COME FUGGIRE DA UNA CAMERA A GAS OMICIDA –
IN UN MODO PERSINO PIU’ FACILEDi Thomas Kues,
11 Giugno 2009[1]Sul numero 149 dello
Smith’s Report[2] pubblicai un articolo intitolato “Experto Crede, o Come fuggire da una camera a gas omicida”, dedicato a una categoria speciale di sopravvissuti della Shoah: a quegli ebrei ingegnosi che avevano visto dall’interno una di queste favolose camere a gas naziste, ed erano riusciti a fuggire per raccontare la propria storia. Riuscire in quest’impresa equivale a superare persone come Arnold Friedman, che sopravvisse ad una gasazione a Flössenburg (!) respirando dal buco della serratura. Le “testimoni oculari” di Auschwitz Sophia Litwinska e Regina Bialek furono salvate all’ultimo momento quando una SS aprì la camera (quand’era in corso la gasazione) per tirarle fuori di lì (loro due, e nessun altro); ovviamente, la spiegazione è che erano considerate elementi preziosi dai tedeschi, per una ragione o per l’altra, e perciò vennero risparmiate affinché potessero raccontare al mondo la propria storia. La testimone di Majdanek, Mary Seidenwurm Wrzos sopravvisse alla camera a gas in modo simile, per quanto assai più scaltro: quando il gas iniziò a fluire, attraverso “tre grandi buchi neri”, ella iniziò a colpire la porta, gridando di essere una guardia tedesca. Alla fine, gli uomini muniti di maschera antigas aprirono la porta e la tirarono fuori. Curiosamente, non venne rispedita nella camera a gas – o punita in altro modo – quando i tedeschi scoprirono che non era una di loro…Un altro detenuto di Majdanek, Mietek Grocher, semplicemente se la svignò dalla porta ancora aperta della camera a gas mentre la (singola!) guardia guardava da un’altra parte e quindi schivò una gragnuola di pallottole dai tedeschi che lo inseguirono.
Tuttavia, ho scoperto recentemente che vi sono casi documentati di fughe dalla camera a gas persino più astute. Sfortunatamente, non abbiamo i nomi dei protagonisti ma sappiamo che ve ne sono più di uno e che si tratta di donne (chiaramente, non donne inclini al panico e isteriche ma rappresentanti lucide e ingegnose del proprio sesso). Nel suo libro
Den Lifsfarliga Glömskan [L’oblio fatale], Brombergs, Stoccolma, 1986, Inga Gottfarb, una scrittrice ebrea-svedese – e attivista sionista – fa la seguente citazione da un rapporto da lei inviato all’
American Jewish Joint Distribution Committee di New York “alla metà di Maggio del 1945”, e riguardante l’accoglimento di ex detenute dei campi di concentramento nella città svedese di Malmö avvenuto il 29 Aprile dello stesso anno (pp. 162-163):
“Många hade varit i Auschwitz, hade “gasnummer” intatuerade på sina armar. Några hade lyckats ta sig ut ur gaskammaren genom ett fönster».
Traduzione:
“Molte sono state ad Auschwitz e sono stati loro tatuati sul braccio i “numeri del gas”. Qualcuna è riuscita a fuggire dalla camera a gas dalla finestra”.