Il precedente di Guantanamo e di Abu Ghraib


MALMEDY E McCARTHY

Di Freda Utley (1954)[1]

Gli anticomunisti bene informati sanno quanto McCarthy avesse ragione quando denunciò e smascherò Owen Lattimore e il resto della banda responsabile della conquista comunista della Cina. Ma persino i migliori amici del Senatore di solito stanno zitti quando egli viene accusato di “aver difeso gli assassini nazisti” perché, nel 1949, osò contestare la validità delle confessioni ottenute con la violenza dai prigionieri di guerra tedeschi accusati del Massacro di Malmedy; e per di più insistette che anche ai nemici sconfitti non doveva essere negato un procedimento equo basato sul giusto processo.

Poiché pochi dei sostenitori di McCarthy sono stati coraggiosi quanto lui nello sfidare la coalizione denigratoria dei “liberal”, che ha diffamato chiunque chiedesse giustizia per i tedeschi, essi hanno lasciato che i suoi nemici facessero impunemente tutto quello che volevano, sia letteralmente che metaforicamente. Metaforicamente, perché hanno giocato sia sull’ignoranza che sulla vigliaccheria morale per colpire a morte la reputazione di McCarthy. Letteralmente perché sono stati i “professionisti del liberalismo” che hanno ispirato i processi per i crimini di guerra che hanno condannato a morte i prigionieri di guerra tedeschi, in base a prove che nessun tribunale degli Stati Uniti avrebbe considerato valide.

Ora che un vecchio ignorante del Vermont ha calunniato McCarthy nell’aula del Senato con la stessa falsa accusa lanciata da Drew Pearson, Elmer Davis e da altri farisei, è più che mai necessario rendere noti i fatti. Ma è improbabile che il New York Times, come altri giornali meno colpevoli di cancellare tutte le notizie scomode, renderà mai questo pubblico servizio. Né posso io, in un breve articolo, sperare di fare di più che confutare qualche menzogna e correggere alcune delle false informazioni vomitate dai liberal totalitari e dagli anti anti-comunisti.

Questa non è una questione che riguarda semplicemente la reputazione di McCarthy. Qualunque possa essere l’opinione del lettore sul senatore del Wisconsin, non può permettersi di ignorare le spaventose conseguenze dei processi imposti agli sconfitti da parte dei vincitori della seconda guerra mondiale. Lungi dallo scoraggiare altre nazioni dal commettere atrocità nelle guerre future, questi processi hanno annullato secoli di sforzi per stabilire regole civili di guerra. Perché essi hanno stabilito il terribile precedente che i vincitori sono immuni da punizioni, mentre gli sconfitti non possono avere la speranza di un processo equo. Il risultato finale del nostro ritorno al principio dei romani “guai ai vinti” è stato di incoraggiare il compimento di ogni e di qualunque atrocità che possa aiutare a vincere una guerra.

Fu già abbastanza immorale condividere a Norimberga il collegio giudicante con i sovietici, che avevano commesso, ed erano ancora attivamente impegnati a commettere, crimini contro l’umanità enormi e tremendi almeno quanto quelli della Germania nazista. Fu ancora peggio che l’articolo 6 della Carta che costituiva il “Tribunale Militare Internazionale” non prendesse in considerazione i crimini non commessi “nell’interesse dei paesi dell’Asse”. Dopodiché gli Stati Uniti e l’Inghilterra divennero complici post factum, avendo proibito di menzionare a Norimberga i crimini comunisti.

Il giudice Jackson, il principale accusatore americano, insieme ai nostri rappresentanti nel collegio giudicante, non ebbe esitazione a collaborare con i sovietici nel rifiutare di prendere in considerazione le prove presentate dal consiglio di difesa tedesco che dimostravano che i russi, e non i tedeschi, avevano ucciso 10.000 ufficiali polacchi nella foresta di Katyn. Il tribunale, al contrario, ascoltò un testimone presentato da Mosca che disse che erano stati i tedeschi a commettere il crimine.

Oggi, la maggioranza degli americani concorderebbe probabilmente con il senatore Taft e con i pochi altri che ebbero il coraggio e la preveggenza di condannare i processi di Norimberga nel momento in cui ebbero luogo. Ma l’opinione pubblica è rimasta nell’ignoranza quasi totale dei processi condotti dall’esercito americano a Dachau contro i “criminali di guerra” tedeschi meno importanti, dove sia i metodi di indagine che i processi stessi furono molto peggiori che a Norimberga; e che costituirono un precedente per il maltrattamento dei nostri prigionieri di guerra in Corea.

Pochi, se non nessuno, dei soldati americani che vennero affamati, picchiati e torturati dai loro carcerieri comunisti per far loro confessare la guerra batteriologica o altri “crimini di guerra” potevano sapere che l’esercito americano aveva impiegato metodi simili per estorcere confessioni ai teenager di leva e agli ufficiali subalterni accusati di aver ucciso i prigionieri di guerra americani a Malmedy. E nessuno di loro probabilmente ha mai sentito parlare del tenente colonnello Willis M. Everett, di Atlanta, in Georgia, che scrisse quanto segue nella istanza da lui presentata nel 1946 alla Corte Suprema a nome dei soldati tedeschi, per i quali fungeva da avvocato difensore principale a Dachau:

“Non è solo per il destino dei settantaquattro accusati, ma è soprattutto per il significato storico e l’importanza fondamentale del processo Malmedy che questa istanza può essere giustificata. Sfortunatamente, la storia del diritto internazionale rivela che sono state commesse molte ingiustizie e che sono stati stabiliti molti cattivi precedenti. Questo processo riceverà in futuro la sua parte di critiche perché le sue decisioni fungeranno necessariamente da precedente per il comportamento militare di tutte le nazioni del mondo”.

La Corte Suprema degli Stati Uniti respinse l’istanza, lavandosi così le mani da ogni responsabilità. Né venne prestata alcuna attenzione all’appello dei venticinque vescovi cattolici tedeschi, che nel 1948 scrissero:

“Le torture praticate nelle inchieste preliminari della Schwabische Hall e di Obersesel, e le esecuzioni di massa a Landsberg, nuoceranno in seguito di più o di meno all’America vittoriosa di una battaglia persa?”

Oggi i mulini di Dio macinano così velocemente che queste profezie si sono già realizzate. Ma, sfortunatamente, sulla pelle dei nostri ragazzi che, come molti dei tedeschi condannati in precedenza, erano colpevoli solo di aver combattutto coraggiosamente per il loro paese nella lontana Corea.

Gli editorialisti e i commentatori che, come Elmer Davis, accusano McCarthy di aver “utilizzato la propaganda proveniente dai comunisti tedeschi per salvare le vite degli ufficiali nazisti che avevano assassinato i prigionieri americani a Malmedy”, o stanno deliberatamente disinformando l’opinione pubblica o non si sono mai presi la briga di conoscere i fatti.

La maggioranza dei giovani condannati dal tribunale militare americano a Dachau per il Massacro di Malmedy non erano né nazisti né ufficiali, ma teenager di leva e funzionari subalterni. E quando il senatore McCarthy, sia detto a suo merito imperituro, cercò di fermare le impiccagioni di questi prigionieri di guerra tedeschi a Landsberg, si basava su informazioni fornite da americani irreprensibili come il tenente colonnello Willis P. Everett e da eminenti leader religiosi.

Come i vescovi cattolici tedeschi, anche il vescovo luterano Wurm, di Stoccarda, aveva protestato con le autorità americane contro quelli che aveva definito “i terribili metodi investigativi che sfidano ogni descrizione”. Questi “metodi” consistevano di botte e di calci; della rottura dei denti e delle mascelle; della fame e della reclusione in isolamento per mesi senza la possibilità di compiere esercizi né di ricevere visite o corrispondenza; delle promesse di far cessare le sofferenze e le minacce di morte se la vittima avesse firmato dichiarazioni che incriminavano altre persone; della minaccia di rappresaglie sulla moglie, i figli e i genitori del prigioniero se avesse rifiutato di firmare dichiarazioni sotto dettatura; di finti processi in stanze buie intorno ad una tavola illuminata solo da candele con in mezzo un crocifisso; e di finti sacerdoti che promettevano l’assoluzione se il prigioniero avesse accettato di firmare dichiarazioni false.

I disgustosi particolari possono essere letti in un grosso libro, stampato in lingua inglese, distribuito dalla “Chiesa evangelica in Germania” e intitolato “Memorandum sulla questione dei processi per crimini di guerra davanti ai tribunali militari americani”.

Lungi dal negare la verità di tali accuse, due degli inquirenti “anti-americani” utilizzati dall’esercito americano per estorcere “confessioni” ai prigionieri di guerra tedeschi, e cioè il tenente colonnello Ellis e il tenente Perl, dissero nel 1949 al giudice van Roden della Commissione Simpson che era stato necessario l’uso della forza a causa delle difficoltà di ottenere le prove. Perl disse: “Abbiamo dovuto usare metodi persuasivi”. Ammise anche che questi metodi includevano “una certa dose di violenza e finti processi”, e che la tesi dell’accusa nei processi Malmedy si basava sulle prove ottenute in tal modo.

Il colonnello A. H. Rosenfeld, che era Capo della divisione di Dachau della U. S. War Crimes Administration [Amministrazione Americana per i Crimini di Guerra] fino a quando non si dimise nel 1948, quando gli venne chiesto in un’intervista alla stampa prima di lasciare la Germania se c’era del vero nelle accuse tedesche contro i finti processi, replicò: “Sì, naturalmente. Altrimenti non avremmo potuto far parlare questi individui. Era un trucco e funzionò a meraviglia”.

Bisogna solo leggere la direttiva dell’amministrazione militare americana ai tribunali che processavano i tedeschi per capire che questi soldati vennero giudicati secondo principi di giustizia “anti-americani” simili a quelli applicati dai nazisti e dai comunisti. Datato 30 Novembre 1945, questo Ordine dell’esercito americano così recita:

“Lo scopo dei procedimenti nei Tribunali Militari e delle decisioni da loro imposte è la protezione delle Forze Armate americane di occupazione e il progresso degli obbiettivi politici, militari e amministrativi dichiarati dal Control Council [Comitato di Controllo] e dal Theatre Commander [Comandante del teatro di guerra]. Tutte le decisioni verranno perciò interpretate con larghezza e in accordo con le loro ovvie intenzioni. I procedimenti saranno condotti per raggiungere tale scopo al massimo grado possibile; i punti di vista tecnici e legalistici non dovranno interferire con questi risultati”.

Avendo avuto l’ordine di non permettere “che i punti di vista tecnici e legalistici” interferissero con il risultato desiderato del processo, i giudici accantonarono le regole normali di produzione delle prove. Essi ammisero la testimonianza dei co-imputati come prova definitiva; basarono alcuni dei loro verdetti su prove di seconda e terza mano e su documenti non firmati; considerarono le “confessioni” come prova definitiva di colpevolezza anche quando vennero ritrattate in tribunale; e respinsero le prove contrarie della difesa anche quando vennero fornite da testimoni dell’esercito americano.

Non vi fu giuria, né venne permesso agli accusati di avere avvocati tedeschi, nonostante fossero stati arbitrariamente ridotti al rango di civili prima che iniziasse il loro processo, per privarli della protezione offerta dalla Convenzione di Ginevra ai prigionieri di guerra. La corte consisteva di dieci ufficiali dell’esercito americano e di un “magistrato” che era lo stesso colonnello Rosenfeld che aveva condotto l’inquisizione pre-processuale degli imputati. Poiché gli accusatori erano i suoi inquirenti, non fu certo sorprendente che il colonnello Rosenfeld bloccò tutti i tentativi della difesa di provare che le confessioni erano state estorte con la violenza. Come il colonnello Everett ebbe a dichiarare:

“Quando vennero richiesti i dettagli dei pestaggi e degli altri mezzi di pressione, l’accusa fece obiezione, e il magistrato del tribunale approvò sempre tale obiezione e impedì che le tattiche malvage e spietate dell’accusa venissero ulteriormente smascherate nel corso del dibattimento”.

Fu tipico di questo procedimento che nel caso di un giovane di diciotto anni chiamato Arvid Freimuth, che aveva preferito impiccarsi in cella dopo ripetuti pestaggi piuttosto che firmare la “confessione” che gli era stata imposta, venisse permesso all’accusa di portare come “prova” la dichiarazione che sarebbe stato costretto a firmare se non si fosse suicidato.

Probabilmente non sapremo mai la verità sul “Massacro di Malmedy” dei prigionieri americani che si arresero durante la battaglia del Bulge. I tedeschi sostengono che vennero uccisi accidentalmente perché, dopo la loro resa, erano stati lasciati disarmati ma senza sorveglianza, e vennero colpiti dai carri armati tedeschi i cui tiratori non sapevano che gli americani in uniforme che impedivano loro il passaggio erano prigionieri di guerra.

La verità venne probabilmente puntualizzzata in modo più corretto dal generale Handy il quale, commutando il 31 Gennaio del 1951 le condanne a morte dei prigionieri sopravvissuti di Malmedy, disse: “I reati sono connessi ad un’azione di combattimento confusa, mobile e disperata”. Nessun soldato americano probabilmente disapproverà questa valutazione, che è sostenuta dal resoconto confuso e contraddittorio dell’incidente da parte dei soldati americani che sopravvissero al massacro. Inoltre, il tenente colonnello McCowan testimoniò per la difesa che egli stesso, insieme a un altro centinaio di americani presi prigionieri dalla squadra accusata del crimine, venne trattato in modo corretto.

Il Giurì del Senato che, nel 1949, sotto la presidenza del senatore Baldwin, del Connecticut, “investigò” le accuse contro l’esercito, come fece il Comitato Tydings l’anno successivo, si mostrò più interessato ad un’operazione di occultamento che ad accertare le malefatte. Il 26 Luglio del 1949, il senatore McCarthy, dopo aver abbandonato con disgusto le udienze, tenne un discorso nell’aula del Senato in cui attirò l’attenzione sul fatto che il socio dello studio legale del senatore Baldwin era uno dei responsabili delle torture inflitte agli imputati tedeschi; e che un altro membro del Giurì, il senatore Kefauver, aveva come socio legale un certo Shumaker, che era parimenti responsabile delle procedure illegali e anti-americane applicate a Dachau. Nel 1953, due degli inquirenti dell’esercito a Dachau sono stati arrestati a Vienna come spie sovietiche.

Quando ho visitato Landsberg nell’autunno scorso, c’erano ancora circa 300 tedeschi incarcerati nella sua tetra fortezza, inclusi gli imputati sopravvissuti di Malmedy. I nostri prigionieri vengono oggi trattati in modo civile e l’anno scorso un numero considerevole di essi è stato rilasciato in libertà condizionata, ma ve ne sono molti che hanno poca o nessuna speranza di essere liberati perché stanno scontando condanne a vita.

E come a sostanziare l’accusa che vennero utilizzati mezzi impropri per estorcere le confessioni di colpevolezza, le istruzioni date il 31 Agosto del 1953 al nostro Mixed Interim Parole and Clemency Board [Comitato Misto per la Scarcerazione e la Clemenza] dicono che ogni scarcerato che rilascerà “qualsiasi dichiarazione pubblica scritta o orale di contenuto personale, storico, militare o politico, senza l’approvazione preventiva dell’autorità competente, verrà rimandato in prigione e privato di tutti i vantaggi altrimenti concessi alla scadenza della condanna”.

Alcuni dei detenuti di Landsberg furono indubbiamente colpevoli di crimini contro l’umanità e sono fortunati ad aver scampato la morte per impiccagione. Ma i nudi fatti sono che la maggioranza dei veri criminali di guerra o sono morti, o vivono confortevolmente nella Zona Est come aderenti del regime comunista; o si trovano in Russia a collaborare ai preparativi sovietici di guerra contro di noi; o sono scomparsi nella massa della popolazione tedesca. La maggior parte dei prigionieri sono piccoli uomini che si sono accidentalmente ritrovati a portare il peso degli orrori mondiali dei crimini nazisti.

Per amore della reputazione di giustizia di cui gode l’America, oltre al fatto che desideriamo annoverare il popolo tedesco come nostro alleato contro la tirannia comunista, dovremmo cercare di correggere l’ingiustizia del periodo post-bellico. Se quelli il cui cuore batte per le “vittime” di McCarthy mostrassero interesse per i veri errori giudiziari compiuti in Germania, vi sarebbe qualche speranza di annullare le istruzioni firmate lo scorso Agosto dal nostro Alto Commissario “liberale” James B. Conant, che recitano quanto segue:

“Né la scarcerazione né la clemenza implicano una valutazione della correttezza o della legalità dei procedimenti giudiziari, delle colpe e delle condanne, che sono conclusive e definitive”.


[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.fredautley.com/malmedy.htm