Anche la Cassazione giudaizza

Giorni fa ho letto una notizia che mi ha fatto sobbalzare: “Cassazione, è reato dire a un ebreoL’Italia non è la tua terra” (http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=49403&sez=HOME_INITALIA ). Ecco il resoconto:
“Si rischia una condanna per ingiuria se si dice a un ebreo che l’Italia non è la sua terra. A stabilirlo la Cassazione che ha convalidato la condanna prevista dall’articolo 594 c. p. nei confronti di Otto S., un 50enne di Trieste che si era rivolto al suo datore di lavoro di origine israeliana dicendogli: “Questa non è terra di ebrei, questa è l’Italia e tu devi rispettare il codice civile”.

L’espressione, secondo la Cassazione, era da censurarsi “tenuto conto che l’imputato aveva lamentato di essere stato adibito illegittimamente a mansioni lavorative dequalificanti, rispetto a quelle per cui era stato assunto”.

Eppure il fatto che Israele sia “terra di ebrei”, di per sé, non ha alcun significato spregiativo: è la pura verità.

Non è neanche falso, poi, il fatto che in Israele i cittadini non ebrei siano abitualmente discriminati dalle leggi di quello Stato. Leggiamo cosa dice in proposito un profondo conoscitore del giudaismo (e dello Stato di Israele) quale Ariel Levi di Gualdo:

“Per sua definizione giuridica lo Stato d’Israele appartiene unicamente a coloro che le Autorità israeliane definiscono ebrei. A stabilire chi è ebreo è l’Autorità religiosa, che in base al responso dei rabbini stabilisce se il cittadino debba essere di prima o di terza categoria o se può beneficiare di quei diritti riservati dalla legge ai soli appartenenti allarazzapura. Lo Stato non appartiene ai suoi cittadini non ebrei, la cui condizione di fatto è considerata inferiore. Il concetto che il nuovo Stato d’Israele era uno stato “ebraico” fu ribadito sin dalla sua fondazione da tutta la classe politica. Quando nel 1985 una piccola minoranza di ebrei cittadini d’Israele contestò questo concetto, il Parlamento approvò una legge costituzionale stabilendo che, i partiti che si oppongono al principio dello Stato “ebraico” e propongono modifiche a questo impianto, non possono presentare candidati da eleggere al Parlamento.
(…)
Il sionista gioioso che esalta l’esistenza di centri per la ricerca all’avanguardia non cancella che in quel paese la discriminazione dei non ebrei è praticata con leggi dello Stato. E’ scandaloso che a molti arabi residenti su quel territorio già da prima della nascita dello Stato d’Israele non siano riconosciuti diritti di cui godono anche i mafiosi nati e vissuti in Russia, legittimi padroni di quella terra solo perché di “razza” ebraica".[1]

Questa sentenza della Cassazione mi ha fatto tornare in mente, per assonanza, il caso del povero prof. Valvo, quel docente del Liceo Artistico di Via Ripetta, a Roma, a suo tempo denunciato per “istigazione al razzismo” per aver detto, tra l’altro che “gli ebrei non sono italiani”.[2]

Eppure, anche il prof. Valvo non è che avesse proprio tutti i torti. Diamo ancora la parola a Levi di Gualdo:

“Presso le Comunità Ebraiche d’Italia vige l’abitudine di cantare l’inno nazionale dello Stato d’Israele al termine delle festività solenni. La volta che ero presente in occasione di una celebrazione pasquale rimasi a sedere al mio posto, ben guardandomi dall’alzarmi in piedi. Il giorno dopo, il Capo Rabbino, ricevuta una nota di protesta mi chiese perentorie spiegazioni. Non esitai a rispondere che “obbligare degli italiani ad alzarsi in piedi come soldatini per cantare l’inno nazionale di un paese straniero è un insulto alla patria repubblicana; e davanti a un tale affronto qualsiasi italiano legato alle sue istituzioni non s’alza in piedi, se prima non è stato eseguito l’Inno Nazionale della Repubblica Italiana”.[3]

Non è certo per caso che accadono episodi come quello suddetto. Spiega infatti Levi di Gualdo che “i religiosi dello Stato d’Israele riescono a vincolare alle loro direttive le comunità mondiale di tradizione ortodossa”.[4] Secondo il rabbino Elia Artom, “E’ dovere di ogni ebreo, dovunque risieda, di sentirsi idealmente legato con lo Stato d’Israele […] il cittadino dello Stato d’Israele che presta servizio militare nell’esercito di quel paese adempie a un preciso obbligo stabilito dalla Torah […] anche gli ebrei residenti nella diaspora, che non possono essere obbligati per legge al servizio militare nello Stato d’Israele, hanno il dovere, specialmente in momenti di pericolo, di offrirsi spontaneamente alla difesa di esso”.[5]

Chiosa Levi di Gualdo a tal proposito: “Quando diversi italiani ebrei dovettero offrire un anno di vita per adempiere alla leva militare e presentarono domanda per il servizio alternativo come obbiettori di coscienza, in testa a tutti ci furono i figli dei rabbini, ai quali furono rilasciati certificati del Collegio Rabbinico per richiedere l’esenzione che la legge riconosce ai ministri dei culti riconosciuti e a coloro che si preparano a esserlo. In seguito, alcuni di questi giovani, si trasferirono nel divino Stato d’Israele e appena presa la cittadinanza svolsero subito quel servizio militare che si erano rifiutati di prestare nel proprio paese d’origine. Diversi italiani ebrei che avevano gabbato la leva militare nel loro paese, allo scoppio di alcune guerre si offrirono soldati volontari per il celestiale Stato Sionista”.[6]

In conclusione, mi sembra tendenzioso attribuire all'imputato triestino, come ha fatto il giornalista del Messaggero, l'espressione "L'Italia non è la tua terra". Dal contesto dell'articolo sembra infatti che l'imputato intendesse dire che l'Italia non è uno stato ebraico, che non è esattamente la stessa cosa.

Leggendo di casi come questo, viene proprio da ripensare a Pinocchio, quando venne derubato delle sue monete d’oro: “Allora il giudice, accennando Pinocchio ai gendarmi, disse loro: Quel povero diavolo è stato derubato di quattro monete d’oro: pigliatelo dunque e mettetelo subito in prigione”.[7]

[1] Ariel Levi di Gualdo, Erbe amare, Bonanno Editore, Acireale-Roma, 2007, pp. 194-195.
[2] http://espresso.repubblica.it/dettaglio-local/2049700
[3] Ariel Levi di Gualdo, op. cit., p. 141.
[4] Ivi, p. 158.
[5] Ivi, p. 159.
[6] Ibidem.
[7] Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio, Fratelli Fabbri Editori, Milano, 1965, p. 95.