Canada: vittoria storica per Marc Lemire


LA LEGGE SUI REATI D’OPINIONE VIOLA LA CARTA DEI DIRITTI, SENTENZIA IL TRIBUNALE

Di Susan Krashinsky, 17 Settembre 2009[1]

Una legge federale che regola i reati d’opinione viola la Carta dei Diritti dei canadesi sulla libertà di espressione, ha sentenziato il Tribunale Canadese dei Diritti Umani.

Gli sviluppi potrebbero fornire armi a coloro che lamentano che la Commissione Canadese dei Diritti Umani, che deferisce i casi al tribunale, sia compromessa in attività censorie nel tentativo di limitare quello che la gente dice su Internet.

La decisione, emessa mercoledì a Ottawa, sembra anche mettere in discussione che i tribunali debbano essere coinvolti nella sorveglianza dei contenuti della rete, attraverso l’Articolo 13 della Legge Canadese sui Diritti Umani.

“Questo caso solleva interrogativi sulla sostanza della legge stessa”, ha detto Michael Geist, un professore di legge dell’Università di Ottawa che detiene la cattedra di Diritto su Internet e il commercio in rete. “Questo darà solo impulso ad un altro esame del nostro approccio a tutto ciò”.

In discussione era una querela sporta contro Marc Lemire, il webmaster di http://www.freedomsite.org/ . L’avvocato di Ottawa, Richard Warman, sosteneva che i messaggi pubblicati sul sito erano discriminatori ed esponevano certe minoranze all’”odio e al disprezzo”, termini-chiave in base all’Articolo 13 della legge.

Lemire aveva ribattuto chiedendo che la legge venisse dichiarata “inoperativa”, essendo incoerente rispetto alla Carta dei Diritti e delle Libertà. Il giudice Athanasios Hadjis ha approvato la richiesta. Egli ha scritto nella sentenza che la legge aveva inizialmente lo scopo di essere “di natura moderatrice, preventiva e conciliatoria”, piuttosto che un mezzo per comminare sanzioni.

L’Articolo 13 definisce come “discriminatorio” per un individuo o per un gruppo “comunicare telefonicamente o causare che sia comunicato in tal modo…qualsiasi contenuto che abbia la probabilità di esporre una o più persone all’odio o al disprezzo”, in base a caratteristiche quali la razza, la religione, l’orientamento sessuale e simili.

I sostenitori considerano tale legge un controllo necessario dei reati d’opinione in un’epoca in cui Internet rende la diffusione dei messaggi più facile e veloce. I detrattori dicono che si tratta di censura, che non deve aver luogo in una società aperta.

La decisione del tribunale, che probabilmente verrà sottoposta ad appello, non è vincolante oltre il caso Lemire. Tuttavia, sposta il dibattito in avanti, ha detto Richard Moon, professore di diritto all’Università di Windosr.

“Essa crea una situazione nuova, in cui tutti i vari attori, politici e legali, devono pensare a quella che dovrà essere la loro risposta”, ha detto il prof. Moon.

Nel 2008, il prof. Moon scrisse un rapporto per la CHRC [Canadian Human Rights Commission] sul ruolo dell’Articolo 13 nell’era di Internet che diceva che la legge avrebbe dovuto essere abrogata. Egli scrisse che l’utilizzo di Internet significa che “qualunque tentativo di escludere tutti i pregiudizi razziali, e altri ancora, dal discorso pubblico richiederebbe un intervento abnorme da parte dello stato”.

Ma l’avvocato Warman, che ha provocato il caso, non è d’accordo.

“Non c’è un diritto illimitato alla libertà di parola”, ha detto. “Il fatto è che questo è un sito web che istiga all’odio e che lo attira”.

Warman ha citato i commenti di un visitatore del sito freedomsite.org che, in un caso distinto, sono stati definiti dal tribunale “abominevoli al limite dell’immaginazione, e non solo discriminatori, ma minacciosi nei confronti delle vittime”.

Lemire ha detto che il webmaster non è responsabile dei contenuti che finiscono sulle bacheche dei messaggi.

“Non deve essere lo stato a decidere quali convinzioni possiamo avere”, ha detto. “Le persone, anche se sono naziste, anche se sono comuniste, anche se sono razziste, non dovrebbero passare per un processo lungo sei anni”.

Bernie Farber, direttore del Congresso Ebraico Canadese [Canadian Jewish Congress] ha detto che ogni discorso discriminatorio è potenzialmente omicida.

“La guerra razzista, dalla pulizia etnica in Cambogia, ai Balcani, al Darfur, all’Olocausto, non è iniziata nel vuoto”, ha detto.

“Le parole odiose producono un effetto…Internet non può e non deve essere una frontiera selvaggia dove tutto è permesso”.

[1] http://www.theglobeandmail.com/news/national/hate-speech-law-violates-charter-rights-tribunal-rules/article1273956/