San Giovanni Crisostomo - OMELIE CONTRO GLI EBREI 5

QUINTA OMELIA

1 - Come mai, oggi, la nostra riunione è più numerosa? Certamente siete qui convenuti per reclamare quanto vi avevo promesso, per ricevere quell’argento provato dal fuoco che mi ero impegnato a mostrarvi. Poiché, come dice il salmista: "Le parole del Signore sono parole pure: argento purificato dal fuoco e depurato dalle scorie" (Salmo XI, 7). Benedetto sia il Signore che vi ispirò un così ardente desiderio di ascoltare i sermoni spirituali! Allo stesso modo che gli uomini amici del vino e della buona tavola ogni giorno si aggirano qua e là e si informano dove si faranno simposi, dove conviti, dove banchetti, dove baldorie con orgie e bevute, così voi ogni giorno appena alzati, vi informate con premura del luogo dove potrete ascoltare esortazioni, insegnamenti, dottrina e discorsi consacrati alla gloria di Dio. Per questo, con tanto maggior ardore intraprenderemo a parlarvi dell’argomento promesso e saremo felici di esporlo.
La lotta che avevamo intrapreso contro i Giudei ha avuto l’esito che si meritava, come era da attendersi. È innalzato il trofeo, la corona ci appartiene e abbiamo riportato il premio nel nostro precedente discorso.
Il compito che ci eravamo proposti consisteva nel dimostrare che la condotta attuale dei Giudei era una trasgressione alla legge di Dio, una prevaricazione: null’altro che una lotta e una guerra degli uomini contro il Signore; con l’aiuto di Dio lo abbiamo dimostrato con la massima evidenza.
Infatti anche se i Giudei dovessero un giorno rientrare nella loro città, tornare ai loro antichi costumi e vedere ricostruito il tempio, il che giammai accadrà, non avrebbero un giusto motivo per fare quanto fanno. Quei tre fanciulli, Daniele e tutti gli altri ebrei che vivevano in prigionia, aspettavano di ritornare nella loro città, di rivedere dopo settant’anni il suolo della patria e di vivere secondo le antiche leggi: ma sebbene tutto questo fosse stato loro promesso in modo chiaro, non osavano prima del ritorno compiere alcuno di quei riti come fanno questi ebrei.
Ecco come potrete chiudere la bocca a costoro. Domandate loro: perché digiunate mentre non avete più la vostra città? Se rispondono: perché speriamo di ritornarvi, voi allora aggiungete: allora astenetevi fino a che siete tornati. I santi personaggi non ebbero il coraggio di fare quello che oggi voi fate, fino a che non furono ritornati in patria. È dunque evidente che voi violate la legge divina, anche se come voi dite ritornerete nella vostra città, e che rompete i vostri legami con Dio e oltraggiate la vostra stessa legge.
Dunque per chiudere l’impudente bocca dei Giudei, per convincerli della loro trasgressione, quanto abbiamo detto nel nostro precedente sermone è sufficiente alla vostra carità. Del resto poiché il nostro intento non era soltanto di chiudere loro la bocca, ma di istruire la Chiesa compiutamente sui dogmi che la concernono, dimostreremo che il tempio non sarà mai ricostruito, e che i Giudei non riprenderanno mai il loro antico modo di vita. In tal modo voi conoscerete meglio la dottrina apostolica e i Giudei si convinceranno di essere caduti in profonda empietà.
A testimonio di queste verità non invocherò un angelo, né un arcangelo, ma il Principe dell’universo, il Signor Nostro Gesù Cristo. Egli infatti, entrato in Gerusalemme, vedendo il tempio disse: "Verrà un giorno che Gerusalemme sarà calpestata da popoli diversi fino a che il tempo di molte nazioni sarà compiuto" (Lc. XXI, 24). Significando con la parola "tempo": "fino alla consumazione dei secoli". Un’altra volta accennando al tempio disse ai discepoli che non sarebbe rimasta pietra su pietra e che tutto sarebbe stato distrutto, predicendone in modo chiaro la rovina e la desolazione (Mat. XXIV, 2). Certo l’ebreo non accetta questa testimonianza e non dà peso alle nostre parole. "Chi parla in questo modo, ribatte, è mio nemico, l’ho messo in croce, come vuoi che accetti la sua testimonianza?". Ma, o giudeo, quello che è veramente straordinario è che costui che tu hai crocefisso, dopo essere stato inchiodato alla croce, ha mandato in rovina la vostra città, distrutta la vostra nazione, disperso il popolo giudeo per tutto l’orbe terracqueo, mostrando in tal modo che Egli è veramente risuscitato e ora ben vivente nei cieli.
Poiché, tu ebreo, non hai voluto riconoscere la sua potenza dai suoi benefici, Egli con castighi e supplizi ti mostrò la sua forza che non puoi evitare e contrastare. Tuttavia tu non credi, non riconosci che è Dio, Signore di tutto l’universo; ma lo stimi un uomo come tutti gli altri. Ebbene procediamo come se si trattasse di un uomo ordinario. Quando si presentano uomini di cui constatiamo l’assoluta sincerità in ogni circostanza, uomini che non mentono mai, fossero pure nostri nemici, se siamo saggi, accettiamo le loro parole; al contrario ben difficilmente accetteremmo le parole di uomini bugiardi anche se qualche volta dicessero la verità.
2 - Orsù, consideriamo ora la condotta e la vita di Cristo.
Egli infatti non predisse soltanto quanto noi abbiamo citato, ma preannunziò molti altri avvenimenti che dovevano realizzarsi in un lontano tempo futuro. Esporremo alcune di queste predizioni: se fra esse ne troverai anche una sola in cui Egli ha mentito, non accettarla, e non considerarlo degno di fede. Al contrario se vedrai che Egli è stato veritiero in tutto, che proprio questa profezia si è avverata e che il gran trascorrere del tempo mostra la verità delle sue predizioni, vorrai perseverare in così impudente ostinazione ed impugnare una verità più chiara del sole?
Consideriamo dunque le altre predizioni: andò un giorno da Lui una donna con un vaso d’alabastro pieno di prezioso unguento e lo sparse. Indignati i discepoli dicevano: "Perché non lo ha venduto per trecento denari e non li ha dati ai poveri?". Il Salvatore li rimproverò con queste parole: "Perché molestate questa donna? Essa ha fatto un’opera buona. E vi assicuro che ovunque nel mondo sarà predicato il Vangelo, si narrerà quello che essa fece e si perpetuerà la sua memoria" (Mt. XXVI, 9 segg.). Cristo ha mentito oppure ha detto il vero? Si avverò quello che aveva predetto o fu un vaticinio senza valore? Interroga un ebreo; avesse anche una faccia di bronzo non oserà alzare gli occhi per contraddire: infatti, in tutte le chiese udiamo ricordare questa donna. In tutte le città vi sono magistrati, comandanti, uomini e donne, nobili, illustri e ragguardevoli; in qualsiasi parte del mondo tu vada sentirai, ascoltato con silenziosa attenzione, l’atto compiuto da questa donna e non vi è angolo del mondo in cui sia ignorata.
Quanti re hanno fatto per le loro città molte e grandi opere! Quanti hanno riportato vittorie, eretto monumenti, salvato popoli, fondato città, aumentate le ricchezze, eppure, malgrado questi meriti, i loro nomi non sono forse sepolti nel silenzio? Di molte regine e di molte donne insigni, nonostante il bene che hanno fatto, non si conoscono i nomi; invece questa donna oscura, soltanto per aver sparso un po’ d’unguento, è celebrata in tutto il mondo, né il lungo tempo trascorso ha potuto estinguerne la memoria né potrà mai estinguerlo in avvenire, benché non si tratti di un fatto straordinario: in fondo cosa è versare un po’ di unguento profumato? Non era una donna famosa ma era una sconosciuta; né erano molti i testimoni, infatti intorno vi erano soltanto gli apostoli, e neppure il luogo era eccezionale, perché non scelse un teatro ma una casa e alla presenza di dieci uomini. Tuttavia né la sua misera condizione, né il piccolo numero dei testimoni, né la modestia del luogo o qualsivoglia altra ragione, hanno potuto seppellire il suo ricordo nell’oblio e adesso questa donna è più celebre di tutti i re e di tutte le regine, e il tempo non ha potuto far dimenticare quanto essa ha fatto!
Dimmi tu qual’è la causa di tutto questo? Chi ne è l’autore? Non è forse lo stesso Dio a cui era stato reso quest’atto di omaggio che ha fatto conoscere in tutta la terra la fama di questa donna? Ti domando ancora: ti sembra possibile che un essere umano sappia fare tali previsioni? Chi mai, se sano di mente oserà affermarlo? Infatti predire le cose che avverranno è meraviglioso e straordinario: ma predire le cose che altri faranno, fare in modo che si presti fede ad esse e che siano evidenti a tutti, è ancora più notevole e meraviglioso.
In altra circostanza Cristo predisse a Pietro: "Su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell’inferno non prevarranno contro di lei" (Mt. XVI, 18). Ebbene, dimmi dunque o giudeo, hai qualcosa da criticare o puoi dimostrare la falsità di quanto detto? Con quale argomento puoi affermare che questa predizione è menzogna? Anche se tu in mille modi cerchi il contrario, non è forse dimostrata vera da innumerevoli fatti? Non sono forse state molte le guerre scatenate contro la Chiesa? Non sono stati forse preparati eserciti ed approntate armi, ed inventate torture e supplizi? Quante graticole, catapulte, caldaie, fornaci, fosse, precipizi, fiere dai denti aguzzi, esilii, proscrizioni e innumerevoli altri tormenti, impossibili da ricordare e impossibili da sopportare! E tutto questo è stato causato non soltanto da estranei ma addirittura da persone a noi vicine e familiari. Una sorta di guerra civile si era accesa ovunque, anzi una guerra più crudele di qualunque guerra civile. Infatti si combattevano non soltanto cittadini contro cittadini, ma congiunti contro congiunti, parenti contro parenti, amici contro amici; tuttavia tutto questo non demolì la Chiesa, né la sminuì. Ed è una cosa veramente meravigliosa e incredibile, perché tali lotte sono accadute fin dai primordi. Se queste persecuzioni si fossero abbattute sulla Chiesa quando si era già ben radicata, oppure quando il Vangelo era ormai diffuso in tutto il mondo, non ci sarebbe da meravigliarsi che la Chiesa non fosse stata annientata. Ma il fatto che all’inizio della diffusione della dottrina cristiana, quando il seme della fede era appena stato gettato e gli animi dei fedeli erano ancora deboli, siano state scatenate tante lotte e che la Chiesa invece di esserne sminuita abbia fatto progressi più rapidi, questo supera senza dubbio ogni altro miracolo.
Perché poi nessuno possa dire che la Chiesa si è stabilita fermamente per la pace accordata dai re, Dio permise queste lotte quando era piccola e sembrava più debole; affinché si comprenda che la sicurezza non è da attribuirsi alla pace garantita dai re, ma è effetto della potenza del Signore.
3 - Per ben comprendere questa verità rifletti ai molti tentativi che sono stati fatti dai filosofi per introdurre in Grecia nuove credenze morali e un nuovo stile di vita: Zenone, Platone, Socrate, Diagoras, Pitagora e innumerevoli altri. Non soltanto non vi riuscirono, ma di molti non ci è neppure più noto il nome; Cristo invece non solo stabilì un nuovo modo di vita ma lo diffuse in tutta la terra. Non si dice che molto ha fatto Apollonio di Tiana? Eppure ciò che ti dimostra che la sua opera era menzogna, falsità e sogno è il fatto che ormai è completamente estinta.
Nessuno giudichi un oltraggio a Cristo il ricordare, mentre parliamo di Lui, Pitagora, Platone, Zenone e il filosofo di Tiana; non lo facciamo per una opinione personale, ma per abbassarci all’infermità mentale dei Giudei, i quali affermano che Cristo era soltanto un uomo. La stessa cosa fece Paolo quando andò ad Atene; non parlò subito dei Profeti o del Vangelo, ma cominciò le sue esortazioni parlando di un altare, non certo perché egli avesse più fede in quell’altare che nei Vangeli, né perché le iscrizioni avessero maggior valore delle parole dei Profeti, ma, siccome si rivolgeva ai greci i quali non accettavano nessuna delle nostre credenze, incominciò per convincerli a parlare proprio delle loro dottrine.
Ecco quanto disse: "Mi son fatto giudeo coi Giudei, con quelli che non avevano legge mi sono fatto come fossi senza legge, sebbene io abbia la legge di Dio essendo sotto la legge di Cristo" (I Cor. IX, 20-21). Così anche negli scritti del Vecchio Testamento leggiamo: "Chi fra gli dei è simile a Voi, o Signore?" (Es. XV, 11). Che mai dice Mosè? Si può forse fare un confronto tra il vero Dio e i falsi dei? Io non pretendevo fare paragoni, spiega Mosè, ma siccome parlavo ai Giudei che avevano dei demoni una grande opinione, condiscendendo alla loro debole capacità di giudizio, adoperai questo genere di linguaggio per istruirli. Siccome anche la nostra disputa è contro i Giudei che stimano essere Gesù Cristo unicamente un semplice uomo e per di più un violatore della legge, noi lo paragoniamo proprio a quegli uomini che i greci tengono nella massima considerazione. Ma se voi volete che vi enumeri gli esempi di quelli che, tra gli stessi ebrei, hanno fatto questi tentativi, riunito discepoli, nominato principi e potenti, e sono rapidamente scomparsi, ebbene, mi accingo a farlo: ecco come Gamaliele chiuse la bocca agli ebrei suoi contemporanei. Vedendoli furiosi e desiderosi di versare il sangue dei discepoli di Cristo, e volendo calmare questo inutile delirio, ordinò agli apostoli di appartarsi per breve tempo, e così parlò agli altri: "Pensate bene a quello che volete fare a questi uomini. Un po’ di tempo fa spuntò un certo Teuda che diceva di essere importante: quattrocento uomini lo seguirono, ma egli perì e i quattrocento seguaci furono tutti dispersi. Dopo Teuda apparve Giuda Galileo che trascinò una moltitudine, ma anch’egli perì e perirono i suoi discepoli. Ora io dico a voi: aspettate, se questa è opera umana, sarà dissolta; invece se è opera di Dio non potreste dissolverla se non riducendovi a combattere contro Dio medesimo" (Atti V, 35-39). Quindi è chiaramente manifesto che se l’opera viene dagli uomini cadrà in rovina; ne avete fatto l’esperienza con Giuda e Teuda, aggiunse Gamaliele. Perciò se colui di cui gli apostoli predicano è simile a quelli, cioé a Teuda e a Giuda, e la potenza divina non lo sorregge, aspettate un po’ e lo stesso svolgimento degli avvenimenti vi convincerà; conoscerete se Cristo è, come dite voi, un impostore e un trasgressore delle leggi oppure il Dio che regge ogni cosa e che, con ineffabile potenza, governa e dispensa i destini degli uomini.
Così fu fatto: attesero e gli stessi avvenimenti mostrarono l’invincibile potenza divina. E la menzogna preparata per ingannare molti uomini si è rivolta contro il diavolo. Lo spirito maligno, quando vide che Cristo sarebbe venuto, volendo oscurarne l’avvento e la predicazione, mandò quegli ingannatori di cui prima abbiamo parlato, affinché si credesse che Cristo era simile a loro.
Questo il diavolo fece anche nella crocifissione, affiancandogli due ladroni, così come aveva fatto alla sua nascita, sforzandosi di alterare il vero con la menzogna. Ma non riuscì nel suo intento né nell’uno né nell’altro caso: anzi questo stesso fatto manifestò ancora più chiaramente la potenza di Cristo. Dimmi tu, perché dei tre uomini crocefissi nello stesso luogo, nello stesso tempo, con sentenza degli stessi giudici, non si parla mai di due di essi e solo il terzo è addirittura adorato? Ancora, perché degli altri uomini che hanno tentato di instaurare un nuovo sistema di vita e raccolto dei discepoli, oggi non si conosce più nemmeno il nome, e invece quello di Cristo è onorato in ogni parte del mondo?
Nulla ci illumina meglio di questo raffronto; fai con me, o giudeo, questo paragone e impara l’eccellenza della verità. Quale impostore ha mai avuto tante chiese in tutto l’orbe terracqueo? Quale ha esteso il suo culto da un punto all’altro della terra? Quale mai ebbe tanti adoratori nonostante gli innumerevoli ostacoli? Certamente nessuno. È evidente allora che Cristo non è un impostore, ma il Salvatore, il benefattore, il protettore, il sovrano della nostra vita.
Ritornerò al nostro argomento ma prima voglio ancora aggiungere un’altra profezia. "Non venni, disse Cristo, a portare la pace sulla terra ma la spada", dichiarando con queste parole non quello che desiderava, ma predicendo quello che sarebbe accaduto. Disse: "Sono venuto a separare il figlio dal padre, la nuora dalla suocera, la figlia dalla madre" (Matt. X, 34, 35). Come avrebbe potuto predire questo se fosse stato null’altro che un uomo, anzi un uomo qualsiasi e uguale agli altri uomini?
Ecco il significato di quanto disse: può accadere che nella stessa casa vi sia un credente e un infedele; che un padre voglia trascinare il figlio nell’empietà, e proprio predicendo questo Cristo aggiunse: ma la forza del Vangelo vincerà, così che i figli non terranno conto del volere dei padri, le figlie del volere delle madri e i genitori di quello dei loro figli. Non soltanto saranno fermi nell’opporsi ai familiari, ma saranno pronti addirittura a sacrificare la vita, a sopportare e affrontare coraggiosamente qualsiasi sofferenza, piuttosto che rinnegare la loro religione. Come ha potuto sapere queste cose, come ha potuto realizzarle, se era un uomo qualsiasi uguale agli altri? Come può essergli venuto in mente di pensare che i figli sarebbero stati più rispettosi verso di Lui che verso i padri, che egli sarebbe stato per i genitori oggetto di un affetto più dolce di quello provato per i figli, e per le donne oggetto di un amore più ardente di quello verso lo sposo? E questo non in una casa, o due, o tre, o dieci, o venti, o cento, ma ovunque sulla terra, in tutte le città e regioni, sulla terra e sui mari, nei luoghi abitati e in quelli deserti! Né puoi dire: "È vero, Egli disse questo, ma non lo portò a compimento".
Ai primordi della chiesa, e anche oggi, molti sono odiati a causa della loro fede, cacciati dalla casa paterna senza potervi tornare, eppure provano una grande consolazione perché tutto sopportano per Cristo.
Dimmi, chi mai tra gli uomini ha avuto un tal potere? Cristo dunque ha fatto tutte queste predizioni: riguardo alla donna che sparse l’unguento, sul futuro della chiesa e sulle lotte scatenate contro di essa; ha predetto inoltre che il tempio sarebbe stato distrutto, Gerusalemme conquistata, e che mai più essa sarebbe stata la città dei Giudei quale era stata prima (Matt. XXIV). Quindi: se Cristo ha mentito in tutto quanto ha detto e le sue predizioni non si sono avverate, allora non prestargli assolutamente fede. Ma se vedi chiaramente che queste predizioni si sono realizzate, che ogni giorno sono più evidenti, che le porte dell’inferno non hanno prevalso, se vedi che l’azione della donna è ancora, dopo tanto tempo, ricordata in tutto il mondo, se vedi che gli uomini che credettero in Cristo lo preferirono ai genitori, mogli o figli, perché allora, ti chiedo, perché non presti fede a questa sola predizione? Il lungo volgere del tempo poi, impone silenzio alla tua sfrontatezza.
Se dopo la rovina di Gerusalemme fossero passati solo dieci anni o venti o trenta o cinquanta, anche se fosse stato sconveniente ostinarsi, ripeto, tanto sfrontatamente, tuttavia avreste avuto una certa ragione nell’opporvi; ma adesso che sono trascorsi non soltanto cinquanta o cento o due o trecento anni ma molti di più dopo la caduta di Gerusalemme, e non è apparso neppure il più leggero segno del cambiamento che attendete, perché allora inutilmente e senza fondamento persistete nella vostra insolente opposizione?
4 - Quanto detto era sufficiente a dimostrarvi che il tempio non risorgerà mai dalle rovine. Ma, siccome questa verità si può dimostrare in più modi, allora passerò dal Vangelo ai Profeti ai quali, mi sembra, che gli ebrei prestino maggior fede.
Da essi renderò evidente che né la città, né il tempio saranno loro restituiti. Invero non toccava certo a me dimostrare che né il tempio, né la città sarebbero stati loro restituiti, non sono fatti nostri; a loro invece toccava dimostrare che, al contrario, tempio e città sarebbero risorti. Io ho, come testimonianza a mio favore, gli avvenimenti accaduti nel tempo; essi, abbattuti dallo stesso svolgersi degli eventi, non sanno dimostrare quanto affermano; null’altro mostrano che parole in aria, mentre occorre esibire delle testimonianze reali. Quanto io vi dico, dimostro che è vero da quanto è accaduto: cioè che la città è andata in rovina e che dopo così lungo tempo non è stata ricostruita; quanto dicono i Giudei non si appoggia che su parole. Devono essi mostrare perché in futuro la città sarà ricostruita. Anche nelle cause civili vediamo che deve essere portata la prova di quanto si afferma. Ogni volta che nasce una controversia tra due parti, e l’una presenta per iscritto le sue argomentazioni, se la parte avversa le contesta, tocca a lei portare le prove che quanto è scritto non è vero, e non certo alla parte che le produsse. A questi ebrei che ci contestano, conviene agire nello stesso modo: presentarci un profeta che abbia predetto chiaramente che la città in futuro sarebbe risorta.
Perché se l’attuale cattività dovesse in futuro avere fine, questo sarebbe stato preannunziato certamente dai profeti, e questo è evidente a tutti quelli che hanno letto, anche solo superficialmente, i libri profetici. Infatti presso gli ebrei, i profeti, ispirati da Dio, hanno predetto quello che nel bene e nel male sarebbe accaduto. Perché? Per la grande malvagità ed ingratitudine dei Giudei che dimenticavano rapidamente i benefici elargiti da Dio ed attribuivano ai demoni quanto accadeva loro e tutto il loro benessere.
Infatti, usciti dall’Egitto dove il mare si era aperto davanti a loro con molti altri prodigi, dimentichi che Dio ne era; l’autore, attribuivano tutto ai falsi dei e dicevano ad Aronne: "Facci degli dei che ci precedano" (Es. XXXII, 1). A Geremia dicevano: "Non ascolteremo le parole che tu ci dici in nome del Signore, ma faremo tutte le cose che stabiliremo con la nostra bocca. Adoreremo la regina del cielo, aspergeremo le libagioni votive, come abbiamo fatto noi e come fecero i nostri padri, i nostri re e i nostri principi. Siamo stati saziati di pane e fummo felici e non soffrimmo alcun male. Dopo che abbiamo cessato di adorare la regina del cielo e di offrirle le libagioni, manchiamo di tutto e siamo sterminati dalla spada e dalla fame" (Ger. XLIV, 16-18).
Affinché non attribuissero gli avvenimenti ai falsi simulacri, ma si convincessero che tanto i castighi che i benefici erano opera del Signore, i primi a causa dei peccati, i secondi per la benevolenza di Dio, i Profeti ispirati dal cielo predicevano, lungo tempo prima, quello che doveva accadere. E perché si sappia con certezza che questa è la causa delle predizioni, ascolta quanto disse a gran voce Isaia al popolo giudeo: "So che sei ostinato e che il tuo collo è di ferro (cioé che tu sei inflessibile) e che la tua faccia è di bronzo (noi di solito diciamo che coloro che non arrossiscono mai hanno la faccia di bronzo). Ti annunziai molto tempo prima quanto doveva capitarti in avvenire e ti obbligai ad ascoltare". Per indicare il motivo di queste predizioni aggiunse: "Affinché tu non dica: sono queste statue scolpite o fuse che mi comandano, oppure: sono gli idoli che mi hanno dato tutto questo" (Is. XLVIII, 4-5).
Siccome poi alcuni ostinati ed orgogliosi, dopo la realizzazione del fatto, agivano in modo sfacciato, come se prima nulla avessero udito, i Profeti, non solo predicevano gli avvenimenti futuri, ma prendevano anche dei testimoni di queste profezie. Per questo Isaia dice ancora: "Datemi come testimoni degli uomini di sicura fede: Uria e il sacerdote Zaccaria figlio di Barachia" (Is. VIII, 2). Non ancora contento, raccolse in un volume nuovo la descrizione delle sue profezie, affinché, dopo che si fossero avverate, il libro potesse essere portato come testimonianza contro i Giudei di quanto egli, ispirato dal Signore, aveva predetto molto tempo prima.
Isaia dunque, non solo raccolse le profezie in un volume, ma lo volle nuovo, in modo che potesse durare integro a lungo, non alterarsi facilmente e quindi essere in grado di attendere il compimento di quanto aveva profetato. Quello che affermo è la verità ed è evidente che tutti questi fatti a venire furono preannunziati da Dio; io lo dimostrerò non solo con queste considerazioni, ma con il male e il bene che di volta in volta toccò ai Giudei.
5 - I Giudei sopportarono tre schiavitù durissime, ma nessuna di esse fu mandata da Dio senza essere stata da Lui preannunziata. Anzi ogni volta il Signore ebbe cura di predirne il luogo, il tempo, il carattere, il genere delle sofferenze, il termine, precisando con somma accuratezza ogni altra circostanza. Per prima ricorderò la predizione della cattività in Egitto. Dio parlando ad Abramo, usò queste parole: "Sappi bene che i tuoi discendenti andranno a vivere in terra straniera, saranno ridotti in schiavitù e perseguitati per quattrocento anni. La nazione che li avrà tenuti soggetti, io il Signore, la giudicherò. Alla quarta generazione torneranno e con grandi ricchezze" (Gen. XV, 13-14).
Osserva che è indicato con precisione il numero degli anni, quattrocento, e il carattere della schiavitù, in quanto non disse semplicemente "saranno ridotti in schiavitù", ma aggiunse "e perseguitati". Ascolta come Mosè in seguito descrive i maltrattamenti: "Non è più data la paglia ai tuoi servi e comandano che facciamo i mattoni" (Es. V, 16). Poiché erano percossi ogni giorno puoi capire cosa significava "saranno ridotti in schiavitù e perseguitati". "Le genti di cui saranno servi, dice ancora il Signore, io le giudicherò", alludendo al castigo con cui sommerse gli egiziani nel mar Rosso. Così lo descrive Mosè nei suoi canti: "Precipitò in mare cavallo e cavaliere" (Es. XV, 1).
Poi il Signore parla del ritorno e dice che torneranno carichi di ricchezze. Afferma: "Prendete a prestito dai vicini e dagli amici vasi d’oro e d’argento" (Es. III, 22). Poiché per lungo tempo avevano servito gli egiziani senza mercede alcuna, Dio permise che la ottenessero contro la volontà di quegli ingiusti padroni. Il profeta esclama: "Li feci uscire dalla cattività con oro e argento; e non vi era in tutte le tribù neppure un infermo" (Salmo CIV, 37). Questa cattività è stata predetta in maniera esattissima.
Procediamo e passiamo ora, con il nostro discorso, ad un’altra cattività, quella che gli ebrei sopportarono a Babilonia. Con grande precisione è stata predetta da Geremia; ecco le parole del Profeta: "Così dice il Signore: dopo che avrete trascorsi in Babilonia settanta anni vi visiterò e avrò per voi parole di benevolenza affinché possiate ritornare; metterò fine alla vostra cattività, vi radunerò da tutte le nazioni e paesi nei quali vi ho dispersi e vi riporterò nel luogo da cui vi feci allontanare" (Ger. XXIX, 10 segg.).
Vedi? Di nuovo è indicata la città, il numero degli anni, da dove li avrebbe richiamati, e dove condotti. Perciò Daniele non sollecitò dal Signore il ritorno prima che fossero passati settant’anni. Chi lo dice? Lo stesso Daniele: "E io Daniele ubbidivo agli ordini del re ed ero stupefatto della visione e non vi era nessuno che comprendesse. Io compresi dai libri sacri il numero degli anni di cui parlò il Signore al profeta Geremia, cioè che la rovina di Gerusalemme sarebbe durata settant’anni. Alzai il viso verso il Signore Dio mio per pregarlo e supplicarlo digiuniando in sacco e cenere" (Dan. VIII, 27 e IX, 2-3).
Hai sentito come questa cattività fu predetta e come il Profeta non osò rivolgere a Dio preghiere e suppliche prima del tempo stabilito, per timore di farlo invano e sconsideratamente, e di udire le parole che udì Geremia: "Non intercedere per questo popolo e non chiedere nulla per lui: poiché non ti esaudirò" (Ger. XIV, 11-12).
Ma Daniele, quando vide che il vaticinio era completato e anche l’ora del ritorno era giunta, allora non soltanto pregò ma digiunò e si vestì di sacco, cospargendosi il capo di cenere.
Daniele si comportò verso Dio come gli uomini tra loro. Infatti se noi vediamo qualcuno che mette in ceppi dei servi che hanno commesso molte e gravi colpe, non andiamo ad intercedere all’inizio della punizione; ma alcuni giorni dopo, quando comprendiamo che è più calmo, allora andiamo da lui, aiutati anche dal tempo trascorso. Così si comportò il Profeta: infatti, dopo che avevano subìto la pena, non certo quanto avrebbero meritato, ma tuttavia l’avevano subìta, egli si presentò al Signore per parlare in loro favore. Se volete ascoltiamo questa supplica: "Confessai le mie colpe, dice Daniele, e dissi: Signore Iddio grande ed ammirabile, che sei fedele e misericordioso verso quelli che ti amano ed osservano i tuoi comandamenti" (Dan. IX, 4). Che fai Daniele? Intercedi per uomini che peccarono e mi offesero e parli di essi come di uomini che osservarono la legge? Sono forse degni di perdono coloro che violano i precetti? Non per costoro parlo, disse Daniele, ma per i loro progenitori, per Abramo, per Isacco, per Giacobbe. A quelli Dio fece una promessa, si impegnò con quelli che osservano i suoi comandamenti. Giacché questi Giudei non hanno nessun diritto di chiedere la salvezza, per questo rievoco i loro progenitori. Perché non si pensasse che egli parlava degli ebrei ribelli, aggiunse: "Dio potente e misericordioso che sei fedele verso quelli che ti amano ed osservano i tuoi comandamenti, e subito aggiunge, noi abbiamo peccato, abbiamo commesso delle iniquità e delle ingiustizie, siamo stati empi e ci siamo allontanati dai tuoi precetti e dai tuoi giudizi e non abbiamo dato ascolto ai tuoi servitori, i Profeti" (Dan. V, 6).
Dopo il peccato, la sola espiazione che resta al peccatore è la confessione del suo peccato. Considera ora la virtù del giusto e la malvagità degli ebrei. Il giusto anche se in coscienza è certo di non aver commesso alcun male, si autocondanna con severità, dicendo: "Abbiamo peccato, abbiamo commesso iniquità ed ingiustizie"; gli ebrei invece, carichi di colpe, dicevano: "Abbiamo osservato i tuoi comandamenti ma ora chiameremo beati gli altri che non li osservano e trionfano con le iniquità commesse" (Malac. III, 14-15). I giusti dopo aver compiuto il bene restano modesti, al contrario i malvagi si vantano dopo aver commesso il male. Colui che in coscienza sapeva di non aver compiuto azioni malvage, diceva: abbiamo compiuto delle iniquità, ci siamo allontanati dai tuoi precetti; quelli che ben sapevano delle loro innumerevoli colpe, dicevano: abbiamo osservato i tuoi comandamenti. Questo dico affinché imitiamo il comportamento degli uni evitando quello degli altri.
6 - Dopo aver parlato delle colpe degli ebrei Daniele ricorda anche il castigo con cui le hanno espiate, e per invocare la clemenza di Dio dice: "Poiché abbiamo peccato cadde su di noi la maledizione che è scritta nella legge di Mosè servo di Dio" (Dan. IX, 11). Che cosa è questa maledizione? Volete che la leggiamo? "Se non servirete il Signore Dio vostro manderò contro di voi un popolo spudorato, non comprenderete la sua lingua e sarete ridotti a pochi" (Deut. XXVIII, 49-50). Lo proclamarono apertamente i tre fanciulli: questo genere di espiazione era stato causato dalle loro cattive azioni; dopo aver confessato le colpe comuni si rivolsero a Dio dicendo: "Ci avete consegnati nelle mani dei nemici più perversi e crudeli, di un re ingiusto, il più perverso di tutta la terra" (Dan. III, 32).
Considerate inoltre le parole che chiudono la maledizione: "Sarete ridotti a un piccolo numero" e anche "Manderò contro di voi gente sfrontata" e Daniele vi allude giustamente precisando: "Siamo stati colpiti da mali tali che non si sono mai visti sotto il cielo. Non ve ne è nessuno come quelli che sono caduti su Israele". Quali sono questi mali? "Le madri divorarono i loro figli". Tutto questo è chiaramente predetto da Mosè, e Geremia attesta essere accaduto. Ecco cosa dice Mosè: "La donna tenera e delicata che per la sua mollezza e delicatezza quasi non avrebbe osato toccare terra con la pianta dei suoi piedi, si siederà ad una mensa orrenda e mangerà i suoi stessi figli" (Deut. XXVIII, 56). Anche Geremia conferma che questo è accaduto: "Le mani di donne pur misericordiose posero a cuocere i loro figli" (Lament. IV, 10). Daniele dopo aver parlato dei loro peccati e ricordato come furono puniti, non chiede tuttavia che siano salvati. Ammira la virtù di questo servo di Dio.
Dopo aver mostrato che non avevano ancora sopportato quanto avrebbero meritato, né pagato quanto dovevano per il male compiuto Daniele si rivolge alla misericordia di Dio e alla consueta bontà divina verso il genere umano: "E ora, o Signore Dio nostro, che hai fatto uscire il tuo popolo dalla terra di Egitto e che ti sei creato un nome che dura fino ad oggi; riconosciamo che abbiamo peccato e commesso delle iniquità" (Dan. IX, 15). Allo stesso modo, aggiunse, hai salvato gli antichi ebrei, non per le loro buone azioni, ma, considerando le loro tribolazioni e le loro angosce, hai esaudito le loro grida di aiuto; così ora liberaci dai mali presenti unicamente per la tua bontà verso il genere umano, perché non abbiamo nessun diritto di sperare la salvezza.
Dopo aver detto questo ed aver pianto a lungo, allora Daniele introduce nel discorso la città di Gerusalemme e ne parla come di una donna prigioniera: "Volta il viso verso il tuo santuario, porgi il tuo orecchio, o mio Dio, e ascoltaci. Apri i tuoi occhi e guarda la rovina nostra e della tua città nella quale è invocato il tuo santo nome" (Dan. IX, 17-18). Dopo essersi guardato intorno e non aver visto neppure un uomo che possa placare Dio, il Profeta fa ricorso agli edifici, e Gli pone davanti la città stessa di Gerusalemme e la sua desolazione, e conclude la sua preghiera, come si vedrà in seguito, sforzandosi di rendere Dio propizio.
Ma è necessario ritornare al nostro argomento; in realtà queste digressioni non sono state fatte senza ragione o scopo, ma per dare un po’ di ristoro ai vostri animi stanchi di queste lotte continue.
Ritorniamo dunque al nostro punto di partenza e dimostreremo che tutti i mali che sarebbero poi capitati agli ebrei erano stati predetti, con la massima precisione, dai Profeti ispirati da Dio. Il nostro discorso vi ha già dimostrato che le due cattività di cui furono vittime, non sono state fortuite o inattese, ma erano state previste dalle profezie. Resta ancora da parlare della terza cattività; di quella cioè in cui si trovano ora. Diremo in seguito e lo mostreremo chiaramente che nessun profeta ha promesso loro che saranno un giorno liberati dai mali che li affliggono, e salvati.
Quale è dunque questa terza schiavitù? Quella sotto Antioco Epifane. Alessandro re della Macedonia, avendo vinto Dario, re dei Persiani, prese possesso del suo impero. Morto Alessandro gli successero quattro re; molto tempo dopo, Antioco, discendente di uno di questi quattro, incendiò il tempio, profanò il Santo dei Santi, abolì i sacrifici, costrinse gli ebrei a sottomettersi e distrusse completamente il loro Stato.
7 - Ebbene, tutti questi eventi sono stati predetti da Daniele, con una precisione tale da indicare addirittura il tempo, il modo, da chi e per quale causa, quale sarebbe stata la fine e quali i mutamenti che ne sarebbero seguiti. Lo comprenderete perfettamente quando udrete la visione che il profeta ci propone per mezzo di una parabola: egli designa con l’ariete il re dei Persiani Dario, col caprone il re dei Greci Alessandro il Macedone, con le quattro corna i quattro re che vennero dopo di lui, con la figura dell’ultimo corno lo stesso Antioco. Anzitutto è meglio ascoltare il racconto della visione: "Ho avuto una visione, dice il Profeta, ero seduto presso Ubal (luogo chiamato così in lingua persiana), alzai gli occhi ed ecco ritto davanti ad Ubal un ariete che aveva due alte corna, di cui uno era più alto dell’altro, e il più alto si alzò al di sopra di tutto e vedevo l’ariete battere con questo corno l’occidente, il settentrione e il mezzogiorno. Nessuna bestia poteva resistere in sua presenza né poteva strapparsi dalla sua stretta. Faceva tutto quanto voleva e fu glorificato, ed io comprendevo" (Dan. VIII, 2 segg.).
Parla poi della potenza persiana e della dominazione che regnò su tutta la terra. Quindi passando a parlare di Alessandro il Macedone, il Profeta dice: "Ed ecco che un caprone venne dall’occidente percorrendo tutta la terra, ma non toccava il suolo e aveva un corno prominente piantato in mezzo agli occhi". Narra poi la lotta di Dario contro Alessandro e la vittoria riportata da quest’ultimo con la forza: "Venne il caprone contro l’ariete che aveva le corna. Gli si precipitò contro e lo percosse". Dirò brevemente il seguito: "Gli ruppe entrambe le corna e non vi fu possibilità di liberare l’ariete". Ecco poi come Daniele narra la morte di Alessandro e la successione dei quattro re. "E mentre era nel pieno vigore il suo gran corno fu spezzato e sotto di lui si formarono quattro corna verso i quattro venti del cielo". Passando in seguito a parlare del regno di Antioco dichiara che egli è un discendente di questi quattro: "Da uno di queste corna ne uscì uno forte che si innalzò grandemente a mezzogiorno e ad oriente". Per indicare che Antioco distrusse completamente lo stato giudaico: "Dopo queste cose a causa di lui il sacrificio fu macchiato dal peccato. Fece questo e aumentò la sua potenza. Il Santuario venne profanato e al posto del sacrificio vi fu il delitto; dopo aver distrutto e rovesciato l’altare, calpestati i vasi sacri, mise un idolo all’interno e contro la legge immolò ai demoni le vittime, e così cancellò la giustizia; fece questo e aumentò ancora la sua potenza".
Un’altra volta Daniele parlando di nuovo del regno di Antioco Epifane, della prigionia, dell’eccidio del popolo e della rovina del tempio, determinò anche il tempo in cui tutto ciò sarebbe accaduto. Prese infatti come punto di partenza il regno di Alessandro, e fino alla fine della sua profezia, ricordò ancora una volta tutti gli avvenimenti intercorsi: le lotte che i Ptolomei e i Seleucidi combatterono gli uni contro gli altri, le gesta dei loro comandanti, gli inganni, le vittorie, gli eserciti, i combattimenti per mare e per terra. Arrivato a parlare di Antioco, concluse dicendo: "Si leveranno da lui delle forze armate, e profaneranno il Santuario e faranno cessare le continuazioni" (si chiamano in tal modo i sacrifici solenni e quotidiani) (Dan. XI, 31 segg.); e vi porranno l’abominio della desolazione. E quelli che violano l’alleanza, cioè i Giudei che prevaricheranno, li condurrà alla rovina, portandoli con sé in cattività, e il popolo sa che il suo Dio prevarrà, si allude ai Maccabei, a quanto accadde sotto Giuda, Simone e Giovanni: "I saggi del popolo comprenderanno molte cose ma cadranno di spada e saranno bruciati col fuoco", alludendo di nuovo all’incendio della città. "Fatti prigionieri e colpiti dalla rovina di quei giorni, quando saranno caduti, pochi verranno in loro aiuto, volendo significare che in mezzo a quei mali potranno trovare un sollievo e emergere dall’afflizione che li aveva travolti; "ma i più si uniranno a loro per rovinarli e persino i saggi vacilleranno nella fede" (id. XI, 34-35). Con queste parole Daniele allude al tempo futuro e vuol significare che molti che in quel momento sembravano fermi e sicuri cadranno essi pure.
In seguito il Profeta rivela anche il motivo per cui Dio permise che gli ebrei cadessero in preda a tanti mali. Qual’è questa causa? Dice: "Perché col fuoco siano provati, scelti e resi puri fino alla fine del tempo stabilito". A tale scopo permise tutto questo, per purificarli e per mostrare chi tra di loro aveva una virtù a tutta prova. Daniele ricorda ancora la potenza di Antioco: "Egli agirà secondo la sua volontà e sarà esaltato e glorificato". Per indicarne lo spirito blasfemo aggiunge: "Parlerà con arroganza contro il Dio degli dei e avrà prosperità sino a che la collera del Signore sia esaurita", mostrando che Antioco crebbe in potenza, non per la propria saggezza ma per la collera divina contro gli ebrei. Enumerando poi quanto male questo principe avrebbe fatto all’Egitto e alla Palestina e dopo aver detto in qual modo sarebbe tornato, da chi chiamato e per quale causa urgente, Daniele annunzia un cambiamento decisivo; spiega come per i Giudei, passati attraverso tutte queste prove, giungerà un aiuto: un angelo sarà mandato in loro soccorso. Dice il Profeta: "In quel tempo si leverà Michele il grande principe che è protettore dei figli del tuo popolo. Sarà un periodo di afflizioni tali quali mai ve ne sono state da quando le nazioni sono esistite sulla terra sino a quel momento. Allora molti saranno salvati. Tutti coloro che saranno trovati scritti nel libro", cioè che saranno degni della salvezza (Dan. XII, 1).
8 - Veramente non si è ancora chiarita la questione che ci eravamo posta. Qual’era? Naturalmente se era prevista la durata di questi mali, come per i quattrocento anni della prima cattività e i settanta della seconda. Vediamo ora se, anche per questa, è prefissato un tempo determinato: dove sarà possibile trovare la risposta? Nelle parole che il profeta dirà in seguito: invero Daniele aveva udito di molti e gravi mali, dell’incendio di Gerusalemme, della distruzione dello Stato, della prigionia degli ebrei e desiderava conoscere la fine di tutto questo e quale sarebbe stato il futuro cambiamento. Così interrogò il Signore: "O Signore, quale sarà la fine di tutto questo? Rispose: Vieni qui Daniele, perché le parole sono chiuse e sigillate sino alla fine del tempo stabilito", indicando in tal modo l’oscurità di quanto detto (Dan. XII, 8 e segg.). Spiega poi la causa di tante sciagure permesse da Dio: "Sino a che molti siano scelti e resi puri e provati dal fuoco, finché i malvagi agiranno con malvagità e sia gli empi che i prudenti capiscano". In seguito, predicendo la durata di questo triste periodo, dice: "Dal tempo in cui saranno aboliti gli endelechismi"; così erano chiamati i sacrifici quotidiani, perché endeleces significa perpetuo, frequente, continuo. Era infatti uso dei Giudei offrire al mattino e alla sera di ogni giorno un sacrificio al Signore: per questa frequenza e continuità venivano definiti perpetui. Ora dopo che Antioco avrà abolito e mutato questo uso o secondo l’espressione dell’angelo "dopo l’abolizione del sacrificio perpetuo, cioè da quando questo sacrificio sarà tolto, passeranno mille duecento novanta giorni" cioé un po’ più di tre anni e mezzo; allora sarebbe arrivata la fine dei loro mali e aggiunge: "Beato colui che avrà sopportato e arriverà a mille trecento trentacinque giorni". Ai milleduecentonovanta ne sono stati aggiunti quarantacinque. Il conflitto che rese completa la vittoria durò appunto questi quarantacinque giorni; con la vittoria si ebbe il cambiamento e la liberazione. Dicendo: "Beato colui che avrà sopportato per mille trecento trentacinque giorni" conferma che dopo vi sarà un cambiamento. Non disse semplicemente "chi arriverà", ma "chi avrà sopportato e arriverà", perché molti di quelli che avevano commesso delle iniquità vedranno il cambiamento, ma non essi sono detti beati, bensì quelli che nei giorni dell’afflizione avevano reso testimonianza, non avevano tradito la loro religione ed avevano ottenuto la liberazione.
Si può essere più chiari? Vedi dunque: il Profeta non solo annunzia nella maniera più esatta gli anni e i mesi di questa cattività, ma persino il giorno in cui doveva aver termine.
Affinché sia evidente che non parlo in base a mie congetture, vi presento un testimone che è un autore di grandissimo valore per gli ebrei, parlo di quel Giuseppe che descrisse le tragiche calamità e spiegò ampiamente il Vecchio Testamento come una parafrasi. Questo Giuseppe visse dopo l’avvento di Cristo e ricordando la cattività predetta dal Salvatore, parlò anche dell’altra e spiegò la visione di Daniele: il significato dell’ariete, del caprone, delle quattro corna e del corno che uscì per ultimo. E perché non si abbiano sospetti sulle nostre parole, riferiremo le sue parole. Egli lodò Daniele, anteponendolo a tutti gli altri profeti. Della visione dice: ci lasciò il monumento dei suoi scritti che mostrano l’incomparabile certezza e precisione delle sue profezie. Ecco le parole di Giuseppe: mentre era a Susa, capitale della Persia, uscito in aperta campagna con alcuni compagni, improvvisamente la terra fu scossa violentemente come da un terremoto. I compagni fuggirono e Daniele restò solo; cadde prono e restò appoggiato sulle mani. In seguito sentì che qualcuno lo toccava e gli ordinava di alzarsi e di vedere il destino riservato a parecchie generazioni. Alzatosi in piedi gli si mostrò un ariete gigantesco a cui spuntarono molte corna, ma l’ultimo fu più alto delle altre. Dopo questo, avendo guardato ad occidente vide un caprone che arrivava con impeto nell’aria e che, appena ebbe raggiunto l’ariete, lo colpì due volte con le corna, lo gettò a terra e lo calpestò. Allora il caprone sembrò diventare anche più grande e sulla sua fronte spuntò un corno enorme. Rotto questo grande corno, ne spuntarono altri quattro, ognuno volto verso uno dei quattro venti. Da queste corna ne uscì poi un altro più piccolo che si accrebbe. Dio, che mostrava tutto questo al Profeta, gli disse che il personaggio raffigurato da questo corno avrebbe debellato il popolo ebraico, preso la loro città con la forza, saccheggiato il tempio e proibiti i riti sacri. Gli eventi futuri sarebbero durati mille duecentonovanta giorni. Questa è la visione che Daniele racconta aver avuta in campagna presso Susa. Il Profeta supplicò Dio di spiegargli chi fossero quelli che erano apparsi e Dio rispose che l’ariete indicava i regni della Persia e della Media, le corna i re che sarebbero succeduti; l’ultimo corno indicava l’ultimo re che tutti li avrebbe superati per ricchezza e gloria. Degli altri il caprone indicava un re greco che avrebbe combattuto e vinto due volte i persiani, e che si sarebbe impadronito di tutto il loro regno. Il primo grande corno che era di fronte al caprone rappresentava il primo monarca; le quattro corna che spuntarono dopo che il primo si era rotto, i quattro successori che dopo la morte del primo re avrebbero diviso il regno tra loro e, sebbene non fossero né figli né parenti, avrebbero regnato per molti anni su tutta la terra. Da questi sarebbe poi venuto un re che avrebbe distrutto le leggi ebraiche, abolito la religione e i suoi riti, spogliato il tempio e vietato i sacrifici per tre anni. Questo è certamente quanto ha sofferto il vostro popolo sotto Antioco Epifane come Daniele molti anni prima aveva predetto e scritto che sarebbe capitato.
9 - Dimmi dunque, vi può essere qualcosa di più chiaro? È il momento, se non vi sembriamo fastidiosi, di ritornare al nostro argomento: cioé alla odierna cattività e servitù, argomento per il quale abbiamo fatto tante ricerche. Ascoltate dunque con la massima attenzione, perché la nostra battaglia non è certo per cosa senza importanza. Sarebbe vergognoso per noi vedere gli altri sedere pazientemente nell’anfiteatro ai giochi olimpici, da mezzanotte fino a mezzogiorno per sapere chi riporterà la corona; oppure sopportare, a testa nuda, i brucianti raggi del sole, e non allontanarsi mai prima che siano stati proclamati i risultati dei combattimenti; ripeto, sarebbe vergognoso per noi ora essere stanchi e annoiati mentre combattiamo non per una corona terrena, ma per una corona immortale.
Che tre cattività siano state previste molto prima che avvenissero, una per la durata di quattrocento anni, una di settanta e la terza di tre anni e mezzo, è ormai ampiamente dimostrato. Occupiamoci di quella che rimane e di cui parlavamo.
Anche di questa vaticinò il profeta e di nuovo porterò a testimone quel Giuseppe che divide gli stessi sentimenti con i Giudei. Dunque, dopo quanto aveva detto e noi abbiamo citato, aggiunse: "Nello stesso modo Daniele scrisse della dominazione romana, della distruzione di Gerusalemme da parte dei Romani e della rovina del tempio". Considera con me come colui che scrisse tutto questo era un giudeo tuttavia ben lontano dall’avere la vostra ostinazione. Infatti dopo aver detto che Gerusalemme sarebbe stata distrutta, non osò aggiungere che sarebbe stata ricostruita né indicarne un tempo sicuro.
Egli sapeva che il profeta non aveva predetto questo tempo e mentre prima, parlando delle vittorie e della rovina di Antioco aveva precisato quanti anni e giorni sarebbe durata la cattività, non disse niente di simile per la vittoria dei Romani. Parlò solamente della rovina di Gerusalemme e del Tempio. Non aggiunse altro riguardo alla fine della desolazione poiché aveva notato che il profeta non aveva detto nulla a questo proposito.
Disse invece che tutte queste predizioni, ispirate dal Signore, erano state scritte e lasciate da Daniele perché chiunque le avesse lette e ne avesse vista la realizzazione, ammirasse l’onore fatto dal Signore a questo profeta.
Ora anzitutto prenderemo in considerazione il punto in cui Daniele dice che il tempio sarebbe stato ridotto in rovina. Quando Daniele ebbe terminato le sue suppliche e penitenze, gli apparve Gabriele che così gli disse: "Settanta settimane sono concesse al tuo popolo e alla città santa" (Dan. IX, 24).
Ecco che qualcuno dirà: il periodo di tempo è qui espresso.
Sì, ma è quello in cui doveva ricominciare la schiavitù e non quello in cui doveva finire. Altrimenti si sarebbe dovuto precisare, oltre al tempo in cui sarebbe cominciata la schiavitù, un altro che ne indicasse la durata.
"Settanta settimane, ha detto, sono concesse al tuo popolo"; non ha detto "al mio popolo". Daniele aveva pregato: "Volgi il tuo viso al tuo popolo", ma Dio a causa delle colpe future lo giudica estraneo. Subito ne spiega la causa: "Finché la prevaricazione abbia fine e il peccato sia giunto al compimento". Ma cosa vuol significare "finché il peccato sia giunto a compimento"? Commettono molti peccati, ma il peggio sarà quando uccideranno Cristo. E questo disse Cristo: "Colmate la misura dei vostri padri" (Matt. XXIII, 32). Avete ucciso i servi, aggiungetevi il sangue del Signore. Vedi come concordano le sentenze. Cristo disse: "Colmate"; il profeta: "Finché il peccato sia consumato" e "messo il sigillo all’iniquità". Ma che significa "mettere il sigillo"? Che non vi può essere iniquità maggiore. "E che arrivi la giustizia eterna". Quale può essere la giustizia eterna se non quella data da Cristo? "E finché la visione e la profezia siano compiute e il santo dei santi riceva l’unzione", cioè finché finiscano le profezie; questo è il senso delle espressioni: mettere un sigillo, porre fine all’unzione e alle visioni. Questo disse Cristo: "La legge e i profeti sono durati fino a Giovanni" (Matt. XI, 13). Considera queste minacce di ogni sorta di disastri e di vendette per i delitti e le iniquità. Il Signore non promette di perdonarli ma minaccia di punirli per i loro peccati.
10 - Ma quando è accaduto questo? Quando sono finite completamente le profezie? Quando è scomparsa l’unzione senza più tornare? E se noi taceremo, le pietre stesse grideranno: tanto è forte la voce dei fatti. Noi non possiamo indicare altro tempo, per il compimento di queste predizioni, se non quello trascorso che è già molto lungo, e quello ancor più lungo che deve ancora venire.
Daniele parlando con ancora maggior precisione dice: "Sappi ancora e intendi bene: dal momento in cui sarà dato l’ordine di ricostruire Gerusalemme fino al Principe Unto vi saranno sette settimane e sessantadue settimane" (Dan. IX, 25). Ascoltami con estrema attenzione, questo è il punto cruciale della questione: sette settimane e sessantadue settimane fanno quattrocentottantatre anni. Infatti qui non si parla di settimane composte da giorni o da mesi, ma di settimane di anni. Da Ciro ad Antioco Epifane e alla cattività di cui fu l’artefice, si contano trecentonovantaquattro anni. Il Profeta mostra poi che non si tratta della distruzione del Tempio avvenuta sotto Antioco, ma di quella seguente sotto Pompeo, Vespasiano e Tito, giacché propone un tempo più lontano. E ci insegna come è necessario calcolare questi anni, dimostrando che non bisogna prendere come inizio il ritorno dalla cattività. Ma allora da quando prendere inizio? "Dal momento in cui sarà dato l’ordine di ricostruire Gerusalemme". Ma Gerusalemme non fu ricostruita sotto Ciro, ma sotto Artaserse detto Longimano. Dopo il ritorno degli ebrei venne Cambise, poi i Magi, dopo questi Dario, figlio di Istaspe; dopo Dario, suo figlio Serse e poi Artabano. Dopo Artabano fu Artaserse Longimano a comandare sull’impero persiano. Nel ventesimo anno del regno di Artaserse, Neemìa che era tornato in patria, restaurò la città santa. E tutto questo Esdra ci ha accuratamente descritto (II Esd. II). Se noi contiamo quattrocentoottantatre anni da quel momento, senza dubbio arriviamo all’epoca dell’ultima distruzione. Il Profeta ha detto: "Saranno ricostruite le piazze e le cinte di mura". Allora, quando la città sarà ricostruita e avrà ripreso il suo antico modo di vita, conta da quel momento settanta settimane, e vedrai che questa cattività non è ancora giunta al termine. Ma in modo ancora più evidente si vedrà che gli attuali mali non avranno fine, dalle parole che il Profeta ha aggiunto: "Dopo settanta settimane la sacra unzione sarà abolita, non vi sarà più giurisdizione. La città e il Santuario saranno devastati da un comandante che verrà e tutti periranno come in un diluvio" (Dan. IX, 26). Nessuno si salverà e non resteranno radici che diano germogli "fino alla fine della guerra che la strage abbrevierà". Parlando ancora di questa cattività il Profeta dice: "Saranno aboliti incenso e offerte e inoltre nel tempio si aggiungerà l’abominio della desolazione e questa desolazione durerà fino alla consumazione del tempo" (Dan. IX, 27). Quando senti: "fino alla consumazione" cioè sino alla fine, cosa aspetti? "E inoltre". Che cosa significa "e inoltre"? Significa che oltre alle gravi disgrazie di cui ha parlato, si aggiungerà, dopo la cessazione dei sacrifici e delle offerte votive, un male ancora più grande.
Qual’è questo male? "Nel tempio l’abominio della desolazione". Il Profeta parla del Tempio e chiama abominio della desolazione la statua che venne collocata nel tempio da colui che aveva conquistato e distrutto Gerusalemme. "E questa desolazione durerà fino alla consumazione del tempo". E così anche Cristo, che secondo la carne è venuto dopo Antioco Epifane, vaticinando l’imminente rovina della città dichiarò che tutto era stato predetto dal Profeta Daniele: "Quando vedrete l’abominio della desolazione di cui ha parlato il profeta Daniele posta nel luogo sacro, colui che legge comprenda" (Matt. XXIV, 15).
Siccome gli ebrei chiamano abominio ogni simulacro o figura d’uomo, Daniele con questa designazione enigmatica della statua annuncia nello stesso momento il tempo e l’autore di questa futura cattività. Che si vogliano indicare i Romani lo afferma anche quel Giuseppe di cui abbiamo già parlato.
Che mai vi resta da dire dal momento che i profeti, quando predicevano le altre cattività, ne determinavano l’esatta durata e di questa, non solo non ne determinano il tempo, ma al contrario affermano che durerà fino alla fine dei tempi?
A questo punto, per capire che quanto abbiamo detto non è senza fondamento, considera la testimonianza dei fatti. Poiché se i Giudei non avessero mai tentato di riedificare il tempio, potrebbero dire: se avessimo voluto intraprendere la ricostruzione del tempio, certamente lo avremmo potuto fare e condurre a termine. Ma è dimostrato che non una volta o due o tre hanno tentato e ne furono impediti; non diversamente da quanto accade nei giochi olimpici, non vi è alcun dubbio che la corona della vittoria tocca alla Chiesa. Dove sono dunque questi intraprendenti che sempre resistono allo Spirito Santo, che si affannano per le novità e che suscitano rivolte?
11 - Dopo la catastrofe accaduta sotto Tito e Vespasiano, vi fu, sotto Adriano una sollevazione e il tentativo di restaurare lo Stato precedente: non comprendendo che muovevano guerra ai decreti del Signore, il quale aveva stabilito che la loro città sarebbe stata desolata per sempre. Ma è impossibile vincere quando si combatte contro il Signore. L’insurrezione degli ebrei contro Adriano spinse infatti l’imperatore a distruggere la città dalle fondamenta. Dopo averli vinti e assoggettati e aver disperso anche gli ultimi avanzi della rivolta, affinché non potessero in avvenire agire con tanta impudenza, collocò sul luogo una statua che lo raffigurava. Poi, sapendo che in futuro col passar del tempo la statua sarebbe crollata, per porre un marchio indelebile della sua vittoria e un segno della loro sfrontatezza, impose il suo nome alle rovine della città. Siccome si chiamava Elio Adriano, ordinò che alla città si imponesse il nome di Elia, così come si chiama ancor oggi, dal nome del vincitore e conquistatore.
Questo fu il primo tentativo dei Giudei per la ricostruzione di Gerusalemme. Consideriamo adesso l’altro.
Sotto Costantino tentarono nuovamente, ma Costantino vedendo il loro intento tagliò loro le orecchie, impresse sui loro corpi un marchio di ribellione, obbligandoli ad andare in giro come schiavi fuggitivi o delinquenti da fustigare, segnalandoli a tutti per le mutilazioni del corpo. Ammoniva in tal modo anche quelli che erano sparsi nel paese a non tentare, nell’avvenire, di fare come costoro. Ma dicono: tutte queste sono storie vecchie e dimenticate. Niente affatto, perché tutto ciò è noto anche a quelli fra di voi che sono anziani e quello che sto per dire è chiaro ed evidente pure ai giovani.
Non accadde sotto Adriano o Costantino, ma sotto l’imperatore che regnò vent’anni prima della nostra generazione.
Giuliano, che superò tutti gli imperatori per empietà, chiamò i Giudei a sacrificare agli idoli e tentò di trascinarli nella sua scelleratezza; in seguito i Giudei cercarono di tornare all’antico rito dicendo: Dio è sempre stato onorato dai nostri antenati. In questo modo confessavano, loro malgrado, quanto noi abbiamo testé dimostrato, che non era permesso immolare vittime fuori di Gerusalemme; anzi, aggiungevano che infrangeva la legge colui che faceva sacrifici in terra straniera. E ancora: se volete vederci fare i sacrifici, rendeteci la nostra città, restituiteci il tempio, mostrateci il Santo dei Santi, rimettete l’altare, e noi celebreremo come si faceva un tempo. Non ebbero vergogna, questi scellerati e spudorati, di rivolgere la loro richiesta ad un uomo empio e pagano e domandare che quelle mani impure innalzassero il Santo dei Santi.
Non capivano di voler intraprendere un’impresa impossibile, e neppure comprendevano che se Gerusalemme fosse stata distrutta da un uomo, un altro uomo avrebbe certamente potuto ricostruirla; ma siccome il vero distruttore della città era stato Dio, questa ricostruzione non sarebbe mai stata possibile, perché una forza umana non può prevalere sui decreti del Signore. "Chi mai rovescierà ciò che il Signore Iddio ha stabilito? Chi mai allontanerà la sua eccelsa mano?" (Isaia, XIV, 27).
Infatti rimarrà fermo tutto quello che Egli avrà stabilito e voluto e nessun uomo potrà demolirlo; e così tutto quello che Dio avrà distrutto e vorrà che resti tale, nessun uomo potrà restaurarlo. Ma supponiamo, o Giudei, che questo principe abbia restituito il tempio e riedificato l’altare, fatti che voi a torto ritenete realizzabili, avrebbe anche potuto far discendere dall’alto il fuoco celeste? E se questo fosse mancato, il sacrificio sarebbe stato empio ed impuro. Per questo perirono i figli di Aronne, perché avevano usato un fuoco straniero. (Lev. X - Num. III).
Tuttavia, completamente accecati, quei Giudei supplicavano e scongiuravano l’imperatore di unirsi a loro ed intraprendere la ricostruzione del tempio. Giuliano diede molto denaro, mise a dirigere l’opera uomini capaci, comandò che fossero chiamati operai da ogni parte; non lasciò nulla di intentato, pur agendo con misura e prudenza, sperando di poterli indurre in futuro a sacrificare e poi facilmente portarli al culto degli idoli. Al tempo stesso questo insensato e disgraziato sperava rendere vana la sentenza di Cristo, per la quale il tempio non si sarebbe mai potuto ricostruire.
Ma Colui che cattura i sapienti con la loro stessa astuzia, subito mostrò con i fatti che il decreto di Dio è il più potente di tutti e che gli oracoli del Signore si realizzano sempre (I Cor. III, 19 - Gb. V, 13). Infatti appena i Giudei ebbero incominciato questo empio tentativo, scavato per porre le fondamenta, ammucchiata molta terra e stavano ormai per costruire l’edificio, improvvisamente un gran fuoco, scaturito dalle fondamenta, uccise molti operai, fece crollare le pietre sistemate e interruppe l’inopportuna ostinazione. Non soltanto coloro che lavoravano, ma anche molti ebrei restarono stupefatti e turbati. L’imperatore Giuliano, udita questa notizia, sebbene si fosse dedicato a questa impresa con tanto ardore, temendo che col proseguire avrebbe attirato sul proprio capo il fuoco celeste, desistette con tutto il popolo.
E ora, se voi andate a Gerusalemme, vedrete le nude fondamenta, e se ne chiederete la ragione non ne udrete altra che questa. Di questo avvenimento siamo tutti testimoni: è accaduto nel nostro tempo e non in tempo remoto. Considera quanto sia grande la nostra vittoria: tutto ciò non accadde sotto gli imperatori cristiani, perché non si potesse dire che i cristiani si erano opposti all’opera, ma è avvenuto mentre noi eravamo perseguitati, le nostre vite in pericolo, ogni libertà proibita, mentre il paganesimo fioriva, e parte dei fedeli si nascondeva in casa e parte fuggiva. Questo accadde in quel tempo perché ai Giudei non restasse pretesto alla loro sfrontatezza.
12 - Dubiti dunque ancora, o Giudeo, mentre vedi la predizione di Cristo, i vaticini dei profeti e la dimostrazione portata contro di te dagli stessi avvenimenti? Veramente non c’è da meravigliarsi: così fu sempre la vostra nazione fin dall’inizio, falsa e testarda e sempre in lotta con la verità.
Vuoi tu che io porti contro di te altri profeti che dicono apertamente che la vostra religione avrà fine, mentre la nostra fiorirà? Che la predicazione di Cristo si propagherà per tutta la terra e che un altro genere di sacrificio sarà introdotto dopo che i vostri saranno aboliti? Ascolta dunque Malachia che è venuto dopo gli altri profeti; non voglio avere come testimoni Isaia o Geremia e nessuno degli altri che sono vissuti nel tempo precedente alla cattività, perché tu non possa pretendere che i mali che essi predissero sono accaduti durante la cattività stessa. Porto a testimonio un profeta che visse dopo il ritorno da Babilonia e dopo la restaurazione della città e che predisse pubblicamente le vostre vicende.
Infatti, quando gli ebrei, essendo ritornati, ricostruirono il tempio e celebrarono nuovamente i sacrifici, Malachia predisse la presente desolazione e la futura abolizione dei sacrifici, e parlando in nome di Dio, così disse: "Come potrò accogliere le vostre suppliche? Dice Dio Onnipotente. Poiché da oriente ad occidente il mio nome è glorificato fra le genti, e in ogni luogo si offrono sacrifici d’incenso al mio nome insieme a un’offerta pura: ma voi lo avete profanato" (Mal. I, 9-11). Dunque, o Giudeo, quando accadde tutto questo? Da quando l’incenso è offerto in mio nome in ogni luogo? Da quando il sacrificio è puro? Non puoi mostrare altro tempo che questo: dopo la venuta di Cristo.
Perché se la predizione non riguarda il tempo presente e il vaticinio non riguarda il nostro sacrificio, ma quello giudaico, allora la profezia è contraria alla legge. Poiché Mosè vieta che il sacrificio possa essere celebrato in alcun altro luogo, se non in quello stabilito da Dio, e poiché aveva limitato le celebrazioni dei sacrifici ad un solo luogo (Deut. XVI, 5), allora quando il profeta Malachia dice che in ogni luogo si deve offrire l’incenso e un sacrificio senza macchia, contraddice Mosè e lo combatte. Ma in verità non esiste nessuna lotta od opposizione: Mosè parlò di un sacrificio, Malachia poi ne profetizzò un altro. Dove troviamo noi la prova? Anzitutto dalle stesse parole, poi da altri numerosi indizi.
Per primo dall’indicazione del luogo: infatti non in una sola città, com’era presso i Giudei, ma "dall’oriente all’occidente" si doveva celebrare questo sacrificio. Il profeta accenna poi al tipo di sacrificio, e chiamandolo puro determina di qual sacrificio parla. In terzo luogo: gli offerenti. Infatti non disse: in Israele, ma "da tutte le genti". Perché poi non si pensasse che questo culto dovesse essere instaurato soltanto in due o tre città, non disse solamente: in ogni luogo, ma "dall’oriente all’occidente", indicando che tutte le terre su cui risplende il sole avrebbero ricevuto la predicazione del Vangelo. Inoltre definisce "puro" il sacrificio, non perché i sacrifici precedenti fossero impuri nella loro intrinseca natura, ma a causa dell’intenzione degli offerenti; da ciò le parole: "Il vostro incenso è per me abominevole" (Isaia I, 13).
Del resto se si confrontano tra di loro l’antico sacrificio con il nuovo, si troverà una così grande differenza che in paragone solo questo merita di essere chiamato puro. È ciò che san Paolo disse della legge e della grazia; ciò che era glorioso nella legge non merita più questo titolo perché la grazia è di gran lunga più grande della legge (II Cor. III, 10). Questo possiamo ripeterlo con certezza: paragonando i due sacrifici solo il nuovo può essere definito puro; perché offerto non con il fumo e l’odore, non con il sangue e il prezzo del riscatto, ma con la grazia conferitagli dallo Spirito Santo.
Ascolta ancora un altro profeta che predice gli stessi avvenimenti e dichiara che il culto a Dio non sarà più limitato ad un solo luogo, e che d’ora in avanti tutti gli uomini dovranno conoscerlo. Ecco come parla Sofonia: "Il Signore si manifesterà a tutte le genti, distruggerà le loro divinità e tutti lo adoreranno ciascuno nel proprio paese" (Sof. II, 11).
Questo non era permesso ai Giudei perché Mosè aveva comandato di sacrificare in un solo luogo. Ma tu ascolta ora i Profeti vaticinare ed annunziare che gli uomini non saranno più obbligati a riunirsi in una sola città o in un solo luogo, ma che ognuno potrà onorare Dio restando ove dimora; quale altro tempo puoi designare, se non il tempo presente? Ascolta attentamente come concordano perfettamente i Profeti con i Vangeli e gli Apostoli (Tito, II, 11). Sofonia dice: "Il Signore si manifesterà", l’Apostolo dice: "La grazia di Nostro Signore si è mostrata a tutti gli uomini per istruirci". E ancora, il Profeta: "A tutte le genti"; l’Apostolo: "A tutti gli uomini" e l’uno dice: "Distruggerà i falsi dei", l’altro: "Insegnandoci a rinnegare l’empietà e i desideri terreni e a vivere con temperanza, giustizia e pietà".
Cristo disse alla samaritana: "Credimi, o donna, è venuta l’ora in cui non adorerete più il Padre né in questo monte né a Gerusalemme. Dio è spirito; bisogna che quelli che lo adorano lo adorino in spirito e verità" (Giov. IV, 21). Con queste parole Cristo toglie l’obbligo di adorare Dio in un luogo determinato e ci guida, al tempo stesso, ad un culto più sublime e più spirituale. Tutto questo è sufficiente a dimostrare che non vi saranno più, per i Giudei, né sacrifici, né sacerdozio, né Re. La rovina di Gerusalemme è la prova di tutto quanto detto.
Potremmo ancora aggiungere altri profeti che hanno chiaramente parlato, ma capisco che la lunghezza dell’omelia vi ha affaticati e non vorrei sembrarvi noioso e senza frutto. Perciò, mentre prometto che completerò il mio discorso in un altro momento, vi prego nel frattempo di occuparvi dei vostri fratelli e di strapparli dall’errore e di ricondurli alla verità.
Non servirebbe a nulla l’ascoltare se poi i fatti non fossero d’accordo con le parole. In verità quanto abbiamo detto non è soltanto per voi ma anche per i deboli affinché, dopo aver imparato da voi ed essersi liberati dalle cattive abitudini, mostrino un cristianesimo sincero e schietto; fuggano le perverse riunioni e le assemblee dei Giudei, sia in città che nei sobborghi, perché sono come antri di banditi e abitacoli di demoni. Non trascurate quindi la salute dei vostri fratelli, ma fate tutto il possibile, senza lasciare nulla di intentato, per riportare a Cristo questi malati, per ricevere in questo secolo e nella vita futura un premio ben superiore ai meriti. Per la grazia e la bontà del Signor nostro Gesù Cristo, per il quale e con il quale sia gloria al Padre insieme allo Spirito Santo Vivificatore, ora e sempre nei secoli dei secoli. Così sia.