Caso Demjanjuk: la Shoah "must go on"

LA SHOAH "MUST GO ON"

Di Gilad Atzmon, 25 Gennaio 2010[1]

La settimana scorsa ha visto il sopravvissuto dell’Olocausto Thoman Blatt, 82 anni, testimoniare al processo di John Demjanjuk. Blatt ha detto di avere ancora gli incubi per il periodo da lui trascorso al campo di Sobibor: “Vado lì nei miei sogni, sono così reali. In questi sogni sto ancora lì. Non riesco a sfuggire alla mia mente. Questo è il prezzo che ho pagato per esserne uscito”.

L’ucraino di nascita John Demjanjuk, 89 anni, è accusato dal tribunale di Monaco di essere stato ‘complice’[2] della morte di 27.900 ebrei nel campo di Sobibor quando era un prigioniero di guerra tedesco. Il caso vuole che la giustizia tedesca stia dando la caccia ai complici[3] dei crimini nazisti. Per quanto dirlo sia imbarazzante, non lo sta facendo molto bene nel caso in questione. Demjanjuk nega recisamente di aver avuto a che fare con il crimine che gli viene imputato e inoltre la pubblica accusa non ha prove di sorta che colleghino personalmente Demjanjuk al delitto o ad ogni altro relativo evento criminale olocaustico.

Nemmeno Blatt ricorda John Demjanjuk, né può dire se è colpevole di aver aiutato a gasare 27.900 ebrei. “Sono passati più di 60 anni”, ha detto Blatt, “non riesco a ricordare neanche il viso dei miei genitori. La corte deve decidere se lui stava lì. Se stava lì quando c’ero io allora posso immaginare che spingesse gli ebrei con la punta della baionetta nelle camere a gas”.

Secondo il Mirror[4], Blatt è stato portato in tribunale “per dare viva voce all’orrore, piuttosto che un polveroso resoconto storico”. A quanto pare, nello stato corrente dei nostri iperrealistici processi internazionali, i documenti storici e la realtà dei fatti sono ridotti al rango di “polvere” mentre un racconto personale, pieno di supposizioni, collegamenti ed emozioni viene considerato una “viva voce” persuasiva. Demjanjuk, un vecchio decrepito, è qui accusato di aver collaborato alla morte di non meno di 27.900 persone. Il tribunale farebbe meglio a portare qualcosa di concreto invece di mere supposizioni.

Blatt ha affermato che “gli ucraini ‘come Demjanjuk’ erano il peggio del peggio. Avevamo più paura di loro che dei tedeschi”. C’erano “sempre 120 guardiani ucraini, rispetto ai soli 17 uomini delle SS”, ha detto Blatt alla corte. Blatt chiaramente l’ha passata liscia con le sue generalizzazioni. Mi chiedo se sarebbe ugualmente accettato dal tribunale di Monaco un bambino palestinese che dica che sono gli ebrei ‘come Blatt’ ad aver ucciso un anno fa la sua famiglia sganciando bombe su un rifugio delle Nazioni Unite a Gaza. Per qualche strano motivo, all’interno del contesto del discorso liberale occidentale è permesso generalizzare - così come utilizzare liberamente categorie razziali e indicare la colpevolezza mediante associazione - quando sono gli ebrei a farlo. Mentre il resto dell’umanità deve evitare un tal modo di parlare.

Comunque, queste rozze accuse indiscriminate contro gli ucraini in quanto popolo, a quanto pare accettate come prova dal tribunale di Monaco, possono in realtà gettare luce sulle motivazioni sinistre che stanno dietro al processo in questione. Come il resto dell’umanità, i tedeschi sembrano mostrare chiari segni di “logorio da Shoah”. Sembrano ritirare la propria responsabilità dal passato nazista e lasciare che siano i prigionieri di guerra ucraini ad esserne accusati. Allo stesso modo, potremmo aspettarci che ad un certo punto l’America e l’Inghilterra decidano di usare la stessa tattica e che accusino i loro collaborazionisti nel mondo arabo delle morti e dei massacri che loro stessi si sono lasciati dietro. Anche Israele, che sta ora fronteggiando le pressioni dovute al crescente record dei propri crimini contro l’umanità, potrebbe servirsi del trucco dei tedeschi.

Ma c’è una piega molto più interessante in questo vergognoso caso giudiziario in corso. Mentre Demjanjuk nega di essere stato complice dei crimini nazisti, Blatt ammette liberamente di aver lavorato per le SS e di aver aiutato quella che lui stesso descrive come una macchina della morte: “Un altro lavoro era quello di tagliare i capelli alle donne che dovevano essere uccise”, dice Blatt. “Quelle che provenivano da luoghi come l’Olanda credevano alla menzogna”, afferma. “Le donne mi dicevano: ‘La prego, non mi tagli i capelli troppo corti!’ Ma le ebree polacche – già sapevano. Avevano sentito troppe storie, avevano sentito l’odore dei falò notturni”. Continua Blatt: “dicevano: ‘Come puoi farlo? Come puoi lavorare per le SS?’. L’ho fatto per sopravvivere”.

Ci si può chiedere come mai la voglia di Blatt di sopravvivere sia più Kosher del desiderio di un prigioniero ucraino di tornare a casa. In altre parole, considerando l’ammissione di Blatt di aver aiutato le SS, perché non viene accusato dallo stesso tribunale tedesco di essere stato un ‘complice’ dei crimini nazisti?

Una possibile risposta è che Blatt è ebreo e Demjanjuk è un Goy. Per quanto sia triste, agli occhi del tribunale di Monaco la voglia di sopravvivere di un ebreo deve essere superiore al desiderio di un ucraino di arrivare alla fine della guerra sano e salvo. Se questo è il caso, il tribunale tedesco non riesce a comportarsi in modo etico e universale. Di conseguenza, sarebbe ragionevole pensare che il tribunale di Monaco non riesce a trarre dal passato nazista della Germania la necessaria ed elementare lezione. La giustizia tedesca in qualche modo discrimina le persone a seconda della loro razza o etnia.

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.gilad.co.uk/writings/the-shoa-must-go-on-by-gilad-atzmon.html
[2] Un ‘complice’ è una persona che aiuta l’esecuzione di un crimine ma che non partecipa in realtà all’esecuzione del crimine come mandante. Vedi http://www.gilad.co.uk/writings/accessory-vs-perpetrator-by-gilad-atzmon.html
[3] http://www.gilad.co.uk/writings/accessory-vs-perpetrator-by-gilad-atzmon.html
[4] http://www.mirror.co.uk/news/top-stories/2010/01/20/guards-used-bayonets-to-push-jews-along-the-road-to-heaven-if-demjanjuk-was-there-he-did-it-sobibor-death-camp-survivor-thomas-blatt-115875-21980892/