Avvertenza: non sono necessariamente d'accordo con quanto afferma il prof. Nolte nei suoi libri (anche perché è un convinto sterminazionista) ma poiché lo considero, insieme a Franco Cardini, uno dei più eminenti storici contemporanei, mi sembra utile, di quando in quando, riportarne il punto di vista su alcuni temi di particolare interesse.
Da Ernst Nolte, NAZIONALISMO E BOLSCEVISMO – La guerra civile europea 1917-1945, Sansoni Editore, Firenze, 1988, pp. 283-285:
“Non abbiamo dati precisi e affidabili sulle origini di quello che sarebbe poi diventato il PCUS, ma si è fatto il calcolo che nell’agosto del 1917 fosse iscritto al partito al massimo il 5% degli operai dell’industria. Dei centosettantuno delegati presenti al VI congresso del partito che compilarono il questionario, novantadue erano russi e ventinove ebrei. Novantaquattro avevano un’istruzione di livello universitario e settantadue erano operai e soldati. L’età media era all’incirca di ventinove anni. Si trattava dunque di un partito di intellettuali, di operai e di contadini in uniforme militare. Non è possibile stabilire quanti operai lavorassero in aziende artigiane o nella piccola industria e avessero perciò caratteristiche piccolo-borghesi; a Pietrogrado era certamente elevata la quota di operai provenienti dalla grande industria e precisamente dalle officine Putilov. Ma naturalmente erano particolarmente significative l’alta percentuale di membri di « gruppi etnici stranieri », non solo ebrei ma anche lettoni, e in generale l’età media piuttosto bassa nel partito. La metà dei delegati al II Congresso di Londra erano ebrei e più del 50% erano intellettuali. Qui diventa chiara l’origine del discorso sul “« bolscevismo ebraico ». Un tratto fondamentale della rivoluzione russa consisteva appunto nel fatto di essere stata non da ultimo un’insurrezione di appartenenti a « gruppi etnici stranieri », o almeno di esserle stata contemporanea: ebrei, lettoni, lituani, finlandesi, georgiani e molti altri. Inoltre una buona metà di quei delegati facevano parte del « Bund » ovvero dello schieramento menscevico e probabilmente ogni bolscevico ebreo a una domanda in tal senso avrebbe risposto allo stesso modo in cui più tardi il commissario del popolo Mechlis rispose a un’osservazione antisemitica di Stalin, cioè dicendo di non essere un ebreo ma un comunista. Possiede una grande verosimiglianza la tesi secondo cui nelle province occidentali della Russia gli ebrei – un « popolo » ancora facilmente riconoscibile e tuttavia già in procinto di liberarsi della fede che pareva identificarlo – erano la più grande riserva di energia e di talento che fosse mai stata concentrata in un spazio così ristretto e che improvvisamente ottenne possibilità d’azione pressoché illimitate. È questa la spiegazione del fatto che nei primi tempi la partecipazione degli ebrei alle massime cariche direttive fosse straordinariamente alta, ma in questo modo non è affatto possibile dimostrare che il bolscevismo fosse in quanto tale un fenomeno ebraico; invece l’unica constatazione che se ne può trarre è che alla vigilia della conquista del potere il partito bolscevico non rispondeva affatto allo schema marxiano dell’enorme maggioranza di proletari e della inconsistente minoranza di magnati del capitale. Il calcolo di percentuali sociologiche non può modificare il risultato fornito dall’esame della storia: nel 1917 il partito bolscevico era un partito relativamente piccolo e ancora del tutto primitivo, composto da intellettuali, operai e « gruppi etnici stranieri »; in un momento in cui la sconfitta militare non era ancora un fatto scontato, questo partito raccolse il desiderio di pace di grandi masse contadine. Dato che già ai suoi primi inizi si era dichiarato un partito marxista, una volta entrato in possesso di tutto il potere non poteva limitarsi a firmare la pace e a distribuire la terra dei grandi proprietari, come avevano richiesto i socialrivoluzionari, ma doveva espropriare anche l’industria e annientare la borghesia dei proprietari privati e la vecchia intelligencija. Era dunque il partito di un rivolgimento sociale globale e, se ammettiamo che ogni trasformazione di tipo sostanziale possa essere detta una rivoluzione e che sia insieme progressiva e giustificata da un punto di vista storico, allora si trattava in effetti di un partito rivoluzionario e progressista che agiva in accordo con lo sviluppo storico. Ma non era affatto un partito conforme al programma originario di Marx. I dati sociologici sono ancor meno significativi per quanto riguarda gli anni successivi alla presa del potere e alla guerra civile, dato che adesso era il partito a dare forma alla realtà sociale e a manipolare la propria composizione, per esempio permettendo che temporaneamente vi potessero entrare soltanto gli operai e i contadini poveri mentre molti impiegati e membri della vecchia intelligencija venivano espulsi. Ma poiché tutte le più importanti posizioni di comando di questo enorme Stato, tranne poche eccezioni, dovevano essere occupate da membri del partito, questo si identificò quasi del tutto con l’élite dirigente, nonostante che ancora nel 1919 il 90% dei suoi iscritti fossero analfabeti o avessero soltanto un’istruzione elementare”. Contemporaneamente il numero degli operai ovvero dei contadini, che svolgevano di fatto i compiti manuali, era circa il 10%. A causa della mancanza di dati sociologici scientifici non è possibile dare una risposta affidabile alla domanda se al di sotto del vago concetto di impiegati o di nuova intelligencija avvenissero profonde modificazioni e la formazione di una nuova classe o magari di una casta”.