Piccolo Belzebù Introvigne contro i revisionisti


Massimo Introvigne ha scritto nei giorni scorsi un articolo in cui attacca i revisionisti dell’Olocausto.[1] Su Introvigne esiste un corposo (e qualificato) dossier sul sito di Miguel Martinez[2]. Alle inesattezze di Introvigne risponde Serge Thion, cui segue una mia postilla.

Andrea Carancini

SALVARE I LEFEBVRIANIUn commento all’articolo di IntrovigneLe origini di sinistra del negazionismo dell’Olocausto

Di Serge Thion, 10 Maggio 2009[3]

Massimo Introvigne è autore, largamente screditato, di una quantità industriale di libri sulle “nuove religioni”, di cui è sospettato essere – da molti anni - un propagandista occulto. E’ considerato vicino all’Opus Dei e ad altre correnti ultraconservatrici della Chiesa Cattolica, se non addirittura un sostenitore delle sette.

Ma dimentichiamo per un attimo le sue dubbie origini e il suo tortuoso orientamento politico e concentriamoci sull’immagine che dà delle origini di quello che lui chiama, insieme a molti altri cripto-sionisti, il negazionismo, o negazione dell’Olocausto. Naturalmente, nessuno che venga bollato in tal modo accetta questa definizione ridicola. I “negazionisti” non hanno lo scopo di “negare” nulla: essi richiamano l’attenzione sulla debolezza di alcune versioni ufficiali della seconda guerra mondiale e intendono correggerle, nel senso di riscrivere la storia per farla quadrare con i fatti reali. Per questa ragione, essi credono che la parola giusta è “revisione”, di qui il termine “revisionisti”. La definizione scelta da Introvigne tradisce un punto di vista pregiudiziale e un’implicita ostilità. I revisionisti sono abituati a questo approccio fazioso.

Reagendo all’affare Williamson, egli dice che la versione dei media, secondo cui il revisionismo è un fenomeno “di destra” o ascrivibile al “fascismo” sembra “plausibile” ma non è vera. Egli non spiega che quest’immagine viene da una propaganda puramente ebraica, che martella da 40 anni lo stesso tema per screditare il revisionismo e rifiutare di discuterne gli argomenti.

Egli dice che il “negazionismo” si compone di tre elementi. Esso nega che il regime nazista abbia mai avuto l’intenzione di sterminare gli ebrei (in realtà, i revisionisti dicono che non vi sono documenti per provare che vi fosse una tale intenzione. Finora gli storici non sono riusciti a fornire tali documenti, e non riescono a spiegare il perché). Esso nega l’esistenza delle camere a gas (i revisionisti dicono che nessun luogo identificato come una “camera a gas” è stato dimostrato che fosse veramente tale. Di solito essi dimostrano che era fisicamente impossibile). Ed esso riduce il numero degli ebrei uccisi nei campi a tal punto che queste cifre tendono allo zero. Questa è una patente menzogna. Le cifre vengono sempre discusse dagli storici. Le autorità dei musei dei vari campi hanno ampiamente ridotto i numeri degli uccisi forniti dopo la guerra dagli alleati. Si tratta di un fenomeno normale e mostra che c’è ancora del lavoro da fare in base ai documenti. Tra i revisionisti, non c’è accordo su nessuna cifra, ma certamente nessuno prende in considerazione una cifra prossima allo zero.

Introvigne inventa una nuova sociologia con un nuovo concetto di “conoscenza scartata” – scartata dall’opinione degli accademici. Naturalmente, la storia delle idee è sempre caotica e le idee possono avere un breve spazio di vita. Ma creare una categoria di “conoscenza scartata” sembra un punto di vista dogmatico o staliniano, che diventa rapidamente insostenibile. Egli si riferisce anche agli eventi dell’11 Settembre, senza accorgersi che anche la tesi ufficiale è “complottista”. Se 19 arabi hanno deciso di colpire le Torri, è stato un complotto arabo. Non c’è nessun attacco a sorpresa senza un complotto. Lasciamo stare questa storia ridicola. Egli aggiunge anche un’altra fandonia: il Vescovo Williamson avrebbe frequentato questi negazionisti dell’11 Settembre e sarebbe stato progressivamente attratto verso il negazionismo dell’Olocausto. Niente è più lontano dalla verità. Il Vescovo Williamson si interessò, mentre era in Canada, ai processi canadesi di Ernst Zündel (del 1985 e del 1988) e si convinse che il revisionismo aveva ragione quando vide la misera performance dei testimoni a favore della storia ebraica ufficiale. Introvigne non ha saputo cogliere questo importante aspetto della questione. Williamson è un “figlio legittimo” di Zündel. L’espansione del revisionismo ha delle spiegazioni logiche e razionali. Chiunque può convincersene, qualunque siano le sue convinzioni religiose, politiche e nazionali.

Passando alla storia del “negazionismo dell’Olocausto” egli parla, giustamente, di Bardèche, uno scrittore francese, di idee fasciste, ma non menziona i suoi libri – Nuremberg ou la Terre promise, e Nuremberg ou les faux-monnayeurs - che provocarono una controversia a Parigi nel 1948, e una condanna al carcere per il loro autore. Fu una conseguenza dell’incauta pubblicazione delle trascrizioni del Processo di Norimberga, che diede ad ogni lettore l’opportunità di seguire il processo e di valutare le testimonianze, i documenti, i commenti degli avvocati - e di porsi delle domande. Anche Rassinier fu un lettore avido e meticoloso di questi 42 volumi, così come lo sono stati Faurisson, Mattogno, Porter (che ha letto anche le trascrizioni del Processo di Tokio) e molti altri. Si tratta della Bibbia dei revisionisti e all’epoca non esisteva nessun altro studio e nessun’altra raccolta di documenti su questo avvenimento. Non esiste una traduzione italiana. La traduzione russa non è mai stata pubblicata. Pensiamo a tutto ciò! Anche se spesso viene dimenticato, il primo libro sull’argomento venne scritto da uno scrittore svizzero, Gaston Amaudruz, e pubblicato a Parigi: Ubu Justicier. Ma Introvigne attribuisce la nascita del revisionismo a un autore di sinistra, Paul Rassinier, anche se lui non sa che questi due autori – Rassinier e Bardèche – ebbero una corrispondenza, che qualche volta è stata citata nelle loro biografie. La conoscenza di Introvigne della carriera politica di Rassinier è un po’ scarsa. Egli ritiene, a torto, che Rassinier divenne un pacifista dopo la seconda guerra mondiale. In realtà Rassinier pacifista lo è sempre stato, come quelli che avevano combattuto nella prima guerra mondiale e avevano visto i massacri nelle trincee. All’epoca era troppo giovane per essere arruolato, ma suo padre lo era stato, e riportò a casa la visione di quegli eventi terribili. Come altri scrittori ben conosciuti, come Louis-Ferdinand Céline o Jeab Giono, pensava che niente potesse giustificare la ripetizione di quell’ecatombe. Egli si unì alla Resistenza contro i nazisti, a condizione di non essere coinvolto in nessuna violenza contro gli occupanti. Si dedicò alla fabbricazione di false carte di identità per quelli che cercavano di fuggire nella vicina Svizzera, di cui la maggior parte ovviamente erano ebrei. Le torture da lui sofferte per mano della Gestapo lo resero invalido per il resto della sua vita, la qualcosa è sufficiente, ritengo, a dissipare ogni idea che egli fosse favorevole ai nazisti, o una vittima della cosiddetta sindrome di Stoccolma, come qualche autore talvolta afferma.

Egli non fu mai un anarchico integrale ma fu piuttosto un socialista libertario, che mantenne buoni rapporti con i gruppi anarchici e anarco-comunisti, soprattutto sulla base di un pacifismo radicale. Per quanto sia strano, questo tipo di persone dell’ultrasinistra sembra essere scomparso, probabilmente insieme alla generazione che ebbe un’esperienza personale dei massacri della prima guerra mondiale. Per contro, la maggior parte dei massacri della seconda guerra mondiale ricaddero sui civili (piuttosto che sui militari) e furono massiciamente concentrati nell’Europa orientale e in Unione Sovietica – e, naturalmente, in Germania, sebbene gli effetti mortiferi dei bombardamenti a tappeto anglo-americani in Francia, in Italia, e in altri paesi occidentali non debbono essere dimenticati. I bombardamenti massicci contro i civili e i massacri sono fatti quotidiani in Afghanistan e in Pakistan, ma il livello di protesta in Occidente è molto basso.

Non è vero che Rassinier inventò l’argomento della non-esistenza delle camere a gas. Egli pensava che ve ne era stata qualcuna (in base all’argomento che “il n’y a pas de fumée sans feu”) ma argomentò che i casi in questione si trovavano all’epoca (dopo la guerra) oltre la cortina di ferro, e che era impossibile interrogare gli aspiranti testimoni e verificare le loro storie. I sovietici, che erano impegnati in una massiccia ristrutturazione dei campi di concentramento, non lo permettevano. Essi rifornivano il Tribunale Militare Internazionale di documenti, dichiarazioni giurate, interrogatori di polizia e prove che nessuno poteva verificare. In Occidente, per contro, Rassinier poteva mettere in discussione i testimoni e analizzare le loro invenzioni. Secondo Rassinier, quelli che avevano inventato così tante storie, riciclate dalla propaganda di guerra, erano i sovietici, non gli ebrei. Nadine Fresco, Pierre Vidal-Naquet, Florent Brayard e molti altri, si ingannano, cercando di dimostrare che Rassinier era antisemita. Già Lecache e Pierre-Bloch avevano cercato di stabilirlo come un fatto in una serie di processi dopo la pubblicazione de La Mensonge d’Ulysse. Ma nello stesso tempo, come possiamo vedere nella corrispondenza non pubblicata tra Rassinier e Albert Paraz, che scrisse la prefazione alla prima edizione della Mensonge, Rassinier scherzava sulla credulità dei leader delle organizzazioni ebraiche, che inghiottivano le invenzioni dei sovietici senza un atteggiamento critico. Egli pensava che fossero vittime della propaganda del Leviatano.

Egli, da parte sua, aveva un atteggiamento critico ed era scettico. Ricordava di essersi bevuto da giovane la mitologia comunista, e la cosa lo rendeva molto cauto. Egli capì che nessuno dei racconti sulle camere a gas in Occidente, Germania inclusa, resisteva a un controllo incrociato, e che i testimoni erano dei puri e semplici mentitori. Ma la storia era massicciamente ancorata in Oriente, in Polonia, dove il KGB menava le danze, e lui non poteva viaggiare e verificare i racconti forniti dai testimoni di marca comunista. Inoltre, gli ebrei comunisti erano al vertice e perpetuavano la propaganda di guerra. Egli sollevò dubbi sulle camere a gas ma disse che non poteva raggiungere una certezza. Questa venne raggiunta dai suoi successori, Ditlieb Felderer e Robert Faurisson che, una generazione dopo, potevano inoltrarsi nella Polonia comunista e trovare documenti negli archivi semi-aperti che stavano lì. I testimoni, in gran parte, o erano già morti o si erano trasferiti in Israele. E’ stato Claude Lanzmann che li ha rintracciati lì, li ha pagati profumatamente con valuta israeliana e li ha filmati in quell’esercizio propagandistico conosciuto come il film Shoah.

L’ossessione di Rassinier dopo la guerra fu quella di filtrare i racconti di guerra ed eliminare le invenzioni delle centrali della propaganda nera per riuscire a raggiungere la verità, come era stato fatto dopo la prima guerra mondiale da parte di autori ben conosciuti come H. E. Barnes negli Stati Uniti, Arthur Ponsonby in Inghilterra e Jean-Norton Cru in Francia (Témoins). Per lui, si trattava di un’opera legittima, razionale e oltremodo necessaria. Non poteva prevedere che l’instaurarsi in Europa della Guerra Fredda avrebbe congelato le posizioni della seconda guerra mondiale e avrebbe perpetuato i temi della propaganda nera. Le critiche venivano viste come una sorta di tradimento. E Rassinier, prima in Parlamento, poi nei tribunali e sulla stampa mainstream, quindi nei libri di storia e di nuovo sulla grande stampa, viene trattato come un traditore, come un attivista pro- o neo-nazista, il che è semplicemente ridicolo. Ovviamente il tempo per un giudizio equilibrato, che tenga conto dei suoi errori o delle sue scelte malaccorte, ma anche della sua ricerca solitaria e coraggiosa e dei risultati da lui raggiunti, ancora non è arrivato.

Introvigne sbaglia quando qualifica Rassinier di essere stato un “dirigente importante di organizzazioni anarchiche e pacifiste”. Non era un leader. La sua attività non era organizzativa ma analitica: scrisse un flusso continuo di articoli di economia e, come attività collaterale, di politica, non dimenticando le sue origini marxiste. In realtà, egli predilesse quest’attività dall’inizio degli anni trenta fino alla morte.[4] Ovviamente, Introvigne non è preparato. E riguardo ai suoi commenti su Bordiga, e su altri esponenti dell’estrema sinistra, mi sembra che un’esponente di destra come lui non sia qualificato. Ricalcando Valérie Igounet e la sua scarsa erudizione, egli dice che Pierre Guillaume (La Vieille Taupe) fu “il più importante leader militare del movimento del Maggio del ’68 francese a Parigi”. Questo è totalmente ridicolo: il Maggio 68 non ebbe alcun aspetto militare. D’altronde, quello che dice sul pamphlet bordighista “Auschwitz o il Grande Alibi” è più o meno esatto, sebbene esso non abbia avuto alcun ruolo nella formazione del revisionismo. Egli ha ragione a non attribuire il saggio allo stesso Bordiga; venne scritto a Parigi e abbiamo fornito il nome del suo autore: Axelrod (soprendentemente, è lo stesso nome del più stretto consigliere di Obama…). Egli si sbaglia nel dire che la Vieille Taupe “inserì” la tesi di Faurisson in un contesto bordighista. E’ una pura fandonia. Guillaume non è mai stato un “bordighista”, né nessun altro della Vieille Taupe. Dopo di che, Introvigne tratta il ruolo di un piccolo gruppo che pubblicò La Guerre Sociale, e altri elementi di sinistra.[5] Egli non coglie il significato generale di queste controversie che, va riconosciuto, hanno qualcosa di bizantino.

Volgendosi all’estrema destra, Introvigne giustamente menziona François Duprat, che morì nel 1978 in un attacco terroristico con una bomba messa sulla sua macchina. Sebbene fosse un attivo revisionista, non si può dire per quale precisa ragione venne ucciso. Gli assassini non vennero mai identificati. Ma la nostra conoscenza di quel periodo ci indirizza verso qualche servizio segreto. Introvigne dimentica di menzionare il ruolo di Duprat nella pubblicazione in lingua francese – e nella sua massiccia distribuzione – di un pamphlet inglese, Did Six Million Really Die? [Ne sono morti davvero sei milioni?] che fu realmente il punto di partenza della consapevolezza pubblica del revisionismo. Introvigne cerca di coprire i lefebvriani ma tutti sanno che essi furono molto solidali con la tesi revisionista, fin dall’inizio. Per anni, Pierre Guillaume ha distribuito volantini, la domenica mattina, nella chiesa lefebvriana di Saint-Nicolas-du-Chardonnet a Parigi. Quest’imbarazzata negazione mostra lo scopo dell’articolo di Introvigne: tenere i cattolici di destra il più lontano possibile dalla tentazione revisionista. Inchinarsi agli ebrei e tenere un basso profilo. Imitare Ratzinger. Naturalmente, non tutti i lefebvriani sono come Mons. Williamson, ma egli è rappresentativo di almeno una gran parte di loro. Anche se questo non appare nei discorsi pubblici. Questo è il caso di un gran numero di persone. Alcuni sondaggi hanno dato un 20% favorevole al revisionismo. Ma sempre come opinione privata. Questa dittatura delle leggi ingiuste è un fenomeno molto antico. Ma il diritto di combatterle lo è altrettanto.

POSTILLA

Di Andrea Carancini

L’articolo di Introvigne è interessante per due ragioni:

1. Al di là dei contenuti, esso nasce dalla paura che le argomentazioni del revisionismo diventino di dominio pubblico. Per rendersene conto basta leggere su internet considerazioni del genere: “«Quali sono queste inconfutabili prove storiche che dimostrano che le camere a gas non furono usate per sterminare delle persone? Nel video dell’intervista al “vescovo” Williamson riportato dal Corriere Online non ce n’era traccia. (…) Quello che mi stupisce è che nessuno neghi le affermazioni dei lefevriani citando dati di fatto, studi scientifici, letture varie che abbiano saputo tener testa e affondare le tesi del rapporto Leuchter e i suoi successivi approfondimenti e sviluppi. (…) Continuo a chiedere che si faccia luce su una questione importante e chi conosca prove inconfutabili ne dia notizia. Aiutando a capire» (da un commento apparso su Corriere.it). Di fatto occorre riconoscere che si sta delineando una realtà preoccupante. Il negazionismo «sta facendo breccia; cresce il numero di chi non osa ammetterlo, ma viene impressionato e turbato da certe argomentazioni. E sapete perché? Per il fatto che se ne perseguitano i sostenitori e che li si condanna senza dar loro il diritto di parlare e senza controbattere. Ma in questo modo si crea nell’opinione pubblica la crescente sensazione che se ne abbia paura, e che essi stiano dicendo cose vere: e questo sì può costituire la premessa a una nuova ondata di pregiudizio antisemita» (Franco Cardini)".[6]

2. A un certo punto del suo articolo, Introvigne ascrive il revisionismo a “una certa sinistra anarchica, insurrezionalista e “comunista di sinistra””. Il termine "anarchica" associato a "insurrezionalista" farà alzare il sopracciglio a qualche ispettore della Digos. Questo dimostra che Introvigne, se ha perso il gusto – e da un pezzo – del rigore scientifico, non ha perso il gusto della delazione.[7] Il peso politico del “nostro”, però, negli ultimi anni sembra un po’ ridimensionato.

Quindi, il problema dei nemici del revisionismo rimane il medesimo: quello di trovare “dati di fatto, studi scientifici, prove inconfutabili”, come qualcuno comincia a chiedere. Non sembra un problema di facile soluzione.

[1] http://www.cesnur.org/2009/mi_negazionismo.htm
[2] http://www.kelebekler.com/cesnur/ita.htm
[3] Traduzione di Andrea Carancini
[4] Una collezione dei suoi articoli, come pure tutti i suoi libri, sono disponibili a chiunque voglia farsi un’opinione: http://www.vho.org/aaargh/fran/archRassi/archRassi.html
[5] I lettori interessati possono consultare i documenti di quel periodo sul sito aaargh suddetto.
[6] http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=19254
[7] Introvigne riuscì nel 1998 a far inserire nel “Rapporto sulle sette” del ministero dell’Interno i suoi ex amici lefebvriani: http://www.alleanzacattolica.org/indici/articoli/introvignem277.htm . Dieci anni dopo “segnalava” dalle colonne de Il Giornale il Campo Antimperialista: http://www.cesnur.org/2007/mi_07_31.htm .