Bartolomé de las Casas e lo sterminio degli indios: il giudizio dell'Enciclopedia Cattolica

Come utile contributo al dibattito su Bartolomé de las Casas ho pensato di riprodurre la voce omonima dell’Enciclopedia Cattolica[1], una fonte troppo spesso trascurata dagli stessi cattolici:

LAS CASAS, Bartolomé de. – Domenicano, apostolo e difensore degli Indiani d’America, n. a Siviglia nel 1474, m. a Madrid il 31 Luglio 1566.
Fin da quando attendeva agli studi giuridici nell’Università di Salamanca prese a interessarsi delle nuove terre che la scoperta dell’America aveva dato agli Europei. E’ da notare che suo padre aveva accompagnato Colombo nel suo secondo viaggio (1493). Perciò a 28 anni (1502) salpò egli stesso alla volta di Hispaniola, a prendere possesso della ricca “fazenda” paterna e a fare fortuna. Dapprima fu dunque uno sfruttatore degli Indi, come tutti gli altri conquistatori; egli stesso lo ricorderà con rammarico nella Historia de las Indias. Ma nel corso di una decina di anni, grazie al contatto con alcuni Domenicani, non soltanto abbandonò la “fazenda”, ma divenne un tenace protettore degli oppressi indigeni, consacrando alla loro causa gli altri 50 anni della sua grande attività e a tale scopo solcando ben una dozzina di volte l’Oceano.
Egli lottò anzitutto contro l'"encomienda", cioè contro l’inumano sfruttamento degli Indi sotto lo specioso pretesto di evangelizzarli; incontrò naturalmente vive opposizioni da parte dei conquistatori, che si vedevano capovolgere il loro sistema colonizzatore. La sua visione fondamentale, in verità un po’ unilaterale, come si spiegherà ancor meglio negli scritti, può riassumersi brevemente. La Provvidenza aveva riservato alla Spagna la scoperta delle nuove terre per l’evangelizzazione di quelle genti, d’una semplicità e bontà angelica, cui solo mancava la luce del Vangelo. Invece gli Spagnoli, contro ogni legge umana e divina, posponendo l’evangelizzazione, si erano dati anzitutto alla rapina e all’oppressione, incuranti del versamento del sangue indigeno. Nel 1516 il L. C. fu nominato protettore generale di tutti gli Indi e ottenne che si riformassero le leggi nei loro riguardi. Ma, ritornato in America, non poté attuare tali provvedimenti, sicché egli stesso ideò un nuovo sistema di colonizzazione, consistente nell’affidare lo sfruttamento d’una parte del territorio a pacifici coloni spagnoli (1520). L’esperimento ebbe pessima riuscita, per cui egli decise di darsi d’allora in poi totalmente ed esclusivamente alla evangelizzazione mediante la predicazione. A tal fine si appoggiò all’Ordine domenicano, che per quella via l’aveva indirizzato e sempre sostenuto, facendosi frate (1523); dal 1510 era sacerdote decolare.
Nel 1539 scrisse la Brevísima relación de la destruyción de las Indias, che venne pubblicata solo nel 1552 a Siviglia, e tradotta poi in varie lingue. La sua calorosa e appassionata difesa degli Indi incontrò un nuovo successo nel 1542, quando ottenne da Carlo V nuove leggi a favore dei suoi protetti; inoltre perché il L. C. godesse di maggior prestigio, l’Imperatore lo propose alla sede vescovile di Chiapa(s), oggi nel Messico. Il Papa accondiscese (19 Dicembre 1543): la consacrazione ebbe luogo a Siviglia il 30 Marzo 1544. Ma neppure queste nuove disposizioni valsero a superare le ostilità degli avversari, i quali anzi lo accusarono di tradimento e di eresia, costringendolo a tornare in patria per discolparsene (1547). Fu allora che egli si trovò di fronte il grande avversario J. Ginés de Sepúlveda, sostenente la schiavitù naturale dei conquistati, e lo batté in una famosa disputa giuridico-teologica tenuta sull’argomento. Nel 1551 al L. C. sfuggì l’occasione di poter ritornare in mezzo ai suoi Indi, e – quasi ottantenne – si decise ormai a fermarsi in patria, continuando tuttavia la loro difesa con la penna.
Oltre la citata Brevísima relación, il L. C. lasciò numerosi scritti, in parte ancora inediti. Meritano menzione particolare la Historia de las Indias, incompleta (ed. nella Colección de documentos inéditos para la historia de España, voll. 62-66, Madrid, 1875), la quale, pur con i suoi difetti, rimane una fonte ricca e preziosa sull’inizio della colonizzazione spagnola, come anche sulla vita di Cristoforo Colombo, che il L. C. conobbe personalmente. A completare questa storia si cita la Apologética historia sumaria…(ed. in Nueva biblioteca de Autores españoles, XIII, Madrid, 1909), sulla geografia, costumi e caratteri della popolazione. Lo zelo del L. C. per la causa indubbiamente buona, la sua irascibilità, e la foga oratoria di fronte all’ostinazione e ai mezzi usati dai colonizzatori, lo portano ad esagerare; come storico egli è discutibile; ma come apostolo è figura di prima grandezza.

Abele Redigonda

[1] Pubblicata nella Città del Vaticano dal 1948 al 1954, in 12 volumi.