Un canadese nauseato dalla propaganda olocaustica

Letto il 27 Dicembre 2009 sul sito politico indipendentista del Québec “Vigile”, questa “tribuna libera” seguita da commenti che vanno assolutamente letti:
http://www.vigile.net/Un-million-pour-un-musee-de-l
UN MILIONE PER UN MUSEO DELL’OLOCAUSTO A MONTRÉAL

Di Jacques Noël[1]

Più di un quebecchese su sei è di origine accadiana[2]. Se vi chiamate Richard, Lapierre, Landry, Léger, Robichaud, Daigle, Cormier, Cyr, Leblanc, Blanchard, Bastien, Arseneau, Comeau, Thériault, Béliveau, Bujold, Bourque, Boudreau, Chiasson, Hébert-Doucet, Gauthier, Guérin, Guénard, Bourgeois, Héon, Gaudet, Thibodeau, Melançon, Duguay, Dufaut, Godin, Lucas, Savoie, Poirier, o se vostra madre, vostra nonna, vostra bisnonna, si chiama così, [allora] la vostra antenata è stata deportata come si deporta il bestiame, nell’operazione di pulizia etnica del 1755 [immagine] che comportò la morte di un terzo della popolazione accadiana.
Di solito lo si dimentica ma il Québec conta in realtà un numero di discendenti degli accadiani quattro volte maggiore del Nuovo Brunswick.
Eppure, a parte un piccolissimo museo a Bonaventure, nel Québec non si trova nessun museo degno di questo nome dedicato all’olocausto accadiano, una delle più grandi tragedie collettive conosciute dall’uomo bianco nell’America del Nord.
http://www.museeacadien.com/
I quebecchesi si sono messi in luce nel corso delle due grandi guerre mondiali, come pure in Corea. Hanno fatto da carne da cannone sulle spiagge di Dieppe[3] e sono stati trattati da animali nei campi di concentramento giapponesi a Hong Kong e in Thainlandia (attendono ancora l’assegno del governo giapponese, un assegno paragonabile a quello che Mulroney ha donato ai prigionieri giapponesi in Canada, i quali non conobbero cattivi trattamenti).
Pertanto, a parte il modesto Musée des Fusilliers di Mont-Royal, a Montréal non c’è nessun museo dove poter condurre i nostri bambini ad ammirare le imprese militari dei loro nonni o dei loro bisnonni (…).
E non c’è ancora niente per onorare i ragazzi del 22°[4], inviati da Chrétien e da Harper a farsi dilaniare dalle mine dei talebani in Afghanistan. Neanche un monumento (la foto della bella piccola gaspesiana di 20 anni mi strappa una lacrima ogni volta che ce la mostrano)[5].
I quebecchesi hanno partecipato alla maggior parte delle missioni di pace dell’ONU dopo la loro creazione. Quando i GI[6] spargevano il sangue in tutto il mondo, il soldato quebecchese manteneva la pace a Cipro, nel Golan, nei Balcani, in Haiti, in Somalia, a volte a prezzo della propria vita o della propria salute fisica e mentale. Si stima che un basco blu su 40 sia stato quebecchese; un contributo eccezionale alla pace nel mondo quando si sa che raggiunge appena un decimo dell’un per cento dell’umanità. E che non ha nessun recapito ufficiale alle Nazioni Unite! Eppure, non c’è nessun museo a Montréal per sottolineare le sue imprese il cui prestigio ricade su noi tutti.
Ebbene, nessun problema, il governo del PQ [Parti Québécois], non colonizzato per due soldi né scollegato dalla base elettorale che l’ha riportato al potere nel 1998, ha allungato la bazzecola di 910.000 dollari delle nostre tasse per la costruzione di un “centro commemorativo dell’Olocausto di livello internazionale a Côte-des-Neiges”!!! La direttrice del progetto, Anne Ungar, stima che il numero dei sopravvissuti residenti a Montréal stia tra i 5.000 e gli 8.000, la qualcosa, nelle intenzioni del governo, giustifica ampiamente questo contributo di livello!
Ancora oggi, nel museo, sito al 5151 di Chemin de la Côte-Sainte-Catherine, si continuano a sostenere affermazioni del genere: “Sapete che Montréal ha accolto la terza popolazione di sopravvissuti dell’Olocausto?”.
Già lo scarto – enorme . del 60% nella stima del numero dei sopravvissuti avrebbe dovuto illuminare gli spiriti critici. Da queste parti, la comunità ebraica è piccola, a maglie intrecciate fitte e il tema dell’Olocausto è centrale; non conoscere il numero esatto dei sopravvissuti di una tale tragedia non è molto serio. Soprattutto quando si consacra loro un museo!
Durante la liberazione dei campi nel 1945, i deportati più giovani avevano 17-18 anni. I sopravvissuti più giovani avevano dunque, nel 2003 (all’inaugurazione) almeno 75 anni. E stiamo parlando dei più giovani. Alla liberazione, la maggior parte aveva più di 20 anni, dunque [dovrebbe avere] molto più di 75 anni.
Nel censimento del 2001, nel Québec sono stati censiti esattamente 89.915 ebrei, cioè l’1.25% della popolazione quebecchese.
Nel 2001, il Québec contava 414.893 abitanti di 75 anni e più. Poiché gli ebrei costituiscono l’1.25% della popolazione quebecchese, ciò dà 5.187 ebrei di 75 anni e più. (…).
Allo scopo di illuminare le nostre modeste lanterne, che cercano di aprirsi al mondo al punto di dimenticarsi della propria storia, potrebbe la signora Ungar spiegarci come è possibile avere un numero maggiore di sopravvissuti ebrei dell’Olocausto a Montréal che di ebrei di 75 e più anni in tutto il Québec? (E ciò, supponendo che non vi sia nessun ebreo di 75 anni e più nato qui, o qui giunto prima dell’ultima guerra mondiale, come gli Hart, i David, i Bronfman, i Bratshaw, gli Steinberg, i Salomon, i Richler, i Cohen, essendo la comunità ebraica una delle comunità etniche più antiche del Québec).
E allo scopo di evitare ogni guerra statistica, potrebbe la signora Ungar tirare fuori i nomi di questi “da 5.000 a 8.000 sopravvissuti dell’Olocausto”? Il nome dei campi in cui furono internati, la loro matricola (per poter verificare), oltre che il periodo del loro internamento per poterli onorare degnamente.
Shalom

P. S. Molti quebecchesi hanno prestato servizio nel Golan e nel deserto del Negev. Si potrebbe chiedere a Israele di dedicare loro un piccolo museo da qualche parte a Tel Aviv?
[1] Traduzione di Andrea carancini
[2] Dell’Acadia, ex colonia francese del Canada sudorientale.
[3] http://it.wikipedia.org/wiki/Raid_su_Dieppe
[4] http://en.wikipedia.org/wiki/Royal_22e_R%C3%A9giment
[5] http://www.cyberpresse.ca/le-soleil/actualites/les-regions/200904/14/01-846275-une-jeune-gaspesienne-tuee-en-afghanistan.php
[6] La sigla GI sta per “Government Issue”, sigla riportata da quasi tutti gli elementi di equipaggiamento militare americano; in senso traslato: i soldati americani.