti sul Danubio o che Notre-Dame di Parigi è una fortezza destinata a proteggere i passi dei Pirenei. Abbiamo visto che il contenuto del libro di Joly non è altro che la satira del Secondo Impero. Dire che copiando questo volume, aggiungendovi dichiarazioni ciniche e assurdità esso si trasforma in un programma di dominio universale, è pura sciocchezza.
Infine, perché bisogna finire, gli avversari degli Ebrei hanno assicurato che la questione dell’autenticità dei Protocolli era affatto vana, perché, anche se fossero falsi, questi Protocolli restano veri. Essi descrivono esattamente il modo di fare e di pensare degli Ebrei. Tale asserzione si ritrova sotto la penna di Adolf Hitler. Essa non ammette più discussione. Se un’accusa è fondata su se stessa, indipendentemente da tutte le prove, se queste prove possono essere distrutte senza che l’accusa sia ritirata o modificata, non c’è più critica, né scienza, né giustizia e qualunque calunnia è permessa.
Riassumendo e concludendo:
1. Se si prendono come programma, i Protocolli dei Savi di Sion sono semplicemente una sequela di divagazioni senza importanza che tradiscono ad ogni istante l’incoerenza del redattore e la sua ignoranza delle nozioni più elementari. Nessuno potrebbe mai attuarli, perché brulicano di contraddizioni e di assurdità palesi.
2. È dimostrato che i Protocolli sono un falso, plagiato maldestramente dall’opera satirica di Maurice Joly ed eseguito alla scopo di rendere odiosi gli Ebrei eccitando contro di essi le passioni impulsive e cieche della folla.
3. Il congresso sionista di Basilea non ha assolutamente nulla a che vedere con la redazione dei Protocolli.
4. Si può discutere sullo scopo perseguito dagli autori del falso. Sembra che esso sia in rapporto con la situazione interna russa del 1905 e col manifesto zarista del 20 ottobre di tale anno. Ma per non mescolare delle supposizioni ad una conclusione chiara di per se stessa, non vogliamo esaminare questo punto.
Gli Ebrei sono in realtà le vittime, le vittime innocenti, di questi Protocolli di cui si è voluto renderli colpevoli. Ciò dev’essere detto e proclamato per rispetto della verità, che noi abbiamo il dovere di servire.
Bisogna aggiungere una conclusione? Si sarebbe tentati di scoraggiarsi vedendo che, nella nostra Europa così fiera della sua scienza e in possesso di tutto l’arsenale della critica storica, un falso così evidente, l’opera di un poliziotto ignorante e maldestro, abbia potuto ingannare e inganni ancora migliaia di uomini.
O forse dobbiamo riconoscere la profonda verità di questa osservazione di Newton: gli uomini non mancano mai di logica: sono terribilmente, irresistibilmente logici. I disaccordi che li separano non provengono da difetti di ragionamento. Essi hanno la loro origine in una zona interna ben più profonda di quella in cui si organizzano i giudizi, in ciò che newton chiamava “assunzioni”, cioè orientamenti al tempo stesso confusi e imperiosi che coinvolgono completamente l’uomo coi suoi desideri e le sue passioni, i suoi timori e i suoi furori, i suoi sogni perfino, e i suoi rancori. A partire da questi orientamenti la logica lavora attraverso tutto, preoccupandosi solo raramente di adeguarsi alla realtà, ma facendo servire tutto ciò che incontra a conclusioni imposte in anticipo.
Il Signore non diceva a Nicodemo che, prima di capire, doveva”nasci denuo” e spogliarsi di tutto? Ma l’odio è come la tunica leggendaria di Deianira, di cui Ercole non riusciva più a liberarsi. Gli odî sono, ahimé!, il tesoro che l’uomo conserva più ferocemente, ed egli lapida rabbiosamente coloro che tentano di sottrarglielo.

Pierre Charles, S. I.

[1] Tratto da “Orion”, Luglio 1988. Digitalizzato da Andrea Carancini nel 2010.
[2] “Orion”, n. 43, aprile 1988, pp. 272-274.
[3] L’Internazionale ebraica. IProtocollideiSavi Anzianidi Sion, versione italiana con appendice e introduzione, supplemento de “La Vita Italiana”, Roma 1938-XVI, pp. 9-22; Edizioni di Ar, Padova 1976, pp. 47-63.
[4] Evola e l’autenticità deiProtocolli”, “Orion”, n. 39, dicembre 1987, pp. 94-96. In rete: http://andreacarancini.blogspot.com/2010/05/evola-e-latuenticita-dei-protocolli.html
[5] Segnaliamo anche l’articolo di Gemma Volli La vera storia deiProtocolli dei Savi Anziani di Sion”, “Il Ponte”, novembre 1957, pp. 1649-1662.
[6] Ultima ristampa: Calmann-Lévy, Paris 1968.
[7] I Protocolli dei Savi Anziani di Sion, Edizioni di Ar, Padova 1971, p. 10.
[8] Maurice Joly, Dialogue aux enfers entre Machiavel et Montesquieu, Calmann-Lévy, Paris 1968, p. 161.
[9] Idem, p. 164.
[10] Idem, p. 167.
[11] Idem, pp. 126-127.
[12] I Protocolli…, op. cit., p. 13.
[13] Henri Rollin, L’apocalypse de notre temps, Gallimard, 1939, p. 232. Vedi l’intero capitolo VII.
[14] M. Joly, Dialogue…, op. cit., p. 30.
[15] http://andreacarancini.blogspot.com/2010/05/evola-e-la-veridicita-dei-protocolli.html
[16] Michel Mazor, Le phénomène nazi, Editions du Centre, Paris 1957. Vedi in particolare il cap. II “La ‘justice’ hitlerienne”, pp. 25-87.
[17] Traian Romanescu, La gran conspiracion, Mexico, D. F., 1984, pp. 25-127.
[18] Le citazioni sono tratte da: I Protocolli dei Savi Anziani di Sion, Edizioni di Ar, Padova 1971.
[19] Questa espressione non compare nell’edizione italiana citata alla nota precedente.
[20] Questo fatto non dimostra, come sembra credere l’Autore, che il plagio sia stato eseguito sulla copia già in possesso dell’ufficiale zarista. Se il plagio comincia all’ottava pagina dell’opera di joly, è soltanto perché le pagine precedenti costituiscono un semplice prologo che serve a introdurre i personaggi e in cui non c’è nulla da plagiare. Infatti, l’esposizione della dottrina politica di Machiavelli comincia appunto a p. 8.
[21] Nella versione di Preziosi: “Per me reges regunt” (I Protocolli…, op. cit., p. 71).
[22] Perfino questa citazione – l’unica citazione biblica di tutti i Protocolli! – è tratta dal Dialogue di Joly (ed. cit., p. 49).
[23] Per Norman Cohn “è praticamente certo che i Protocolli sono stati fabbricati tra il 1894 e il 1899, e con ogni probabilità nel 1897 o 1898”, Licenza per un genocidio. IProtocolli degli Anziani di Sion”: storia di un falso, Einaudi, Torino 1969, p. 73.