L'intervista di Zundel al Foreign Policy Journal

TESTARE I LIMITI DELLA LIBERTÀ DI PAROLA: ERNST ZUNDEL PARLA CHIARO

Un’intervista esclusiva con uno dei più conosciuti prigionieri politici d’Europa

Di Kourosh Ziabari, 30 Aprile 2010[1]

Ernst Zundel è un autore e uno storico tedesco che ha trascorso diversi anni della sua vita dietro le sbarre per aver espresso le sue controverse idee ed opinioni. È un revisionista, che ha negato l’Olocausto così come viene descritto dalla maggior parte degli storici. È stato uno dei più importanti prigionieri politici d’Europa ed è stato imprigionato in tre paesi di due continenti.

Dopo il suo arresto del 2003 negli Stati Uniti, è stato deportato in Canada, dove è stato tenuto in prigione per due anni come “minaccia per la sicurezza nazionale”. Dopo essere stato deportato in Germania nel Marzo del 2005, è stato condannato nel 2007 ad ulteriori cinque anni di prigione per negazionismo dell’Olocausto. È stato infine rilasciato il 1 Marzo 2010. Questa è la prima intervista che Ernst Zundel ha concesso dal suo rilascio.

Ziabari: Prima di tutto, vorrei porgerle le mie felicitazioni per il suo recente rilascio. È mai stato maltrattato o sottoposto a qualche tipo di punizione mentale o fisica in violazione delle convenzioni internazionali?

Zundel: Tutto il mio trattamento in questi ultimi sette anni da parte di coloro che mi hanno arrestato, processato e condannato, e che mi hanno tenuto in prigione, è stato una brutale violazione delle convenzioni internazionali. Sono stato arrestato in pieno giorno in terra americana da funzionari del governo degli Stati Uniti che si sono comportati come gorilla di una lobby nefanda. Non c’era un mandato di arresto. Non mi sono stati letti i miei diritti. Sono stato portato via in manette in tutta fretta senza che mi venisse permesso di prendere il portafoglio, di chiamare il mio avvocato, di presentare il mio caso davanti ad un giudice americano per l’immigrazione, e persino di accomiatarmi da mia moglie.

Sono stato incarcerato in sei differenti prigioni, in tre paesi di due continenti – Stati Uniti, Canada e Germania – senza nessun aiuto. In realtà, sono stato derubato del 10% della mia vita, e per quale “crimine”? Per aver “abusato del mio visto statunitense”?

Durante tutto il mio imprigionamento, i principi basilari dei diritti umani sono stati calpestati, ripetutamente e impunemente. Le prigioni peggiori sono state quelle canadesi: i centri di detenzione di Thorold, in Ontario, e di Toronto West, dove sono stato tenuto per due lunghi anni in celle d’isolamento che d’inverno erano ghiacciate, con la proibizione di portare scarpe e calzini. In queste celle, la luce elettrica, abbastanza luminosa da poter leggere, rimaneva accesa 24 ore al giorno. Venivo controllato da uno spioncino di vetro ogni 20 minuti, e le mie attività venivano meticolosamente annotate dalle guardie: un foglio al giorno. Nessuna dignità, nessuna privacy. Il mio spazzolino da denti veniva tenuto in un sacchetto di plastica in una sala. Le lenzuola del letto venivano cambiate solo ogni tre mesi. Niente cuscini. Niente sedie. Quando scrivevo a mia moglie o ai miei avvocati, dovevo mettermi seduto su una pila di fortuna dei miei verbali processuali. Niente radio, niente televisione, nemmeno una presa elettrica per appuntire le mie matite. Niente penne biro, solo mozziconi di matita, tagliati a metà. Niente permesso per cucchiai, forchette, o coltelli; solo un cucchiaio di plastica bianca con forchetta chiamato “spork”[2] che doveva essere restituito ogni volta alla fine del pasto. A parte le rare eccezioni in cui guardie furtive mi mostravano una qualche gentilezza lontano dalle camere di sorveglianza, sono stato trattato come il peggiore dei criminali. È il Canada per te, dove ho vissuto e lavorato senza commettere alcun reato per più di 40 anni.

È andata un po’ meglio, ma non molto, negli Stati Uniti. In Germania, è andata molto meglio per le necessità elementari, ma la posta personale veniva normalmente trattenuta – 1,700 lettere in cinque anni – persino dopo che avevo costretto un tribunale a ordinare che mi venisse consegnata. Il mio cosiddetto processo di Mannheim è stato un processo politico show, alla maniera staliniana, in modo che la mia colpevolezza fosse la scontata conclusione. Avevo chiesto che le prove a discarico fossero ammesse come convalida di quello che avevo scritto, detto e creduto. Non è stata permessa nessuna reale difesa. Non ho potuto presentare nessuna prova forense, nessun documento storico, e neanche deposizioni peritali, perché la richiesta stessa di fornire prove sarebbe stata considerata un nuovo reato e avrebbe provocato nuove accuse – come in realtà è capitato ai miei avvocati, durante quello stesso processo, quando hanno cercato di forzare le predette restrizioni.

Ziabari: Insieme agli altri membri dell’Unione Europea, la Germania critica regolarmente altri paesi per le violazioni della libertà di parola e dei diritti umani. Tuttavia, il suo caso dimostra la vacuità di tali rivendicazioni all’interno dell’Europa. Che ne pensa? Davvero l’Europa è uno spazio utopico di libertà e di libertà di parola?

Zundel: La maggior parte dei paesi europei si limitano a riservare la libertà di parola solo alle visioni della storia ufficialmente approvate e sanzionate. Quasi tutti i paesi dell’Unione Europea hanno leggi contro la libertà di parola che sono coperte da qualche foglia di fico, come la proibizione di attività razziste o neonaziste. Lo stato decide selettivamente chi e cosa è razzista. Queste leggi sono ipocrite: nel caso della Germania, prevalgono persino sulla sua stessa Legge Fondamentale.

Per i dissidenti, le opportunità di essere letti o ascoltati nei canali mediatici ufficiali dell’Occidente sono molto poche. I meccanismi di controllo della stampa sono molti, spesso sottili ma ampiamente conosciuti e osservati: paura di perdere il lavoro, diminuzione della tiratura, estromissione dai favori governativi ecc. La libertà senza restrizioni non c’è più in nessun paese occidentale, nemmeno negli Stati Uniti, con le sue meravigliose Costituzione e leggi, come il Bill of Rights [Carta dei Diritti].

Permettetemi di far notare ai vostri lettori lo schema di quella prassi censoria conosciuta con il termine neutro di “rendition”[3] - ma definita in modo più onesto come rapimento politico - per ridurre al silenzio le manifestazioni pubbliche di dissenso o le idee alternative. Le “rendition”, in Occidente, sono sempre più praticate non solo contro i presunti “sospetti terroristi” ma contro ordinari attivisti politici e scrittori le cui opinioni sono osteggiate da organizzazioni come l’AIPAC e da analoghe lobby e gruppi d’interesse: il B’nai B’rith, il Canadian Jewish Congress ecc.

Per spiegarvi con chiarezza quello che posso descrivervi solo a grandi linee, vorrei rapidamente gettare luce sul periodo precedente al mio arresto negli Stati Uniti e in Canada, sulla connivenza e sulla somiglianza di altri casi rispetto al mio, dove un’infrazione inoffensiva o presunta viene usata come foglia di fico per zittire un oppositore politico.

Viet Dinh, professore di diritto alla Georgetown University - e direttore del loro Asian Law and Policy Studies Program - che ha contribuito ad elaborare il Patriot Act - lo ha detto concisamente[4], secondo quanto riferito da una pubblicazione americana chiamata Wired, che si occupa della libertà di parola in rete. Tale intervista recita:

Wired News: Si ritiene che dopo l’11 Settembre siano state sottoposte a detenzione 5.000 persone. Di queste, solo cinque – tre stranieri e due connazionali – sono state accusate di reati di terrorismo e una di queste è stata condannata. Come giustifichiamo una legislazione così onnicomprensiva che ha portato così poche condanne per terrorismo?

Dinh: ho sentito di questi 5.000. Le cifre ufficiali diffuse dal Ministero della Giustizia indicano circa 500 persone accusate di violazioni relative all’immigrazione e poi espulse che avevano interessato le indagini sull’11 Settembre. Può darsi che un certo numero di cittadini non siano stati accusati di reati di terrorismo, ma perché non ce n’era bisogno. Quando il ministero sospetta certe persone di terrorismo, le persegue per altre violazioni, invece di attendere che un complotto terrorista si sviluppi completamente e rischiare la possibilità che quel complotto non venga sventato, sacrificando perciò nell’operazione vittime americane innocenti.

Zundel: Questo è esattamente ciò che è accaduto a me. La ragione iniziale fornita era una presunta violazione dell’immigrazione – e cioè un “abuso di visto”. Non ero un terrorista; ero uno scrittore dissidente. I miei detrattori politici sapevano fin troppo bene che stavo in America legalmente, e che aspettavo la sistemazione dello status relativo al mio matrimonio con una cittadina americana. Ero inserito nella procedura di Immigration Adjustment of Status, e stavo seguendo meticolosamente tutti i passi previsti. Vivevo alla luce del sole in una zona rurale del Tennessee e figuravo nel locale elenco telefonico. Il governo degli Stati Uniti mi aveva dato un numero della sicurezza sociale, un permesso di lavoro e un documento che mi permetteva di lasciare il paese e di tornarvi senza fastidi. Ero stato sottoposto ad un controllo dell’FBI e ad un controllo sanitario, che avevo superato. L’ultimo passo che mancava era un colloquio personale con un funzionario dell’immigrazione per constatare la validità del mio matrimonio con una cittadina americana.

Ci era stato notificato per iscritto che questo colloquio poteva richiedere tre anni, e che non sarebbe stata consegnata nessuna relazione sullo status. Aspettavamo pazientemente quest’ultimo passo: un colloquio di routine con un funzionario dell’immigrazione. Il nostro avvocato dell’immigrazione aveva chiesto il colloquio in questione per iscritto: due volte! Queste lettere sono misteriosamente scomparse dalla nostra scheda dell’immigrazione. Quando venni arrestato, si disse che avevo “saltato un’udienza” per negligenza, il che diede loro il pretesto per arrestarmi per “abuso di visto”. In altre parole, è stato trovato o inventato un mero espediente burocratico che mi è costato sette anni di vita.

Quello che è accaduto a me nel quadro di una deliberata politica governativa di inganno, è accaduto anche ad altri. Analoghi strattagemmi per mezzo di false accuse sono stati usati in casi come quelli di Germar Rudolf – anche lui sposato ad una cittadina americana – di El Masri in Germania, di Maher Arar in Canada, di Gerd Honsik in Spagna, di Sigfried Verbeke in Belgio, di David Irving, ed ora del Vescovo Williamson, per nominare solo poche persone cadute tra le macine di una politica criminale resa possibile solo dal Patriot Act negli Stati Uniti e da strumenti legali analoghi in altri paesi. Radicato in questo retroscena di una prassi politica occulta volta a forzare la legalità, il mio caso è altamente emblematico. Non abbiamo più a che fare con un’aberrazione. Questi sequestri extralegali danno nuova luce all’11 Settembre e al Patriot Act quali strumenti politici globali di una censura brutale contro pensatori e scrittori impopolari.

L'ambito di una pubblicazione prestigiosa come la vostra dovrebbe comprendere normalmente la politica dei governi stranieri, i sequestri, i rapimenti, le incarcerazioni non solo di nemici stranieri ma, come nel caso di Vanunu, di uno scienziato atomico nato e cresciuto in Israele. Lui non era un neonazista, un razzista, un negazionista dell’Olocausto, eppure è stato inseguito senza sosta dal Mossad e alla fine rapito e incarcerato per 18 anni.

La prassi di infrangere il diritto e le convenzioni internazionali, l’uso di false identità, e la prassi spudorata di irrompere e di penetrare con spie ed agenzie di intelligence, ecc. – queste attività criminali appaiono quotidianamente sui notiziari. Tutto ciò fissa lo scenario e fa del mio caso la progressione logica di una vecchia e consolidata politica, con questa sola differenza: non stiamo più parlando di braccare e rapire presunti “criminali di guerra” nazisti come Eichmann, o palestinesi che lanciano pietre, o “terroristi arabi”, ma piuttosto di prendere di mira scrittori e altri dissidenti politici in paesi occidentali che definiscono sé stessi come “democrazie”.

La mia storia non finisce neppure lì. Nel mio caso, il mio profilo di “negazionista dell’Olocausto” era comodo ma superato. Non si trattava neppure, come si dice di solito – e falsamente – di “negazionismo dell’Olocausto” oppure, tesi anche più stravagante, del mio “abuso di visto”! Ciò che è davvero accaduto mi è stato riferito da un nostro amico con contatti di alto livello alle Nazioni Unite. Secondo quanto ha detto: “È stato il governo che l’ha fatto! Quando si è deciso ai massimi livelli di neutralizzarti per sempre!”.

Ecco cosa è successo, brevemente: nei primi mesi dopo l’11 Settembre, mia moglie, un’avida internauta, scoprì un’avvincente saggio intitolato Stranger than Fiction: An Independent Investigation of 9/11 and the War on Terrorism [Più strano della finzione: un’indagine indipendente sull’11 Settembre e sulla guerra al terrorismo], di Anonimo. Me lo passò a colazione. Lo lessi, lo trovai interessante e ne stampai qualche copia per le persone della mia mailing list. Non scrissi io quel saggio pieno di note a piè di pagina. Non avevo fatto io quella ricerca. L’avevo semplicemente copiato. Qualcuno deve aver concluso che io, con la mia esperienza di approfondite indagini forensi in altri ambiti, mostravo qualcosa di più di un normale interesse per l’11 Settembre come possibile attentato politico sotto falsa bandiera, tipico delle operazioni delle agenzie di intelligence!

Durante il mio processo a Mannheim, ostentatamente per “negazionismo dell’Olocausto”, alcune parti del mio bollettino mensile – dove menzionavo questo opuscolo e l’argomento dell’11 Settembre – vennero additate dal pubblico ministero come reati penali. Solo dopo che fu chiaro che ero lieto dell’opportunità che i miei avvocati presentassero le prove forensi di un possibile insabbiamento dell’11 Settembre, queste parti dell’imputazione contro di me vennero fatte cadere in tutta fretta, e il mio processo diventò un processo show di “negazionismo dell’Olocausto” secondo il modo stalinista tradizionale: “accusate a volontà ma non permettete una difesa!”.

Come scoprimmo in seguito a varie richieste di informazioni in vari paesi, era da anni in vigore un piano premeditato e contorto per arrestarmi e imprigionarmi in base a motivazioni pretestuose, in modo da neutralizzarmi e tenermi dietro le sbarre.

Dico questo solo come esempio esaustivo e logico di quanto siano diabolicamente intelligenti i miei avversari nell’usare l’accusa di “negazionismo dell’Olocausto” e la persecuzione dei revisionisti dell’Olocausto, come frecce del loro armamentario, per puntellare, consolidare, e proteggere il loro potere e la loro influenza acquisiti con l’inganno.

Ziabari: Qual è la realtà dietro l’Olocausto? Non è accaduto affatto? Che dire di persone come Elie Wiesel, Thomas Blatt, Wladyslaw Bartoszewski e Leopold Engleitner, che sono sopravvissuti dell’Olocausto e che descrivono nei loro racconti quei giorni dolorosi, quando videro personalmente la morte straziante dei loro genitori nei campi di concentramento e le macchine spaccaossa? Come risolviamo queste contraddizioni?

Zundel: Non risponderò a questa domanda. Rischierei altri cinque anni di prigione se rispondessi a queste domande in modo onesto e sincero. Tuttavia, nell’età di Internet, altri meno conosciuti di me troveranno il modo di semplificare un problema doloroso e sfaccettato, come la vignetta qui sotto [vedi illustrazione] mette in chiaro.

Ziabari: Molte persone di altri paesi sono arrivate alla conclusione categorica che il mondo occidentale è un faro di libertà e della libertà di parola senza restrizioni. Ma qualche volta sembra che la realtà sia un’altra, e che la gente possa essere facilmente perseguita solo per aver pubblicato opinioni che sono malviste. L’opuscolo che lei pubblicò, Did Six Million Really Die? [Ne sono morti davvero sei milioni?] è un esempio. Che ne pensa?

Zundel: Questo è solo un ulteriore esempio di quello che ho sottolineato in precedenza: abbiamo dei fax e altri documenti che provano, su carta intestata ufficiale dell’ambasciata, che la tanto decantata e pubblicizzata magistratura americana ha interferito in favore di questi sequestratori e rapitori per mezzo di contatti scorretti dietro le quinte, compromettendosi perciò in un insabbiamento e sbiancamento peggiori di quelli praticati da quei governi che il governo americano rimprovera, nelle sue ipocrite campagne propagandistiche, di violazioni dei diritti umani, come la Cina in Tibet, Lukashenko in Bielorussia, Putin a Mosca e, naturalmente, l’Iran durante la recente cosiddetta rivoluzione verde.

Ziabari: Molti siti web sionisti l’hanno presentata come un suprematista bianco. È una definizione giusta?

Zundel: Questa diceria è una comoda tecnica di vilipendio mediatico. Non sono mai statoun suprematista bianco e l’ho detto per decenni, pubblicamente, in innumerevoli interviste, bollettini, discorsi, trasmissioni, ecc. È il modo di comportarsi dei miei nemici quello di liquidare questioni complesse con una demonizzazione politicamente conveniente.

Ziabari: Lei è contrario al regime di Israele, a causa del suo approccio feroce e discriminatorio contro la nazione della Palestina. Lei si considera un pacifista che auspica stabilità e pace; non sono tali convinzioni incompatibili con la sua idea di Hitler , che è universalmente considerato un famigerato dittatore e un killer spietato? Come si può accordare la sua posizione in favore della pace con la sua approvazione di Hitler?

Zundel: Non posso rispondere a questa domanda a causa delle restrizioni legali. Una risposta onesta e completa mi farebbe finire rapidamente in prigione come recidivo. Nella sua domanda è implicita l’immagine velenosa di me che i miei detrattori vorrebbero che lei avesse. Essere chiamato nazista è peggio che essere chiamato lebbroso. Per decenni sono stato fatto oggetto di questa campagna di vilipendio mediatico. Sono stato imprigionato molte volte non per aver professato un’ideologia ma per aver espresso un punto di vista difforme e alternativo su molti argomenti, incluso il ruolo di Adolf Hitler nella storia. Il revisionismo non è un’ideologia. È solo un metodo scientifico per riesaminare eventi storici e per cercare di capire i potenti che hanno ridotto la storia ad una nota a piè di pagina del loro personaggio.

Risponderò in questo modo: ho sempre aborrito ogni forma di violenza, come mezzo per conseguire degli scopi politici. Da parte di chiunque! Politicamente, ero e sono un pacifista, decisamente sul tipo di Ghandi. Auspico un esame della storia sobrio e neutrale, incluso il periodo conosciuto come Terzo Reich. I popoli del mondo, a prescindere da quale sia il sistema di governo sotto il quale vivono, devono liberarsi dall’immagine semplicistica della propaganda e dell’inganno travestiti da storia.

Ziabari: Nel Maggio del 1995, la sua casa di Toronto fu bersagliata da un attacco incendiario che provocò 400.000 dollari di danni. Pochi giorni dopo, certi estremisti suoi nemici vennero catturati mentre cercavano di entrare nella sua proprietà. Qualche giorno dopo ancora, lei ricevette un pacchetto esplosivo che la polizia di Toronto fece brillare. Ha mai sporto querela contro di loro? Sono mai stati condannati da un tribunale?

Zundel: Questo è il rovescio di qualcuna delle domande precedenti. Mentre io non ho mai propugnato o praticato la violenza, sono stati ripetutamente praticati contro di me macroscopici atti di violenza, dei quali il rapimento politico del 2003 è solo l’ultimo. Per quanto riguarda l’incendio e la bomba, no, niente è mai stato risolto. La polizia arrestò chi aveva preparato e spedito la bomba, ma le accuse formulate vennero sospese. Sembra che non ci fosse nessuna volontà politica ai vertici del governo canadese. Non c’era nessun vantaggio politico nel perseguire dei piromani ebrei, che avevano persino confessato il misfatto.

Ziabari: Lei fa differenza tra sionisti ed ebrei, in quanto seguaci di una religione divina e monoteista?

Zundel: Sì, le due cose sono del tutto differenti. Anche certi ebrei ortodossi uniti contro il sionismo, come i Neturei Karta, la pensano allo stesso modo. Sanno che i padrini del comunismo e del sionismo praticavano la stessa politica. Lo spirito guida dietro i due sistemi è lo stesso. I rabbini di Neturei Karta parteciparono alla Conferenza di Teheran del 2006, appoggiata dal vostro presidente, per cercare di prendere le distanze da quella che considerano una pericolosa cricca di atei che persegue una politica illegale di conquista, di cui loro non vogliono aver parte.

Ziabari: I media ufficiali, quelli che l’hanno diffamata, stanno zitti sul suo rilascio. Cosa pensa di questo? Continuerà il suo percorso ideologico o preferirà tenere un basso profilo e lasciar perdere l’attività intellettuale?

Zundel: Ironicamente, questo è esattamente quello che volevo fare quando mi trasferii in Tennessee e sposai Ingrid; tenere un basso profilo e dedicarmi a cose personali come il mio amore per l’arte e la musica. Sentivo che il mio compito di revisionista era finito, concluso con intima soddisfazione. Lasciate che gli altri leggano entrambe le parti e che giudichino da sé. Tutti gli argomenti, tutte le informazioni necessarie sull’Olocausto sono disponibili, su Internet, in decine di migliaia di siti web, liberamente consultabili. Quanto spesso bisogna scavare un sito archeologico per trovare un osso in più, un frammento di coccio ancora più importante? Mia moglie ama dire che non c’è bisogno di mangiare un cammello per sapere che sapore ha una cotoletta. Ero pronto a ritirarmi e a soddisfare i miei bisogni creativi e i miei desideri. Potevo lasciare che altri portassero a termine le attività politiche di rastrellamento. Ma potevano i miei nemici politici chiamarsi fuori anch’essi? No; semplicemente non fa parte della loro natura.

Come lei fa notare in modo così persuasivo, è ancora in corso a tutta birra una potente campagna diffamatoria. [...]. Dopo il mio rilascio, mia moglie ha raccolto migliaia e migliaia di lettere da parte dei lettori, di cui solo tre erano negative! Non male, per i milioni di dollari spesi e i milioni di parole sparse per cercare di dipingermi come un diavolo con le corna.

Mi permetta di domandarle: la sua prestigiosa pubblicazione avrebbe voluto intervistarmi se pensaste che io meriti l’etichetta di Diavolo Incarnato?
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.foreignpolicyjournal.com/2010/04/30/testing-the-limits-of-freedom-of-speech-ernst-zundel-speaks-out
[2] http://en.wikipedia.org/wiki/Spork
[3] http://it.wikipedia.org/wiki/Extraordinary_rendition
[4] http://www.wired.com/politics/law/news/2004/02/62388