Gian Antonio Stella e il revisionismo

GIAN ANTONIO STELLA E IL REVISIONISMO

Di Carlo Mattogno

Riprendo l’esame del capitolo dedicato al revisionismo da Gian Antonio Stella nel libro Negri, froci, giudei e Co. L’eterna guerra contro l’“altro” (Rizzoli, 2009).
Il titolo – “Macché gas, Auschwitz aveva la piscina”. La cancellazione dell’Olocausto e la rinascita dell’antisemitismo –, nella sua insulsa formulazione, tradisce già quantomeno l’incompetenza dell’autore. Incompetenza confermata dal suo incredibile abbaglio proprio sulla piscina di Auschwitz[1]. Incompetenza ribadita dalla sua bibliografia, che menziona appena tre libri revisionistici, per di più alquanto datati e assolutamente marginali: uno di Dietlieb Felderer (del 1978!), il secondo di Roger Garaudy (del 1995) e l’ultimo di David Hoggan (la cui prima edizione risale al 1969!). Egli infatti attinge tutte le sue scarne conoscenze sull’argomento nientemeno che da Valentina Pisanty, l’esperta in Cappuccetto Rosso prestata alla critica storiografica (si fa per dire).
En passant, qualcuno trova che il mio tono nei confronti di questa dottoressa sia un po’ sferzante. Si può rispondere che ognuno ha il tono che merita, e la dottoressa Pisanty, quello che le ho riservato, lo merita abbondantemente, già soltanto per il fatto di essersi sfrontatamente appropriata di molte mie critiche al revisionismo e di averle poi brandite come sue contro di esso; e non solo delle mie, ma anche di quelle di Deborah Lipstadt e Pierre Vidal-Naquet, da lei saccheggiate in modo inverecondo senza il minimo riferimento alle fonti. Plagio e malafede. Senza contare la lunga serie di menzogne, travisamenti, sofismi, ecc. ecc. che ho messo in evidenza nel mio studio a lei dedicato[2]. Ma quando si ha la ventura di stare dalla parte dei padroni del vapore, non c’è confutazione che tenga. Ci saranno sempre dei Gian Antonio Stella che prenderanno sul serio le sue scempiaggini. Egli infatti espone incautamente lo stupidario della Pisanty. Prima di ritornare sulla questione, è opportuno soffermarsi su questa informazione:
«Lidia Beccaria Rolfi e Bruno Maida hanno scritto un libro sconvolgente Il futuro spezzato. I nazisti contro i bambini, su quei piccoli ebrei sequestrati e assassinati nei lager. Raccontando, per esempio, la storia dei sei fratellini Bondì: “Ad Auschwitz solo Fiorella si salva, passando la “selezione”. Un anno dopo, nel novembre 1944, viene evacuata da questo campo e trasferita a Belgen-Belsen. Sarà l’unica bambina ebrea italiana a sopravvivere a 18 mesi nei campi di sterminio» (pp. 194-195).
Una buona notizia. Fiorella Bondì, nel Libro della Memoria è infatti registrata come «uccisa all’arrivo a Auschwitz il 23.10.1943»[3]. E poiché era nata il 30.6.1932, passò la “selezione” all’età di 11 anni. Un fatto singolare per un preteso campo di sterminio in cui i bambini al di sotto dei 14 anni venivano inesorabilmente “gasati”. E passarono la “selezione” anche altri bambini che Liliana Picciotto Fargion dichiara assassinati all’arrivo? Per questo bisognerà attendere altre rivelazioni.
Stella passa poi in rassegna le “prove” dell’Olocausto:
«Direte: come è possibile che qualcuno ci creda, nonostante i filmati girati nei lager all’arrivo degli Alleati con quelle figure che si aggirano incapaci perfino di gioire? Nonostante i racconti del premio Nobel Elie Wiesel (“L’angelo della morte ha attraversato troppo presto la mia infanzia marcandola con il suo sigillo”) e altri sopravvissuti? Nonostante le centinaia di libri di memorie, tra i quali capolavori come quello di Primo Levi?» (pp. 195-196).
Argomenti insulsi. I filmati in questione non dimostrano nulla circa l’Olocausto, come ho spiegato in un altro scritto, nel quale ho mostrato statisticamente che nei campi di concentramento i detenuti cominciarono a morire in massa, per le tragiche condizioni sanitarie e alimentari, dopo la fine del presunto sterminio in massa, cioè nei primi mesi del 1945[4].
Quanto valgano poi «i racconti del premio Nobel Elie Wiesel» si può giudicare dal suo vero curriculum[5]. Infine «le centinaia di libri di memorie», senza riscontri documentari e materiali, sul piano storico valgono poco o nulla, come ammettono anche importanti personaggi olocaustici.
Indi Stella attinge imprudentemente a piene mani alle scemenze pisantyane. Apprendiamo così che Maurice Bardèche era «un fascista che già nel ’48 teorizzava che i campi di sterminio fossero un’invenzione della propaganda alleata»(p. 196), mentre all’epoca egli credeva alla realtà di essi, come ho documentato altrove[6]; o che David Hoggan «nel libro The Myth of the Six Million rifiutò le testimonianze di Kurt Gerstein (esperto di camere a gas [Stella dimentica di aggiungere: di disinfestazione]) e dello stesso Rudolf Höss (il comandante SS [precisazione indispensabile!] di Auschwitz) perché “estorte” dagli inquisitori di Norimberga» (p. 196). Ma nel libro in questione non appare alcun riferimento a testimonianze «estorte» a Gerstein. Anzi, il relativo paragrafo è intitolato “Le esagerazioni di Kurt Gerstein screditano il mito dello sterminio[7]. Giudizio lungimirante, perché nel 2000, Michael Tregenza, uno dei massimi esperti mondiali olocaustici del campo di Belzec (quello presuntamente visitato da Gerstein) asserì che «secondo lo stato attuale delle ricerche, bisogna dichiarare anche il materiale-Gerstein come fonte dubbia, anzi, in alcuni punti, bisogna considerarlo fantasticheria», sicchè questo testimone oculare dev’essere considerato «inattendibile»[8]. È vero invece che nel libro summenzionato si accenna in due righe alle torture subìte da Rudolf Höss dopo la sua cattura[9], ma questo ormai è un fatto notorio, dichiarato da Höss stesso, ammesso dal suo principale torturatore, Bernard Clarke, e riconosciuto da scrittori insospettabili come Jean-Claude Pressac e Fritjof Meyer[10]. Sorvolo per magnanimità su ciò che Stella dice su Faurisson e passo direttamente al «succo del negazionismo, da Faurisson a Felderer, da Hoggan a David Irving»(p. 197). Incredibile ma vero: per Stella il «succo» del revisionismo si riduce a questi quattro autori! Per redigere il libro sul quale mi soffermerò alla fine di questo scritto, Thomas Dalton ha esaminato oltre 90 scritti revisionistici di oltre venti autori. Ma egli voleva anzitutto conoscere e capire; i pisantyani, invece, vogliono soltanto condannare in modo inappellabile, ideologicamente, senza conoscere e senza capire.
Per quanto riguarda Irving, il quale, al massimo, è stato un simpatizzante del revisionismo, non certo un revisionista, affermare che egli «dopo una condanna a tre anni di carcere in Austria fece atto di contrizione per poi tornare alle sue posizioni»(p. 197) denota una totale ignoranza della questione. Con la sua accettazione dei presunti campi di sterminio orientali, egli ora è diventato più un simpatizzante della teoria olocaustica[11].
Dopo la parodistica esposizione dei prìncipi fondamentali del revisionismo inventati dalla dottoressa Pisanty (p. 197), Stella sentenzia:
«Si sono incaponiti in tanti, negli anni, sul negazionismo. Indifferenti a tutti i documenti, le testimonianze, le foto» (p. 198).
Ma di questi «tanti» passa frettolosamente in rassegna soltanto personaggi – musulmani –assolutamente insignificanti. Indi conclude:
«Insomma: sono decenni che una piccola ma callosa minoranza di storici, pseudo-storici, hitleriani e maneggioni vari si è accanita a mettere in forse la mattanza degli ebrei. Ma internet ha consentito che questi schizzi diventassero un melmoso acquazzone»(p. 199).
E che cosa trae da questo copiosissimo «melmoso acquazzone»? Solo questo:
«Su molti siti neofascisti, per dare un’idea, c’è un articolo intitolato La Dichiarazione di guerra ebraica alla Germania nazista» (p. 199), che, lascia intendere, è pieno di sciocchezze. L’articolo in questione[12] sarà pure stato ripreso da siti neofascisti, ma proviene da una rivista che di certo non lo è: The Barnes Revue. Qui, a onor del vero, non si può imputare a Stella, semplice saggista, una grave mancanza che appartiene alla storiografia olocaustica. In sintesi, il 24 marzo 1933 il Daily Express pubblicò in prima pagina un articolo titolato Judea Declares War On Germany. Jews Off All The World Unite In Action. Fatto indiscutibile. La pagina, tra l’altro, è riprodotta proprio nell’articolo summenzionato. La reazione tedesca si fece sentire dopo qualche giorno. Il 28 marzo 1933 Hitler rivolse un Appello a tutte le organizzazioni del Partito del NSDAP per il boicottaggio contro gli Ebrei in cui fissò le linee operative in 10 punti. L’azione doveva ominciare il 1° aprile[13]. Il 29 marzo fu istituito un Comitato centrale per la difesa contro la campagna denigratoria di atrocità e boicottaggio[14]. Al processo di Norimberga furono esibiti documenti relativi alla reazione tedesca[15], ma non quelli riguardanti l’azione degli Ebrei americani. E gli storici olocaustici hanno seguito l’esempio dei magistrati. Ecco che cosa scrive al riguardo il più rappresentativo, Raul Hilberg:
«Ciò non dissuase i nazisti a giudicare venuto il momento, agli inizi del 1933, per lanciare una campagna di violenze individuali contro certi Ebrei e di chiamare al boicottaggio generale. Un movimento di boicottaggio, diretto contro le esportazioni tedesche, fu appoggiato sia da non Ebrei che da Ebrei. Il 27 marzo, il vice Cancelliere von Papen si vide costretto a scrivere alla Camera di Commercio tedesco-americana…»[16].
Il testo, in aperta malafede, è congegnato in modo tale da far credere che il «movimento di boicottaggio» fosse stato una semplice reazione alla «campagna di violenze individuali contro certi Ebrei».
Dopo quest’altro abbaglio madornale, Stella presenta un patetico florilegio di fonti olocaustiche:
– Rudolf Höss (pp. 199-200), le cui “confessioni” persino uno storico olocaustico rinomato come Christopher Browning giudica «confuse, contraddittorie, interessate e non credibili»[17].
– Elie Wiesel (p. 200), di cui ho già detto.
– Franz Ziereis (p. 200), comandante del campo di Mauthausen. La vicenda della sua “confessione” è praticamente sconosciuta e merita qualche parola. Ziereis fu colpito da un soldato americano il 22 maggio 1945. Pur essendo «gravemente ferito», con tre pallottole in corpo, egli fu «interrogato per circa 6-8 ore» in tedesco da Hans Marsalek, ex detenuto del campo, dopo di che si affrettò a morire. Le “confessioni” di Ziereis sono in realtà una “dichiarazione giurata di Hans Marsalek” resa a Norimberga l’8 aprile 1946 (documento PS-3870), quasi un anno dopo. Marsalek non dichiarò di aver stenografato o annotato in qualche modo le presunte dichiarazioni di Ziereis e al riguardo non è mai stato esibito alcuno scritto . Il documento in oggetto non è un “interrogatorio” in senso stretto, con domande e risposte, ma una presunta “confessione”, evidentemente redatta da Marsalek. Il comandate del campo non avrebbe mai potuto “confessare” assurdità come questa: «Lì [a Mauthausen] furono uccise circa un milione-un milione e mezzo di persone»(Dort wurden ungafähr 11-1/2 Millionen Menschen umgebracht), dato che, come Marsalek stesso ci informa in un libro da lui scritto parecchi anni dopo, per il campo passarono poco meno di 192.000 detenuti, di cui morirono poco meno di 69.000[18]. Non meno ridicola è la “confessione” di aver ucciso personalmente 4.000 detenuti (non 400, come scrive Stella). Qui non mi posso soffermare sull’idea strampalata che nei campi di concentramento qualunque SS potesse uccidere impunemente qualunque detenuto (o farlo uccidere dal… figlio, come riporta Stella). Mi limito soltanto a riferire che il regolamento dei campi di concentramento vietava rigorosamente alle SS non solo di uccidere, ma persino di malmenare un detenuto. Ma ogni cosa a suo tempo.
– «Le deportate che lavoravano al Revier, l’infermeria di Auschwitz», spalleggiate da Lucie Adelsberger, che, ci si dice, «sopprimevano i bambini con il veleno per salvare la vita alle madri» (p. 200), crimine nefando se fosse vero, ma è falso. È noto a tutti (tranne che ai pisantyani) che ad Auschwitz i bambini, anche ebrei, nati al campo venivano regolarmente immatricolati. Ad esempio Danuta Czech, la redattrice del “Calendario” di Auschwitz, sotto la data del 25 giugno 1944 scrive: «Il numero A-7261 è attribuito ad una bambina ebrea che è nata al KL Auschwitz II, Birkenau»[19]. M anche di ciò mi occuperò in altra sede.
– Ruth Elias (p. 201), autrice del libro La speranza mi ha tenuto in vita. Da Theresienstadt e Auschwitz a Israele[20], in cui, come nel testo citato da Stella, dichiara di aver ucciso la propria figlioletta: «Uccisi mia figlia. Sì, Mengele ha fatto di me un’assassina»[21], un’altra azione nefanda… se fosse vera. In realtà questa poco edificante storiella serve soltanto a spiegare il fatto che questa detenuta ebrea avesse regolarmente dato alla luce una creatura ad Auschwitz. Una storiella anche dozzinale, soprattutto riguardo all’ “astuzia” che le permise di superare la “selezione” «nuda e all’ottavo mese di gravidanza»[22], con un bel pancione che ben difficilmente sarebbe passato inosservato. Ma forse Mengele era un imbecille e poteva essere turlupinato con “astuzie” puerili.
– Hans Münch (p. 201), ex SS-Untesturmführer, prestò servizio dal settembre 1943 al gennaio 1945 all’Istituto di Igiene delle Waffen-SS di Rajsko, qualche chilometro a sud di Auschwitz. Egli non era affatto, come riferisce Stella, «braccio destro di Mengele all’Istituto di Igiene do Auschwitz-Birkenau»(p. 201), perché egli prestava servizio a Rajsko, mentre Mengele era Lagerarzt (medico del campo) del campo zingari di Birkenau (settore BIIe). Münch, l’unico SS, e non a caso, ad essere stato assolto al processo della guarnigione del campo di Auschwitz celebrato dai Polacchi a Cracovia dal 25 novembre al 16 dicembre 1947, si pretende, sarebbe poi divenuto sostenitore ed esaltatore del presunto sterminio ad Auschwitz, come nell’intervista di Bruno Schirra citata da Stella. Ma sulla sua attendibilità esistono serissimi dubbi[23].
Ricapitolando, per Stella i revisionisti sarebbero «indifferenti a tutti i documenti, le testimonianze, le foto». Niente di più falso.
È recente la notizia che degli olo-bloggers hanno “scoperto” un “nuovo” documento sul caso Gerstein[24]. Questo documento (un manoscritto in olandese) l’avevo già tradotto e commentato fin dal 1985[25]. Sicché costoro sono arrivati con 25 anni di ritardo. E allo stesso modo hanno “scoperto” testimonianze che io avevo già tradotto e commentato nello stesso anno, come la lettera del barone von Otter in svedese del 23 luglio 1945 o le dichiarazioni del vescovo Dibelius[26]. Nel dibattito storiografico, per restare a quell’epoca, ho inoltre introdotto la testimonianza in polacco di Rudolf Reder e varie altre fonti prima ignote. Nel complesso, i documenti e le testimonianze ignoti o ignorati che ho analizzato nei miei studi e in quelli redatti con Jürgen Graf, si contano a decine.
Niente male per uno che dovrebbe essere del tutto indifferente a documenti e testimonianze!
La realtà è che la forza del revisionismo è inversamente proporzionale alla debolezza dell’olocaustismo, e, che questo sia debole, viene ormai riconosciuto da più parti.
Nel 1992 il prof, Gerhard Jagschitz, incaricato dal Landesgericht di Vienna di redigere una perizia su Auschwitz nel processo contro Gerd Honsik, rilevò:
«Ho inoltre accertato che nella letteratura ricorrono un gran numero di contraddizioni, plagi e omissioni. Contraddizioni, plagi e omissioni: che significa ciò? Significa che sulle cose generali, grandezze, date non c’è concordanza.
C’è un rimprovero principale che sollevo nel campo della letteratura, se ci si riferisce alla letteratura scientifica, cioè che una gran parte delle opere scientifiche non ha considerato la necessaria critica delle fonti – vi ritorno ancora nel capitolo fonti –, e soprattutto c’è un numero notevole di opere che non indicano affatto da dove traggono le loro informazioni. […]. Vorrei soltanto dire che una discussione scientifica talvolta è molto difficile e talvolta quasi impossibile con questo genere di letteratura. Falsificazioni, non nel senso di falsi, ma nel senso di inesattezze, possono essere lo scambio di avvenimenti. Direi anche che il problema delle esagerazioni è importante, anche nelle testimonianze. Qui ci troviamo esattamente nella problematica centrale che ricorre continuamente nella letteratura revisionistica, cioè il numero delle vittime – ci ritornerò esattamente in un punto specifico. Singoli avvenimenti vengono descritti come accaduti più volte. Di tanto in tanto viene affermata una testimonianza oculare quando questa non c’è, ma proviene da terzi, e – ne parlerò ancora un po’ in relazione ai testimoni – c’è il problema degli stereotipi. […].
Un altro problema è che un numero di istituti di raccolta [di documenti] riguardo a nazionalsocialismo, guerra mondiale, crimini nazionalsocialisti, di regola hanno lavorato secondo criteri non scientifici. […].
Bisogna dunque pur sapere che tutte le testimonianze nei procedimenti giudiziari non hanno espresso la verità, bensì la ricerca della verità del tribunale e ciò significa che spesso qualcuno, se non gli è stato chiesto, non ha parlato»[27].
Ma già nel 1989 Jean-Claude Pressac aveva definito la storiografia olocaustica di allora
«una storia basata in massima parte su testimonianze raccolte secondo l'umore del momento, troncate per formare verità arbitrarie e cosparse di pochi documenti tedeschi di valore disparato e senza connessione reciproca»[28].
Nel 1996 lo storico e romanziere francese Jacques Baynac scrisse[29]:
«Per lo storico scientifico, la testimonianza non è realmente la Storia, è un oggetto della Storia. E una testimonianza non ha molto peso, e pesa ancora meno se nessun solido documento la conferma. Il postulato della storia scientifica, si potrebbe dire forzando appena la mano, è: niente documento/i, niente fatto accertato.
Questo positivismo che conferisce una tale importanza al documento ha i suoi aspetti positivi e negativi. Quello positivo, è che la storia deve a questo metodo rigoroso di non essere una pura fiction, ma una scienza. In quanto tale, essa è revisionista per natura, ossia negazionista. La Terra è stata ritenuta a lungo piatta, ora lo si nega. Ne consegue che decretare l’arresto delle ricerche su un punto qualunque del campo scientifico è negare la natura stessa della scienza. Si vede dunque già apparire ciò che mette gli storici in una situazione insostenibile ponendo i negazionisti in buona posizione: dal momento in cui si è sul terreno scientifico, è vietato vietare di rivedere o negare. Farlo, significa uscire dal campo scientifico. Significa abbandonarlo. Abbandonarlo a chi? Ai negazionisti.
L’aspetto negativo della storia scientifica consiste nel fatto che, in mancanza di documenti, di tracce o di altre prove materiali, è difficile, se non impossibile, stabilire la realtà di un fatto, anche se non c’è alcun dubbio che sia esistito, anche se è evidente. Il dramma è qui».
«Si potrebbero moltiplicare le citazioni di storici, ma a che pro? Tutte dicono: non disponiamo degli elementi indispensabili per una pratica normale del metodo storico. Infine – e questa è la cosa più penosa da dire e da ascoltare, quando si sappia quale dolore e quale sofferenza sono così non negate, ma sospese – dal punto di vista scientifico non esiste testimonianza accettabile come prova indiscutibile. Non è una questione di legittimità o di credibilità. Dipende dalla natura stessa della testimonianza, natura di cui lo storico non può non tener conto senza negare la metodologia della sua disciplina. La vera trappola tesa dai negazionisti è qui, in questo dilemma davanti al quale hanno spinto a porsi gli storici. Volendo contraddirli sul terreno scientifico, li si induce a gridare: “Storici, i vostri documenti!” - e bisogna stare zitti per mancanza di documenti. Ma volendo opporsi ad essi adducendo delle testimonianze, li si sente sogghignare: “Niente documenti? Niente fatti. Voi fate della fiction, del mito, del sacro”»[30].
Nella sentenza dell'11 aprile 2000 del processo Irving-Lipstadt, al punto 13.71, il giudice Gray scrisse:
«Devo confessare che, come – immagino – la maggior parte della gente, avevo supposto che le prove dello sterminio in massa di Ebrei nelle camere a gas di Auschwitz fossero convincenti. Tuttavia, quando ho valutato le prove addotte dalle parti in questa causa, ho messo da parte questo pregiudizio»[31].
In un libro apparso di recente, un ricercatore indipendente, Thomas Dalton, ha messo a confronto per la prima volta gli argomenti fondamentali degli storici olocaustici e revisionisti cercando di mantenersi il più possibile neutrale. Egli riferisce:
«Quando ho cominciato le ricerche per questo libro, mi aspettavo di trovare una descrizione dell’Olocausto ben documentata, chiara e coerente, come si racconta nella visione tradizionale [cioè olocaustica]. Mi aspettavo di trovare rigorose prove documentali e materiale forense che la confermasse. Mi aspettavo di trovare una solida giustificazione per il tributo di morti (inclusi i “6 milioni”) e una solida base per l’uccisione e l’eliminazione dei corpi. Naturalmente ci sarebbero stati alcuni aspetti incompleti del quadro generale, ma questo era inevitabile, date le tremende circostanze. D’altra parte mi aspettavo di trovare che queste mancanze fossero sfruttate decisamente da un manipolo di zeloti fanatici, i “negazionisti”, larghi di insulti e corti di cervello. Mi aspettavo di trovare forti controargomenti tradizionalisti che rispondessero direttamente e confutassero recisamente le affermazioni revisionistiche. Di fatto non ho trovato nulla di tutto ciò. Invece ho trovato una storia dell’Olocausto a brandelli. Ho trovano che molti aspetti della visione tradizionale presentano seri, irrisolti problemi. Ho trovato che la grande maggioranza degli scrittori olocaustici hanno completamente ignorato le sfide revisionistiche – una situazione che si può spiegare soltanto o con la totale ignoranza o, peggio, coll’inganno deliberato. Nei pochi casi in cui si sono rivolti ai revisionisti, ho trovato aspre polemiche e insulti, piuttosto che controargomenti ragionati. Ho trovato uno schivamento delle obiezioni più forti e delle critiche più appropriate. Ho trovato un tradizionalismo che non aveva paura di dispiegare il suo considerevole potere, i suoi contatti e le sue risorse per prevalere. Ho trovato, in base a ciò che dice, un movimento che ha qualcosa da nascondere.
Da parte revisionista, ho trovato solide obiezioni e relazioni ben argomentate e articolate. Le ho trovate pubblicate da un piccolo numero di individui fortemente e crescentemente sofisticati che si sono prodigati in un impegno instancabile per la ricerca della verità – spesso ad un alto costo personale. Ho anche trovato un movimento revisionistico altamente argomentativo e combattivo, disunito, poco propenso ai compromessi, e troppo fiducioso nelle sue conclusioni. Li ho trovati un po’ troppo specializzati e privi del loro “grande quadro” degli eventi. […].
Su questi pretesi crimini contro gli Ebrei c’è una mancanza di materiale di prova pressoché totale, specialmente per i campi della morte, i corpi e gli strumenti di uccisione.
Il numero totale degli Ebrei morti, o uccisi, è ignoto con certezza. Altri pochi punti devono inoltre essere accettati da chiunque voglia considerare razionalmente i fatti: i “6 milioni” hanno una esigua base fattuale e sembra piuttosto che siano stati invocati come numero simbolico; le “camere a gas” di Auschwitz furono usate molto meno spesso di quanto comunemente si descrive; l’eliminazione in massa di corpi, in particolare in fosse di cremazione all’aperto, è improbabile che sia avvenuta nel modo descritto; e le fotografie aeree di Auschwitz mostrano una calma imbarazzante per un preteso campo di morte al culmine della sua attività.
I punti principali della disputa, dunque, sono davvero pochissimi:
– il numero totale di Ebrei morti
– il numero di Ebrei morti per causa di morte in ogni luogo o campo
– l’uso di camere a gas a Zyklon B per uccisione in massa
– l’uso di gas di scarico di motore diesel per uccisione in massa
– la veridicità delle “testimonianze oculari” e delle testimonianze del dopoguerra
– il metodo e la quantità di corpi incinerati (crematori e fosse all’aperto). […].
Il lettore nutre forse la preoccupazione che gli argomenti presentati qui favoriscano il revisionismo e che ciò in qualche modo comprometta la mia neutralità. Mi permetto di essere in disaccordo. Gli argomenti sono ciò che sono. Spetta agli esperti tradizionalisti rispondere. Se non hanno buone risposte, gli argomenti revisionisti sono validi. La situazione presentata in questo libro è soltanto una conseguenza del fatto che entrambe le parti espongono le loro accuse e controaccuse. Ho fatto del mio meglio per presentare gli argomenti più forti di ogni parte. Se sembra che ci siano vincitori e perdenti, la lode (o il rimprovero) va alle parti stesse, non a me» […].
Egli espone poi questi suggerimenti per un proficuo dibattito:
«Mettere fine all’insulto, alla censura e alla vessazione di revisionisti.
Affrontare gli ultimi e più forti argomenti revisionistici, in modo chiaro e obiettivo.
Utilizzare una contestualizzazione dei morti, o una tecnica simile, per mostrare chiaramente l’intero quadro.
Effettuare studi scientifici su larga scala sulla cremazione di carcasse di animali nelle condizioni dei campi di morte; analizzare consumo di combustibile, tempo di cremazione, contenuto di ceneri e massa.
Eseguire scavi scientifici ad Auschwitz, Sobibor, Treblinka e Chelmno, prelevando campioni di terreno e analizzandoli per accertare contenuto di ceneri e resti umani.
Ammettere le debolezze nella visione consueta.
Ammetterlo quando si ha torto, e revisionare la storia di conseguenza»[32].
Il libro, sia perché l’autore non è uno specialista, sia per la necessità di esporre in modo divulgativo gli argomenti, non è esente da imperfezioni nella rappresentazione di entrame le parti in causa, ma nel complesso rispecchia lo stato attuale del dibattito (o del non-dibattito).
Ma solo gli olo-bloggers inveiscono rabbiosamente, indubbiamente perché sono stati considerati da Dalton per ciò che sono: gente senza alcuna formazione e competenza, che non viene minimamente presa in considerazione dagli storici olocaustisti, ma ha l’arroganza di “correggerli”.
E anche per il giudizio da lui espresso su di me, che è andato senza dubbio di traverso a questi poveri mentecatti, la cui pervicace malafede ho del resto già documentato ad abundantiam[33]
«Un ricercatore italiano, Mattogno, è forse il principale scrittore di opere serie»[34].

Carlo Mattogno

17 febbraio 2010

[1] Gian Antonio Stella e la piscina di Auschwitz, in:
http://olo-dogma.myblog.it/archive/2010/02/09/gian-antonio-stella-e-la-piscina-di-auschwitz.html
[2] L'irritante questionedelle camere a gas ovvero da Cappuccetto Rosso ad... Auschwitz. Risposta a Valentina Pisanty. Riedizione riveduta, corretta e aggiornata. 2007: http://vho.org/aaargh/fran/livres7/CMCappuccetto.pdf
Edizione 2009:
http://civiumlibertas.blogspot.com/2007/11/slomo-in-grande-emozione-con-veltroni-e.html.
[3] Liliana Picciotto Fargion, Il Libro della memoria. Gli Ebrei deportati dall’Italia (1943-1945). Mursia, Milano, 1992, p. 151.
[4] Negare la storia? Olocausto: la falsaconvergenza delle prove”. Effedieffe Edizioni, Milano, 2006, pp. 74-75.
[5] Elie Wiesel: «Il più autorevole testimone vivente» della Shoah? In: http://ita.vho.org/056_Elie_Wiesel.htm
[6] Olocausto: Dilettanti allo sbaraglio. Edizioni di Ar, Padova, 1996, p. 148.
[7] Anonymous, The Myth of the Six Million. The Noontide Press, Torrance, California, 1978 (terza edizione), pp. 75-76.
[8] Vedi il mio Belzec. Propaganda, testimonianze, indagini archeologiche e storia. Effepi, Genova, 2006, pp. 69-70.
[9] The Myth of the Six Million, p. 53.
[10] Vedi la mia opera Le camere a gas di Auschwitz. Studio storico-tecnico sugli “indizi criminali” di Jean-Claude Pressac e sulla “convergenza di provedi Robert Jan van Pelt. Effepi, Genova, 2009, cap. 11.3, “Le torture inflitte a Höss”, pp. 395-397.
[11] Sulla attuale posizione di Irving vedi l’articolo di Jürgen Graf David Irving e i campi dell’azioneReinhardt”, in: http://ita.vho.org/048_Irving_Campi.htm.

[12] Vedi ad es. http://olo-dogma.myblog.it/archive/2009/07/22/la-dichiarazione-di-guerra-ebraica-alla-germania-nazista.html
[13] Max Domarus, Hitler. Reden und Proklamationen 1932-1945. R. Löwitt, Wiesbaden, 1973, Vol. I, Parte Prima, pp. 248-251.
[14] PS-2156.
[15] Ad es. PS-2153, PS-2156, PS-2156, PS-2409, PS-2410.
[16] R. Hilberg, La distruzione degli Ebrei d’Europa. Einaudi, Torino, 1995, p. 32.
[17] C. Browning, The Origins of the Final Solution. University of Nebraska, 2004, p. 544. Traggo la citazione da Thomas Dalton.
[18] H. Marsalek, Mauthausen.La Pietra, Milano, 1977, p. 113 e 115.
[19] D. Czech, Kalendarium der Ereignisse im Konzentrationslager Auschwitz-Birkenau 1939-1945. Rowohlt Verlag, Reinbek bei Hamburg, 1989, p. 806.
[20] Edizione CDE, Milano, 1995.
[21] Idem, p. 165.
[22] Idem, p. 138.
[23] Si veda l’articolo Just another Auschwitz Liar, in: http://www.vho.org/VffG/1997/3/Kor.html.
[24] Vedi Kurt Gerstein 1943: l’inizio del delirio, in: http://andreacarancini.blogspot.com/2010/02/kurt-gerstein-1943-linizio-del-delirio.html
[25] Il Rapporto Gerstein: Anatomia di un falso. Sentinella d’Italia, Monfalcone, 1985, cap. V, “Totungsanstalten in Polen”, pp. 99- 107.
[26] Idem, pp. 87-
[27] Landesgericht Wien, Az. 20e Vr 14184/86 Hv 5720/90, 3a udienza, pp. 28-31, 39.
[28] J.-C. Pressac, Auschwitz: Technique and operation of the gas chambers. The Beate Klarsfeld Foundation, New York, 1989, p. 264. Testo disponibile in: http://www.holocaust-history.org/auschwitz/pressac/technique-and-operation/.
[29] Vedi al riguardo il mio studio L'irritante questionedelle camere a gas ovvero da Cappuccetto Rosso ad... Auschwitz. Risposta a Valentina Pisanty, pp. 3-6 (del testo in PDF).

[30] J. Baynac, «Faute de documents probants sur les chambres à gaz, les historiens ésquivent le débat», in: Le Nouveau Quotidien, 3 settembre 1996, p. 14; «Comment les historiens délèguent à la justice la tâche de faire taire les révisionnistes», in: Le Nouveau Quotidien, 2 settembre 1996, p. 16.
[31] In: http://www.holocaustdenialontrial.org/ieindex.html sub “The Judgement”, § XIII.
[32] T. Dalton, Debating the Holocaust: A New Look at Both Sides.Theses & Dissertations Press, New York, 2008, pp.255-267 e 261-262.
[33] Olocausto: dilettanti nel web. Effepi, Genova, 2005.
[34] T. Dalton, Debating the Holocaust: A New Look at Both Sides, p. 28.