Ricordare Rachel Corrie


GIUSTIZIA PER RACHEL, GIUSTIZIA PER I PALESTINESI

Di Cindy e Craig Corrie, The Electronic Intifada, 16 Marzo 2009[1]

Ringraziamo tutti coloro che continuano a ricordare Rachel e che, in questo sesto anniversario della sua azione di resistenza a Gaza, rinnovano il proprio impegno per i diritti umani, per la giustizia e per la pace in Medio Oriente. I tributi e le azioni in sua memoria sono una fonte di ispirazione per noi e per altri.

Venerdì 13 Marzo, abbiamo appreso della tragica ferita dell’attivista americano Tristan Anderson. Tristan è stato colpito alla testa con un candelotto di gas lacrimogeno nel villaggio di Nilin, in Cisgiordania, quando le forze israeliane hanno attaccato una dimostrazione contro la costruzione del muro di annessione in mezzo alle terre del villaggio. Nello stesso giorno, un residente di Nilin è stato colpito ad una gamba da un proiettile. Negli ultimi otto mesi sono stati uccisi quattro residenti di Nilin mentre i paesani e i loro sostenitori stavano dimostrando coraggiosamente contro il Muro dell’Apartheid, ritenuto illegale dalla Corte Internazionale di Giustizia – un muro che alla fine assorbirà un quarto delle terre rimanenti del villaggio.

Quelli che sono morti sono il bambino di 10 anni Ahmed Mousa, colpito alla fronte da un proiettile il 29 Luglio del 2008; Yousef Amira, di 17 anni, colpito con pallottole di acciaio rivestite di gomma il 30 Luglio del 2008; Arafat Rateb Khawaje, di 22 anni, e Mohammed Khawaje, di 20 anni, entrambi colpiti e uccisi da pallottole l’8 Dicembre del 2008. In questo anniversario, Rachel vorrebbe che noi tutti ricordassimo Tristan Anderson e la sua famiglia - e questi palestinesi e le loro famiglie - nei nostri pensieri e nelle nostre preghiere, e chiediamo a tutti di farlo.

Stiamo scrivendo questo messaggio dal Cairo, dove siamo ritornati dopo una visita a Gaza dagli Stati Uniti con la delegazione Code Pink[2]. Sabato 7 Marzo, cinquantotto donne e uomini sono riusciti con successo a passare attraverso il valico di Rafah per sfidare la chiusura dei confini e lo stato di assedio e per celebrare il Giorno Internazionale delle Donne insieme alle donne forti e coraggiose di Gaza.

Rachel sarebbe molto contenta che la nostra vivace delegazione abbia fatto questo viaggio. Viaggiando da nord a sud attraverso la Striscia, abbiamo assistito alla distruzione radicale di quartieri, edifici municipali, stazioni di polizia, moschee e scuole – vittime degli attacchi militari israeliani di Dicembre e di Gennaio. Quando abbiamo chiesto dell’impatto personale degli attacchi su coloro che abbiamo incontrato, abbiamo sentito più volte della perdita di madri, padri, figli, cugini e amici. Il Palestinian Centre for Human Rights riferisce di 1.434 palestinesi morti e di più di 5.000 feriti, tra i quali 288 bambini e 121 donne.

Abbiamo camminato per il villaggio agricolo di Khoza, nel sud, dove sono state distrutte 59 case durante l’invasione di terra. Un ragazzino si è inerpicato in un pertugio tra le macerie per mostrarci il seminterrato in cui lui e la sua famiglia si sono accovacciati, mentre un bulldozer demoliva la loro casa sopra di loro. Abbiamo sentito parlare di Rafiya, che guidava le donne e i bambini terrorizzati del suo quartiere lontano dai minacciosi bulldozer militari israeliani, solo per essere abbattuta e uccisa da un cecchino israeliano mentre camminava per strada portando la sua bandiera bianca.

Ci è stato ripetutamente detto dai palestinesi, e dai rappresentanti delle organizzazioni internazionali che li sostengono, che il cessate-il-fuoco non c’è. In realtà, le esplosioni delle bombe dalla zona di confine hanno punteggiato la nostra conversazione dal nostro arrivo alla nostra partenza da Gaza. Durante la nostra ultima notte, stavamo davanti ad un fuoco al chiaro di luna in mezzo alle rovine dell’aia di un amico, e abbiamo sentito raccontare da lui di come l’esercito israeliano ha distrutto la sua casa nel 2004, e di come questa seconda casa è stata fatta a pezzi il 6 Febbraio scorso. Questa volta, è stato un missile israeliano partito da un elicottero Apache a colpire la casa. E’ rimasto un campo di frumento, e frusciava leggermente nella brezza mentre parlavamo, ma la nostra attenzione si è spostata di colpo quando gli F-16 sono sfrecciati in alto, nel cielo notturno, e il nostro amico ha spiegato che se gli aerei si fossero piegati da un lato, avrebbero colpito.

Dovunque, i costi psicologici degli attacchi recenti - e ancora in corso - su tutti i gazani, ma specialmente sui bambini, erano tristemente evidenti. Non sono solo quelli che hanno sofferto le perdite più grandi a portare i segni di tutto quello che è successo. Sono anche quelli che hanno assistito, dalla loro scuola, ai corpi che volavano quando i cadetti della polizia sono stati bombardati dall’altra parte della strada, e quelli che hanno sentito gli scoppi terribili dei missili cadere vicino alle proprie case. E’ il bambino che ogni giorno deve andare oltre la distruzione inspiegabile e disumana che è avvenuta.

Nel caso di Rachel, sebbene sia stata promessa dal governo israeliano un’indagine approfondita, credibile e trasparente, dopo sei anni la posizione del governo americano è che una tale indagine non ha avuto luogo. Nel Marzo del 2008, Michele Bernier-Toff, Amministratore Delegato dell’Office of Overseas Citizen Services [Dipartimento dei servizi per i cittadini all’estero], ha scritto: “Abbiamo chiesto in continuazione che il governo di Israele conduca un’indagine completa e trasparente sulla morte di Rachel. Le nostre richieste sono rimaste senza risposta o ignorate”. Ora, gli attacchi su tutto il popolo di Gaza e quello contro Tristan Anderson a Nilin reclamano indagini e senso di responsabilità. Ci appelliamo al Presidente Barack Obama, al Segretario di Stato Hillary Clinton e a i membri del Congresso affinché agiscano con forza d’animo e coraggio per fare in modo che delle atrocità accadute venga data risposta sia dal governo israeliano che mediante le leggi internazionali e americane di pertinenza. Chiediamo loro di agire subito e con ostinazione per fermare l’impunità di cui gode l’esercito israeliano, non per incoraggiarla.

Nonostante il nostro dolore, ci siamo sentiti ancora una volta dei privilegiati, per essere potuti entrare brevemente nelle vite degli amici palestinesi di Rachel a Gaza. Ci siamo commossi per la loro capacità di recupero e siamo stati rincuorati dai loro canti, dalle loro danze e dalle loro risate frammiste alle lacrime. Rachel scrisse nel 2003: “Sono comunque sbalordita dalla loro capacità di difendere gran parte della loro umanità – le risate, la generosità, il tempo familiare – contro l’incredibile orrore capitato alle loro vite…Sto anche scoprendo il grado di forza e di capacità essenziale degli esseri umani di rimanere umani nelle circostanze più spaventose…Penso che la parola sia dignità”. In questo sesto anniversario dell’uccisione di Rachel, facciamo eco ai suoi sentimenti.

Cindy e Craig Corrie sono i genitori di Rachel Corrie, che venne uccisa il 16 Marzo del 2003 dall’esercito israeliano mentre proteggeva dalla demolizione la casa di un dottore palestinese.
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://electronicintifada.net/v2/article10399.shtml
[2] Code Pink [Codice Rosa] è un’associazione pacifista che si costituì durante i preparativi della seconda guerra americana contro l’Iraq. Sebbene il gruppo sia stato fondato e sia guidato da donne, è bene accetta la partecipazione alle manifestazioni anche degli uomini.