CHRC: la polizia del pensiero canadese


FINIAMOLA UNA VOLTA PER TUTTE CON LA CACCIA ALLE STREGHE

National Post, 3 Settembre 2009[1]

Finalmente, una decisione sensata sulla commissione per i diritti umani. Ieri, un autorevole esponente della dirigenza canadese preposta ai diritti umani ha dichiarato che il potere che la Commissione Canadese dei Diritti Umani [Canadian Human Rights Commission] si è presa di monitorare i reati d’opinione su Internet è incostituzionale.

Sentenziando in una causa contro Marc Lemire, webmaster del sito estremista freedomsite.org, il presidente del Tribunale Canadese dei Diritti Umani [Canadian Human Rights Tribunal] Athanasios Hadjis ha stabilito che l’Articolo 13 viola il diritto costituzionale alla libertà di espressione degli imputati, perché fornisce alla Commissione Canadese dei Diritti Umani (CHRC) l’autorità di imporre pene, come le ammende, a coloro che essa giudica colpevoli. Hadjis, egli stesso un giurista dei diritti umani, ha argomentato che mentre la Corte Suprema ritenne legale l’Articolo 13 nel 1991 – quando le sue disposizioni più dure costringevano semplicemente il querelante e il querelato a comporre la loro controversia – da allora l’aggiunta di sanzioni pecuniarie e di scuse forzate hanno modificato la legge a tal punto che esso non è più in armonia con la Carta.

Questa decisione non “stronca” le disposizioni sui reati d’opinione della legge federale sui diritti umani, come è stato ampiamente riportato. La parte repressiva della legislazione federale sui diritti è ancora in vigore. Ma come il giudice Hadjis ha spiegato, una dichiarazione formale d’invalidità non rientrava nelle sue competenze. Tutto quello che poteva fare in base alle leggi esistenti era di “rifiutarsi semplicemente di applicare queste disposizioni ai fini della querela contro Lemire”. Ora, è compito del Parlamento fare la cosa giusta: abrogare l’Articolo 13 della Legge Canadese sui Diritti Umani [Canadian Human Rights Act] e porre fine all’attività da caccia alle streghe degli inquirenti.

Per capirne il motivo, non c’è bisogno di guardare più in là della persecuzione, finanziata dai contribuenti, del signor Lemire.

I funzionari della CHRC, e i loro sostenitori nelle unità anti-razzismo della polizia e nei gruppi di attivisti del paese, entravano nel sito di Lemire sotto falso nome. Talvolta, per coprire le loro tracce, alcuni di questi funzionari della CHRC si sono persino introdotti nell’account di rete di una donna la cui abitazione si trovava vicino ai loro uffici. Quando sul sito di Lemire il numero dei messaggi istiganti all’odio era scarso, questi funzionari e i loro complici pubblicavano essi stessi affermazioni razziste, omofobe e naziste con i loro nomi fittizi, per poi incoraggiare gli attivisti dei diritti umani a presentare querele riguardanti tali messaggi davanti alla commissione.

Durante l’udienza di Lemire, l’anno scorso, gli inquirenti della CHRC ammisero persino di aver permesso a uno di questi querelanti, l’avvocato di Ottawa Richard Warman, di consultare i loro fascicoli e di fornire suggerimenti su come potessero rendere più efficaci le loro incriminazioni.

Il giudice Hadjis ha esaminato molto poco questi comportamenti immorali nella sua sentenza. Ma quello che ha detto è significativo, e assai gradito. Egli ha concluso che la legge sui diritti umani è “incompatibile con l’Art. 2 della Carta, che garantisce la libertà di pensiero, di credo, di opinione e di espressione. La restrizione imposta da queste disposizioni non è un limite ragionevole riconducibile al significato dell’Art. 1 della Carta”.

Questa è la seconda volta nel giro di un anno che alla CHRC viene detto che l’Art. 13 è incompatibile con il libero dibattito democratico. L’anno scorso, il professore di diritto dell’Università di Windsor, Richard Moon, nella sua veste di esperto – retribuito – di diritto costituzionale, disse alla CHRC che non poteva in alcun modo indagare e inoltrare querele riguardanti reati d’opinione in modo continuativo. Perciò, costoro non potevano assicurare eguale protezione ai diritti costituzionali di ciascuno, e dovevano quindi porre termine al loro operato.

Da quando la controversia sul potere della commissione di censurare le idee politiche è emersa due anni fa, quando la CHRC e tre commissioni provinciali decisero di esaminare le querele contro i noti scrittori Mark Steyn e Ezra Levant, la presidente della CHRC Jennifer Lynch ha affermato di aver accolto volentieri il dibattito sul futuro degli enti governativi preposti ai diritti. Ma la scorsa primavera, ella si è rifiutata di partecipare alle audizioni parlamentari sulla CHRC e in seguito ha attaccato il presidente del comitato per aver usato fonti inattendibili e ha accusato i critici della commissione di non avere il diritto di criticare i comportamenti della medesima.

Alla luce della decisione di ieri, forse i nostri politici troveranno finalmente il coraggio di reagire agli esponenti della correttezza politica, come la signora Lynch, e di strappare loro il potere di sorvegliare e sottoporre a giudizio la libertà di parola su Internet.

[1] http://www.nationalpost.com/opinion/story.html?id=1957347