Una testimonianza controcorrente


IN PRIMA PERSONA

Di Omer Goldman, 22 Novembre 2008[1]

Come detto a Sarah Duguid

Sono andata per la prima volta in prigione il 23 Settembre di quest’anno e ho scontato 35 giorni. Quando leggerete questo pezzo, sarò tornata dentro per altri 21 giorni. Questa sarà la mia vita per i prossimi due anni: dentro per tre settimane, fuori per una. Ho 19 anni adesso e quando le autorità smetteranno di perseguitarmi ne avrò 21. La ragione? Ho rifiutato di prestare servizio militare per l’esercito israeliano.

Sono cresciuta con l’esercito. Mio padre è stato vice-capo del Mossad e ho visto mia sorella, che ha otto anni più di me, fare il suo servizio militare. Quando ero una bambina, volevo essere un soldato. L’esercito faceva talmente parte della mia vita che non lo avevo mai neppure messo in dubbio.

In precedenza, quest’anno, sono andata a una manifestazione per la pace in Palestina. Mi era sempre stato detto che l’esercito israeliano stava lì per difendermi, ma durante questa manifestazione i soldati israeliani hanno aperto il fuoco contro di me e contro i miei amici con proiettili di gomma e bombe lacrimogene. Sono rimasta scioccata e impaurita. Ho visto la verità. Ho visto la realtà. Ho visto per la prima volta che la cosa più pericolosa in Palestina è il soldato israeliano, le stesse persone che dovrebbero stare al mio fianco.

Quando sono tornata in Israele, sapevo di essere cambiata. Ho detto al mio papà quello che era successo. Si è arrabbiato che ero andata nei territori occupati e mi ha detto che avevo messo in pericolo la mia vita. Ho sempre discusso di storia e di politica con mio padre ma su questo argomento – il mio rifiuto del servizio militare e la mia obiezione di coscienza – non possiamo parlare.

I miei genitori hanno divorziato quando avevo tre anni e mio padre ha una nuova famiglia. Mia madre è un’artista ed è molto solidale con me. Ma mio padre è inorridito per la mia decisione. Penso che ritenesse che stavo passando per uno stadio che avrei abbandonato con la crescita. Ma non è successo.

In prigione, mi sveglio alle cinque e pulisco tutto il giorno, dentro e fuori. E’ una prigione militare, così dobbiamo fare cose ridicole. Hanno dipinto una striscia bianca lungo il pavimento e devo fare in modo che la striscia rimanga bianca e pulita. Devo indossare un’uniforme dell’esercito americano. Le uniformi vengono date in dono all’esercito israeliano dai marine americani. Mi sento stupida. Sono antimilitarista. Sono contro la stessa idea di indossare un’uniforme.

Gli altri prigionieri sono donne che vengono dall’esercito. Stanno lì per cose sciocche come aver giocato con i loro fucili, aver fumato droga, essere scappate dall’esercito. Nessuna di loro è davvero una criminale. E poi ci sono cinque ragazze come me che sono obbiettori di coscienza.

Parliamo con le altre ragazze, diciamo loro cose che non hanno mai sentito prima. Come che chiunque è un essere umano, non importa di quale religione sia. Alcune sono davvero ignoranti. Non hanno mai sentito parlare della teoria dell’evoluzione, o di Gandhi o di Mandela, o dell’olocausto armeno. Cerco di dire loro che vi sono stati molti genocidi.

Naturalmente ho paura quando sto in prigione. Tre volte la settimana, devo aiutare a sorvegliare la prigione di notte. E poi, è spaventoso che il mio paese faccia quello che fa, rinchiudendo giovani che sono contro la violenza e la guerra. E temo che quello che sto facendo possa danneggiare il mio futuro. La parte peggiore è che ho il gusto della libertà e poi torno dentro, alla mia banale vita carceraria. E’ difficile passare dall’essere una ragazza libera, che può decidere le cose da sé – cosa mettersi, cosa vedere, cosa mangiare – e poi tornare a essere controllata ogni minuto del giorno.

L’ultima volta che sono uscita di prigione, sono andata a trovare il mio papà. Abbiamo cercato di non parlare di politica. Mi considera come sua figlia, che sta soffrendo, ma non vuole ascoltare le mie opinioni. Non è venuto a trovarmi in prigione. Penso che sia troppo duro per lui vedermi lì. E’ un uomo dell’esercito.

Suppongo, in realtà, che abbiamo caratteri simili. Combatiamo entrambi per quello in cui crediamo. Solo che le nostre vedute sono diametralmente opposte.
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.ft.com/cms/s/0/f1cfe376-b455-11dd-8e35-0000779fd18c.html?&nclick_check=1