VIVERE A GAZA IN MEZZO AI MORTIDi Eman Mohammed,
Live from Palestine,
19 Maggio 2009[1]La scena di Mahmoud Jilu, 4 anni, che fa rotolare la palla insieme agli amici non sembra affatto strana, fino a quando non si vede dove sta giocando. Mahmoud insegue la palla in un cortile pieno di tombe, che formano il cimitero dove la sua famiglia vive da quando ha l’età dei ricordi.
I sei membri della famiglia Jilu vivono tutti insieme in una casa minuscola, con una stanza da letto e un piccolo spazio per la cucina con una tomba accanto ad essa. Per Afaf Jilu, 30 anni, mamma di tre bambini e una bambina, non è la vista delle tombe circostanti che la mette più a disagio ma lo spazio angusto che la costringe a vivere in una sola stanza con suo marito e i quattro figli.
“Il non avere la privacy è quello che rende questa vita insopportabile”, dice Afaf. “Quando cerco di dormire, i miei figli vogliono guardare la tv e sono appena bambini. Non posso rendere loro le cose ancora peggiori negando loro quello che vogliono”.
Aggiunge Afaf: “Continuo a dire a me stessa che avremo la nostra casa quando la situazione economica del paese sarà migliore, e allora potrò piantare molti alberi intorno a casa invece di avere un cimitero che ci soffoca da ogni parte. Tutti noi ci aggrappiamo ai nostri piccoli sogni. E’ la cosa migliore che abbiamo imparato vivendo qui; più vediamo la gente morire, lasciandosi dietro i propri sogni, più ci attacchiamo ai nostri. E’ il solo modo di farcela!”.
Per il tredicenne Mohammed, la cosa è differente perché non porta mai con sé i propri amici a giocare o a studiare, per la sua sensazione di essere l’”intruso”, visto che vive in un cimitero. “I miei amici non sono abituati all’idea di vivere in mezzo ai morti. Può sembrare uno stupido scherzo e non l’esatta realtà della vita. Qualche volta mi vergogno di questo posto”, dice.
La sedicenne Nour non è d’accordo con suo fratello poiché si sente libera di invitare le amiche di scuola nella sua casa “unica nel suo genere”. “Non ho fastidi dalle ragazze a scuola a causa di dove vivo. Mi rispettano per quello che sono e non per dove vivo. E’ una cosa così semplice da fare – solo i ragazzini pensano in quel modo. Inoltre, molte famiglie hanno perso di recente le loro case dopo che sono state distrutte dalla guerra e non si vergognano, così perché dovrei io?”. Nour dice di sognare di andare un giorno al college e di diventare infermiera. Dice di voler lavorare con i pazienti negli ospedali e di voler essere considerata “un angelo di misericordia”.
Suhail Jilu, 43 anni, lavora come taxista ed è quello che mantiene la famiglia. La sua famiglia vive nel cimitero di al-Sheikh Shaban, al centro di Gaza City, dal 1948, quando furono espulsi dalle loro terre a Jaffa dalle forze sioniste. Ha due lavori, e dà anche una mano ai funerali che si tengono vicino casa sua per racimolare un po’ di soldi per una nuova casa. Suhail ha ricevuto di recente un avviso ufficiale dalle autorità affinché abbandoni la propria casa perché è ubicata in un terreno di proprietà del governo.
Spiega con un tono di voce disperato: “Chi vorrebbe una tale vita per sé e per i propri figli? Sia la situazione che il governo sono contro di noi! Come se avessimo scelta!”.
Ha aggiunto: “Abbiamo sogni urgenti da realizzare e un'altra vita lontano dalla morte e dalla miseria. La nostra situazione non era assolutamente migliore di altre durante l’ultima guerra; in realtà era peggiore, avendo a che fare con la morte e i funerali tutto il giorno tutti i giorni. Nulla può essere più dannoso di questo per la salute mentale dei miei figli”.
Come altre famiglie di Gaza, la famiglia Jilu combatte con la spaventosa situazione economica dovuta all’assedio israeliano. Nonostante i loro tentativi disperati di lasciare il cimitero, non sono riusciti a trasferirsi. I Jilu sono ancora intrappolati tra l’alternativa di essere cacciati e quella di non avere un’altra casa, alternativa al crescente – e soffocante – numero di tombe attorno a loro. Vivere in mezzo ai morti è un’amara realtà per animi che sognano una vita migliore.
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo:
http://electronicintifada.net/v2/article10537.shtml