D'Ambrosio e Pinelli: un "malore" attivo da quarant'anni


IL GIUDICE D’AMBROSIO E PINO PINELLI: UNMALOREATTIVO DA QUARANT’ANNI

Di Andrea Carancini

La decisione del Presidente Giorgio Napolitano di “restituire l’onore” a Giuseppe Pinelli in occasione della giornata dedicata alle vittime del terrorismo ha provocato una polemica tra l’ex leader di Potere Operaio Oreste Scalzone e Gerardo d’Ambrosio, giudice istruttore all’epoca della morte dell’anarchico.

A proposito della famosa definizione di “malore attivo” quale causa della morte di Pinelli, Scalzone ha argutamente osservato che tale definizione fu “il frutto del compromesso storico ante litteram”.[1]

Ciò ha suscitato l’irritazione di D’Ambrosio, che in un’intervista a Repubblica, ha commentato: “Ma che compromesso…Fu Panorama a usare l’espressione, non io”.[2]

Non è la prima volta che D’Ambrosio nega risolutamente di aver mai pronunciato l’espressione “incriminata”. Nel 2002, incalzato da Adriano Sofri, aveva infatti detto: “Io non ho mai parlato di “malore attivo”, né l’ho mai scritto nella mia sentenza”.[3]

Vediamo allora cosa scrisse Gerardo D’Ambrosio nella sua sentenza:

“Ciò posto è opportuno precisare che nel termine malore ricomprendiamo non solo il collasso che, com’è noto, si manifesta con la lipotimia, risoluzione del tono muscolare e piegamento degli arti inferiori, ma anche con l’alterazione del “centro di equilibrio” cui non segue perdita del tono muscolare e cui spesso si accompagnano movimenti attivi e scoordinati (c. d. atti di difesa)”.[4]

Come si vede, anche se D’Ambrosio non usò l’espressione alla lettera, i termini corrispondono. Ma, al di là dei termini, rimane l’impressione di opacità di quella famosa sentenza, sulla quale già nel 1989 lo storico Aldo Giannuli osservava quanto segue:

“A dare il colpo di grazia alla credibilità di questa sentenza ci ha poi pensato recentemente, ed in modo del tutto involontario, il giudice Beria d’Argentine, noto leader della corrente di sinistra moderata della magistratura Impegno Costituzionale. In occasione delle polemiche sul caso Sofri-Marino-Calabresi, Beria d’Argentine ha dichiarato di essersi accorto di aver avuto il telefono – e che lo fosse quello del procuratore generale di Milano Bianchi d’Espinosa – sotto controllo (senza alcuna autorizzazione della magistratura) nel Giugno del 1972. In quella occasione, infatti, Bianchi d’Espinosa lo avrebbe chiamato dal suo letto d’ospedale (dove sarebbe morto di lì a poco per un tumore) per dirgli che il giudice istruttore D’Ambrosio stava giungendo, in coscienza, alla conclusione che Pinelli era morto accidentalmente e temeva che questa decisione avrebbe potuto scatenare reazioni delle sinistre dalle quali occorreva difendere D’Ambrosio che era un magistrato giovane e coscienzioso; una voce interruppe la telefonata per dire a Bianchi d’Espinosa “e allora maiale perché hai fatto riaprire l’inchiesta?”. E’ evidente che Beria d’Argentine condivida ancora oggi il parere attribuito a Bianchi d’Espinosa e che abbia rivelato l’episodio per avvalorare la tesi contenuta nella sentenza di d’Ambrosio. Ma, al di là, dell’episodio dell’intercettazione, resta un problema: come mai D’Ambrosio era giunto a queste conclusioni sin dal Giugno del 1972, quando mancava l’esito di diverse perizie e a ben tre anni dal deposito della sentenza? A che scopo, allora, proseguire l’inchiesta e depositare la sentenza tanto tempo dopo?”.[5]

Già, a quale scopo? Eppure, nonostante (nonostante?) certe ombre, Gerardo D’Ambrosio gode di ampia fama di giudice democratico e di ricercatore indefesso della verità, anche in relazione a Piazza Fontana. Quando nel 2005, la Cassazione chiuse definitivamente la vicenda giudiziaria di quella strage, D’Ambrosio espresse pubblicamente il proprio rammarico per gli “ostacoli” posti sulla sua strada all’epoca in cui era giudice istruttore.[6] Ma, a detta della Fondazione Cipriani, “fu proprio lui e il foro milanese ad ignorare le connessioni che avrebbero portato ad incriminazioni ben diversamente solide, motivate e supportate da prove”.[7]

Secondo questa ricostruzione, anche il “malore” attribuito a Pinelli fu “utile a chiudere le indagini sulla costruzione del depistaggio [da parte del ministero dell’Interno in direzione della pista anarchica] e quindi negare le responsabilità di Stato nella strage, oltre che nella morte di Pinelli”.[8]
Continua la Fondazione Cipriani: “E quando il giudice Guido Salvini ed il capitano dei Ros Massimo Giraudo si avvicinarono pericolosamente al cuore del problema inquadrando il disegno stragista nella guerra fredda e nell’azione dei servizi interni ed internazionali, ecco un altro “campione di verità”, il giudice veneziano Felice Casson (formalmente attivatosi su un esposto di Carlo Maria Maggi, reggente di Ordine Nuovo per il triveneto ed informatore dei servizi) cominciare il tiro al piccione contro di loro, ancora aiutato nell’opera dai giudici milanesi.

Già, il giudice Salvini. Ecco cosa dice nella sua intervista a Luciano Lanza pubblicata nel volume Bombe e segreti:

“L’errore più catastrofico per il possibile sviluppo dell’indagine è stato l’arresto, richiesto dalla procura [di Milano] nella primavera 1996, senza nemmeno informarmi, di quattro “favoreggiatori” di Zorzi e Maggi che, a Mestre, nelle intercettazioni ambientali stavano parlando a ruota libera, fornendo inconsapevolmente moltissime indicazioni interessanti. Ovviamente dopo il loro arresto, seguito ben presto dalla scarcerazione per decorrenza dei termini (il favoreggiamento è un reato abbastanza lieve), quel canale si è chiuso e non è stata più acquisita alcuna informazione. Qualsiasi investigatore, secondo me, non avrebbe tolto dalla scena, sino alla richiesta di arresto, avvenuta nel 1997, di Maggi e Zorzi, e forse nemmeno dopo, le pedine che commentavano quotidianamente i fatti oggetto delle indagini e il loro sviluppo. Probabilmente gli arrestati sono stati i primi a esserne stupiti. In bene o in male, in termini di colpevolezza o di innocenza, non si chiude il rubinetto di notizie che scorre spontaneamente dall’ambiente degli indagati. E qui mi fermo perché solo su come le indagini si sono bendate eautodepistateda sole ci sarebbe da scrivere un libro”.[9]

Naturalmente, dopo tante benemerenze, sia D’Ambrosio che Casson sono approdati (nel 2006) in Parlamento (ed entrambi nel partito “democratico” per antonomasia: il PD). Inutile dire che nessun partito ha concesso un’analoga opportunità al giudice Salvini...
[1] http://notizie.virgilio.it/notizie/politica/2009/05_maggio/09/pinelli_scalzone_riconosciuto_l_omicidio_di_stato,19089367.html
[2] La Repubblica, domenica 10 Maggio 2009, p. 3.
[3] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/05/18/sofri-contesta-ambrosio-il-procuratore-avevo-ragione.html
[4] Adriano Sofri (curatore), Il malore attivo dell’anarchico Pinelli, Sellerio Editore, Palermo, 1996, pp. 63-64.
[5] Ivi, p. 95.
[6] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2005/05/04/emozione-di-ambrosio-ma.html
[7] http://www.fondazionecipriani.it/Riflessioni/piazza_fontana.htm
[8] Ibidem.
[9] Luciano Lanza, BOMBE E SEGRETIPiazza Fontana: una strage senza colpevoli, Milano, 2005, p. 167.