Resistenza e revisionismo: qualche puntino sulle "i"


Il 25 Aprile è una data fatidica che – a più di 60 anni di distanza dalla fine della guerra – continua a suscitare l'odio, ultimamente sempre più sfrontato, di una parte degli italiani. A questo proposito non posso non ribadire quanto da me scritto qualche giorno fa su Facebook:

“A me, questo sparare sui partigiani ogni volta che arriva il 25 Aprile fa pensare a quanto abbia preso piede in Italia il giampaolopansismo, che è non è genuino revisionismo ma la caricatura furbesca - e redditizia! - di quest'ultimo. Passare da Faurisson a Giampaolo Pansa (da un revisionista vero, criticabile ma eroico, ad uno fasullo come l'operazione commerciale che ha imbastito) come si passa dalla frutta al dessert rivela solo la natura regressiva della sempiterna piccola borghesia italica e italiota”.

Ho iniziato a scrivere questo blog, più di due anni fa, dopo una frequentazione più che decennale dei temi e degli argomenti del revisionismo storico. All’epoca, il progressivo apprendimento delle menzogne e dei misfatti dei vincitori della seconda guerra mondiale mi aveva portato – a me, che appartengo ad una famiglia di tradizioni antifasciste – a definirmi un “post-antifascista”. Questi due anni hanno rappresentato un esercizio quotidiano impegnativo ma stimolante di libertà intellettuale. Con il passare del tempo ci ho preso gusto, e questo mi ha portato a riflettere sulla predetta libertà, sulla mia condizione di privilegiato: ho pensato che non sono molti i paesi, anche nella “democratica” Unione Europea”, dove si possono pubblicare (almeno per ora!) articoli di revisionismo olocaustico.

Tutto ciò, piaccia o no, lo devo alla Costituzione italiana e al suo articolo 21, quello a suo tempo definito giustamente (dal suo punto di vista!) dal sionista Emanuele Fiano “un problema”[1]. Ma se in Italia c’è una Costituzione – questa Costituzione – anche questo lo devo, lo dobbiamo, ai partigiani, ai tanto vituperati partigiani. Anche a quelli comunisti.

Ripeto: questo blog nasce come una forma di resistenza umana al conformismo intellettuale. Oggi è un giorno di festa, almeno per me, e non avevo voglia di “resistere”. Anche oggi. Ma dovevo farlo, di fronte alle tante, troppe, banalità e soperchierie sulla Resistenza sentite e lette in questi giorni. Mi sono reso conto che, di fronte all’ignoranza (quasi mai incolpevole) dilagante nell’Italia di questi tempi, non bisogna dare nulla per scontato e che è necessario mettere qualche puntino sulle “i”, anche se si tratta di ovvietà.

Primo fatto: sì, la nostra Costituzione, quella che gli azzeccagarbugli del Banana vorrebbero stravolgere, la dobbiamo ai partigiani. Sembra un’ovvietà ma molti, troppi, tendono a dimenticarlo (persino illustri giornalisti come Massimo Fini[2]). Su questo, per rintuzzare la piccola borghesia di cui sopra, basta Wikipedia:

“La Resistenza costituisce il fenomeno storico nel quale vanno individuate le origini stesse della Repubblica italiana. Infatti, l’Assemblea costituente fu in massima parte composta da esponenti dei partiti che avevano dato vita al CLN, i quali scrissero la Costituzione fondandola sulla sintesi delle rispettive tradizioni politiche e ispirandola ai princìpi della Democrazia e dell’Antifascismo”[3].

Essere grati ai partigiani per il privilegio di poter parlare e scrivere liberamente (ripeto: almeno finora!) significa essere “di sinistra”? Anche se fosse, qual'è il problema? Dice la mia (ex) amica Giovanna Canzano (tuttora in preda ad una perdurante fascinazione per l’estrema destra): «Ma come fai a essere di sinistra e, nello stesso tempo, revisionista? È un controsenso!».

No, non è un controsenso. Ricordiamo perché.

1. Il revisionismo dell’olocausto è un’epistemologia, non un’ideologia; in ogni caso non può essere “fascista”, perché le radici del fascismo affondano nella propaganda bellica della prima guerra mondiale (nella famigerata retorica degli "arditi"): il revisionismo come corrente storiografica nasce all’indomani della prima guerra mondiale - in Francia, in Inghilterra e negli Stati Uniti - proprio per sbugiardare la predetta propaganda.
2. Paul Rassinier, il fondatore del revisionismo olocaustico, era socialista, medaglia d’argento della Resistenza, e teorico del pacifismo integrale. Quanto di più lontano, quindi, dai rancorosi che non hanno ancora digerito il 25 Luglio e l’8 Settembre 1943.
3. I fascisti che sputano sui partigiani e nel contempo lamentano la sudditanza dell’Italia rispetto agli Stati Uniti non capiscono – o fanno finta di non capire – che la campagna contro i partigiani, iniziata da Giampaolo Pansa e portata avanti dai magliari del Banana, ha precisamente lo scopo di perpetuare la nostra dipendenza dagli Stati Uniti, liberandola da quei “se” e da quei “ma” rappresentati dall’eredità del patriottismo resistenziale.[4].
4. Qual è il messaggio essenziale del revisionismo olocaustico? Quello che le camere a gas omicide di Hitler sono inesistenti. Ciò significa, di per sé, riabilitare Hitler? Non più di quanto sostenere l’inesistenza della armi di distruzione di massa di Saddam significhi, di per sé, riabilitare il raìs iracheno. Si astengano quindi, i nostalgici del fascismo, dal voler ammantare di revisionismo il loro odio ideologico.
5. Questo è un blog radicalmente antisionista. Come tale, non può non essere antifascista visto che, per chi non l’avesse ancora capito, il sionismo è quel pezzo di fascismo uscito trionfatore dalla seconda guerra mondiale[5].

Grazie ai partigiani, dunque, abbiamo avuto la Costituzione. Chi li odia, dovrebbe riflettere sul fatto che la Germania – la cui Resistenza, per quanto meritoria, non ebbe la forza politica di quella italiana – non ha una vera Costituzione ma solo unaLegge fondamentale[6]. Per capire la differenza sostanziale, leggetevi l’articolo di Germar Rudolf da me tradotto a suo tempo[7].

Passiamo adesso alle critiche, infinitamente più dignitose, ma non prive di inesattezze, di Massimo Fini. Tali critiche, sono riassumibili nella seguente osservazione:

“Come fatto militare la Resistenza fu del tutto marginale all’interno di quel grandioso e tragico evento che è stato il secondo conflitto mondiale. Servì come riscatto morale per quelle poche decine di migliaia di uomini e donne coraggiosi che vi presero parte”[8].

Poche decine di migliaia? Non proprio. Leggiamo Wikipedia:

“Furono invece 40.000 i soldati che morirono nei lager nazisti, su un totale di circa 650.000 che fu deportato in Germania e Polonia dopo l’8 Settembre e che, per la maggior parte (il 90% dei soldati e il 70% degli ufficiali) rifiutarono le periodiche richieste di entrare nei reparti della RSI in cambio della liberazione[9].

Pur militarmente circoscritta (anche se non così circoscritta, come pretende Fini) la Resistenza è stata un fatto, anche numericamente, grandioso. Certo, va celebrata senza trionfalismi, ma senza disconoscere il legame di sangue che ci lega a coloro che sono morti per noi. Viva i partigiani!



[1] Vedi l’intervista radiofonica concessa al giornalista RAI Massimiliano Giaquinto: http://www.radio.rai.it/radio1/inviatospeciale/archivio_2008/audio/is2008_11_22.ram
[2] http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=31987
[3] http://it.wikipedia.org/wiki/Resistenza_italiana
[4] Il risvolto subdolo e sottaciuto della pubblicistica di Pansa sul "sangue dei vinti" è appunto quello di sdoganare gli ascari della predetta dipendenza: i neofascisti degli anni '70, quelli della trista strategia della tensione. Si veda ad esempio, nel libro di Pansa La grande bugia (Sperling & Kupfer Editori, Milano, 2006), l’elogio (alle pagine 416-434) di un personaggio come Giorgio Pisanò, giornalista legato al servizio supersegreto detto L’Anello che ebbe parte non piccola nella detta strategia: Stefania Limiti, L’ANELLO DELLA REPUBBLICA, Chiarelettere editore, Milano, 2009.
[5] Per la dimostrazione, si legga l’articolo La minaccia del fascismo ebraico, pubblicato a suo tempo su questo blog: http://andreacarancini.blogspot.com/2009/10/la-minaccia-del-fascismo-ebraico.html
[6] http://it.wikipedia.org/wiki/Legge_fondamentale_della_Repubblica_Federale_di_Germania
[7] http://ita.vho.org/040_Germania_situazione_da_incubo.htm
[8] Vedi nota 2.
[9] Vedi nota 3.