Un libro di Giorgio S. Frankel: "L'Iran e la bomba"

Giorgio S. Frankel

L'Iran e la bomba
I futuri assetti del Medio Oriente e la competizione globale

pagg. 12012 Il libro sarà nelle librerie a partire dal 28 aprile 2010 – È già disponibile per attivisti/organizzazioni.
Un testo breve ma di grande lucidità, utile a capire la posta in gioco di un possibile e imminente conflitto bellico.

Indice
Introduzione
1. L’atomica più lenta della Storia
2. Una scena strategica affollata: Iran, Israele, Stati Uniti e altri
3. La «lunga guerra» globale e l’Iran
4. Se L’Iran avrà l’atomica: equilibrio o catastrofe?
5. Israele, la bomba e la deterrenza globale

Attivisti/e e organizzazioni possono promuovere il libro acquistandolo direttamente dalla casa editrice al prezzo di 6 euro + spese di spedizione in contrassegno.
Inviare la richiesta a: info@deriveapprodi.org e cc a info@ism-italia.it
Costo complessivo:
per 6 libri 30 euro+4 di sped. = 34 euro
per 10 libri 60 euro+4 di sped. = 64 euro
oppure sollecitando le librerie frequentate a ordinarlo e/o organizzando presentazioni del libro.

Il libro
Da circa vent’anni gli Stati Uniti e parte delle potenze occidentali affermano che «l’Iran è prossimo ad avere armi atomiche e che è ormai solo una questione di pochi anni». Questi «pochi anni» sono generalmente cinque, ma i tempi previsti variano a seconda delle circostanze, mentre la data fatidica dell'ingresso dell’Iran nel club delle potenze nucleari viene via via spostata in avanti. A cosa risponde questa retorica a fronte della centralità della questione iraniana nello scacchiere politico mediorientale? Qual è il ruolo giocato dall’altra potenza atomica regionale, ovvero Israele?
Attraverso un’analisi geopolitica che passa al vaglio tanto gli appetiti occidentali per le risorse di gas e petrolio iraniane quanto la specifica collocazione dell’Iran a cavallo tra la sfera d’influenza cinese e quella russa, Frankel prova ad approfondire la questione dell’«atomica iraniana» scardinando ciò che lui stesso definisce una retorica di «propaganda». Gli scenari possibili sono infatti diversi e complessi: dall’apertura di un nuovo fronte militare oltre a quello afghano e iracheno all’introduzione di un possibile equilibrio del terrore basato sulla deterrenza.Un testo breve ma di grande lucidità, utile a capire la posta in gioco di un possibile e imminente conflitto bellico.

Giorgio S. Frankel
Giorgio S. Frankel, analista di questioni internazionali e giornalista professionista indipendente, si occupa di Medio Oriente e Golfo Persico dall’inizio degli anni Settanta. Negli ultimi anni ha scritto anche di Asia centrale, politica petrolifere internazionali, industria aerospaziale. In passato ha seguito a lungo i problemi strategici Est- Ovest, le questioni del Sudafrica e dell’Africa australe, oltre che della Turchia. Collabora a «Il Sole 24 Ore», al «Corriere del Ticino» e ad altri periodici, tra cui «Il Mulino» e «Affari Esteri». È docente al «Master in Intelligence» dell’Università della Calabria e ha insegnato in varie edizioni del «Master in Peacekeeping» dell’Università di Torino.

Dalla prefazione dell'autore
Per progettare e costruire le prime atomiche partendo quasi da zero, durante la Seconda guerra mondiale, gli americani impiegarono sei anni, se si fa iniziare la «corsa alla Bomba» con la celebre lettera di Albert Einstein al presidente Roosevelt, o molto meno – solo tre anni e mezzo – se si conteggiano i tempi dall’avvio vero e proprio del «Progetto Manhattan». A confronto, l’atomica iraniana ha avuto tempi così lunghi e un procedere così lento che non si può certo parlare di una «corsa alla Bomba» da parte di Teheran. Quell’atomica, in effetti, è stata in prima pagina, per così dire, per quasi vent’anni, e sempre data per imminente – una questione, si diceva ogni volta, ormai di pochi anni: dai tre ai cinque, secondo molte previsioni, o anche meno, secondo altre. Ma il fatidico giorno «X» dell’Iran nucleare ha continuato a fuggire in avanti. Ancora nel 2009 non si era certi che Teheran avesse effettivamente deciso di dotarsi di armi atomiche. Del resto, nel novembre 2007 le agenzie di intelligence degli Stati Uniti, in una valutazione («National Intelligence Estimate») del programma nucleare iraniano, dissero che, molto verosimilmente, Teheran aveva chiuso la parte militare del programma stesso già nel 2003, a causa delle pressioni internazionali.
Nel corso degli anni, numerosi «scoop» giornalistici e alcuni rapporti di vari centri di ricerca, soprattutto negli Stati Uniti, hanno parlato di prove concrete e decisive circa l’esistenza di un programma militare iraniano in uno stadio ormai avanzato. A questi si aggiungono, tra gli altri, anche occasionali rapporti di alcuni Comitati del Congresso degli Stati Uniti. Alcune «rivelazioni» sono poi risultate di fonte israeliana; sono quindi possibili casi di disinformazione e guerra psicologica. In linea di massima, gli «scoop» giornalistici, per quanto clamorosi, non sembrano avere avuto alcun seguito di rilievo per quanto riguarda la linea delle potenze occidentali e la politica dell’Aiea. Gli Stati Uniti hanno più volte minacciato azioni militari contro il programma nucleare iraniano, soprattutto dopo la guerra in Iraq. Israele ha parlato della possibilità concreta di un proprio attacco «preventivo», anche con armi atomiche, contro la «minaccia» nucleare iraniana fin dall’inizio degli anni Novanta. Israele, con la sua potenza nucleare (che alcune stime mettono al terzo o quarto posto nella graduatoria mondiale), è un fattore chiave della persistente emergenza iraniana a livello globale, mentre Russia e Cina hanno stretti rapporti con l’Iran e negano l’esistenza di un programma nucleare militare (molto probabilmente non sarebbero a favore di un Iran nucleare, ancorché alleato), gli altri paesi del Medio Oriente, Turchia compresa, sono in linea di massima orientati al dialogo anziché a uno scontro, l’Europa sarebbe favorevole a sviluppare i rapporti economici con l’Iran, mentre negli Stati Uniti la Casa Bianca, già con Bush, il Pentagono e il Dipartimento di Stato hanno in varie occasioni attenuato i toni verso l’Iran, a dispetto della retorica bellicista del Congresso e di molti politologi e teorici «neocon» che hanno sviluppato una sorta di ideologia intorno all’ipotesi di bombardare l’Iran. Le minacce israeliane, come ha scritto il politologo Trita Parsi, sono un «bluff», ma le conseguenze di un eventuale attacco sarebbero troppo pericolose per correre il rischio, e questo costringe le altre potenze a continuare le pressioni sull’Iran per tenere sotto controllo il fattore Israele. Queste considerazioni, e altre che ne conseguono o possono a esse connettersi, non implicano necessariamente un atteggiamento di simpatia politica verso il regime di Teheran, la sua ideologia e la sua politica interna. Bisogna però ricordare che intorno al 2003, prima e dopo la guerra in Iraq, coloro che dicevano che l’Iraq non aveva un arsenale di «armi di distruzione di massa» e non poneva una minaccia ai vicini e tanto meno al mondo venivano facilmente infamati come «amici» e sostenitori della dittatura di Saddam Hussein. Il punto è che quelle armi non c’erano e le prove della loro esistenza erano assolutamente false, mentre la successiva distruzione dell’Iraq è stata tragicamente vera e quasi irreversibile.
Ai tempi della guerra in Iraq la boutade di successo negli Stati Uniti era: «Tutti vogliono andare a Baghdad, ma gli uomini veri vanno a Teheran!», ovvero: «Dopo l’Iraq, il primo della lista è l’Iran». Il punto è che, a parte ogni considerazione sul regime di Teheran, un attacco all’Iran col pretesto delle sue (ipotetiche) armi nucleari potrebbe provocare uno shock petrolifero mondiale, destabilizzare come una catastrofe l’intero Medio Oriente e mettere Stati Uniti e Cina in una pericolosa rotta di collisione frontale. Questi e altri possibili eventi connessi potrebbero poi essere ricordati, in un lontano futuro, come i prodromi della terribile Grande guerra globale del secondo decennio del XXI secolo. In altre parole, quello che sembrava possibile all’America di George W. Bush alla vigilia della spedizione in Iraq, quando gli Stati Uniti erano «l’unica super-potenza globale rimasta al mondo», e non intendevano tener conto dell’Europa o della Russia, non sembra più possibile, se non con rischi altissimi, all’America di Barack Obama, una potenza in declino, impastoiata in una difficile guerra sul fronte Afghanistan-Pakistan, e che prevede di combattere in quelle zone del mondo una «Lunga guerra» che durerà altri cinquant’anni, mentre la Cina e l’Asia emergono come futuro polo del potere globale. I rapporti di forza a livello globale sono in pochi anni molto cambiati. Anche il Medio Oriente è cambiato, come si vede col rapido avanzare degli interessi della Cina nel Golfo Persico, le modernizzazioni della regione, il nuovo ruolo della Turchia, il dinamismo degli emirati del Golfo e altri sviluppi. Nel Medio Oriente esteso si gioca una partita decisiva per il futuro ordine mondiale e per definire i confini tra il potere asiatico che avanza e quello americano che retrocede. L’Iran è certamente un settore chiave di questa competizione globale.Come si vede, dunque, la questione della (ipotetica) atomica di Teheran ha molte sfaccettature, a cominciare da quella tecnologica e industriale, relativa alle effettive capacità iraniane in campo nucleare, che però non può essere qui esaminata. Tra le sfaccettature di carattere più propriamente politico, una di grande rilievo è la propaganda, che quando è ben condotta è difficile da individuare subito. Nei paesi occidentali, la propaganda permea ogni altro aspetto della questione iraniana, condiziona sempre più il linguaggio politico, e ha acquisito una dimensione e una veemenza senza precedenti nella storia recente. Un’altra sfaccettatura comprende le pressioni e le manovre diplomatiche, le ritorsioni economiche, le minacce militari volte a bloccare il programma nucleare iraniano.