Uno scrittore israeliano contro i propri connazionali

LA NOSTRA REPUTAZIONELA NOSTRA COLPA

Il comportamento violento e volgare degli israeliani all’estero è la radice di un odio crescente verso di noi, che non ha niente a che fare con l’antisemitismo

Di Yehuda Nuriel[1]

Sa-pa è un bel posto nel Vietnam del Nord. Una pacifica città commerciale annidata tra verdi montagne, ruscelli e risaie. Uccelli variopinti volano intorno, nell’aria nebbiosa, e diversi maiali e un testardo bisonte d’acqua si scorgono a distanza.

Per il turista israeliano, questo posto contiene un altro animale – le donne indigene della tribù Hmong, vestite di nero, che hanno imparato a recitare un canto per bambini in ebraico, e lo cantano ripetutamente nella speranza che i signorotti in visita decidano di comprare da loro un oggetto d’artigianato per qualche penny.

Se continuate il viaggio un po’ più a lungo, potrete incontrare le donne della tribù Dao, che hanno imparato a dire “Vieni e scopami” in ebraico. Sì, il rabbino Ovadia Yosef aveva ragione – gli insegnanti di queste donne erano dei somari. No, in realtà perché insultare i somari? I loro insegnanti erano semplici israeliani come me e voi.

La stagione dei viaggi globali è ora al culmine. Orde di turisti stanno prendendo d’assalto la Tailandia, il Laos, il Sud America e il Kenia. E la battaglia è già decisa. L’israeliano, ogni israeliano, è diventato un’icona di cattiveria, bruttezza, corruzione e sfruttamento. E’ inutile cercare di cambiare il comportamento degli israeliani all’estero. E’ una causa persa.

Una reputazione che sta peggiorando

Travel Independent è la Mecca dei turisti in rete a livello internazionale. Il sito offre descrizioni esatte, concise e utili di ogni destinazione del mondo.

E questo è quanto dice il sito su di noi nel suo sommario sull’India: “A parte gli indiani, scoprirete che viaggiano da tutta Europa, dagli Stati Uniti e dall’Australia/Nuova Zelanda, come pure in Nepal, in Tailandia e in Sud America, un gran numero di israeliani, molti dei quali sono reduci dall’esercito e che sembrano fare tutto quello che possono per peggiorare ulteriormente la propria reputazione, sia con le persone del posto che con gli stranieri".

Travel Independent non è antisemita. Come destinazione turistica, raccomanda caldamente Israele. Anche le donne Hmong non sono antisemite, né lo sono i giapponesi, i peruviani o i tanzaniani, o la maggior parte dei viaggiatori occidentali che vedono quest’umiliazione.

Una nuova forma di odio verso gli israeliani si sta sviluppando tra gente che non ha la minima idea di dove si trovi il paese. Un “antisemitismo” che non ha niente a che fare con Dio o con il giudaismo.

Anni di corruzione culturale

Da parte sua, il viaggiatore israeliano fa di tutto per non essere identificato come israeliano, non per motivi di sicurezza ma semplicemente per la paura di non essere il benvenuto. E fa grandi sforzi per non andare dove vanno gli altri israeliani, non per il rischio di esclusivismo, ma perché sa che i suoi connazionali saranno i primi a imbrogliarlo.

Il porco israeliano è il prodotto di una corruzione culturale annosa e ancora in corso. Egli costringerà le persone del posto a guardare gli episodi del reality-show “Il Grande Fratello” e metterà loro dei soprannomi israeliani solo per farsi una risata.

Il suo linguaggio è scadente ed è un soggetto totalmente indifferente ad allargare i propri orizzonti. E’ ostile verso gli arabi e verso gli stranieri in generale e si sente obbligato a imbrogliarli ogni volta che può (svuotare i buffet all’aperto, nascondere sei persone in una camera doppia per non sentirsi “un fesso”). Prende droghe e donne a pagamento solo per il senso di potere e di tracotanza.

E quest’immagine non può più essere cambiata. Guardiamoli e guardiamoci: un’orda violenta che minaccia il mondo come fosse un’altra missione di polizia, una destinazione che deve essere conquistata e soggiogata.

Nessuna meraviglia che in ebraico il verbo “fare” si riferisca sia all’atto della conquista sessuale sia al completamento del viaggio all’estero duro, in stile militare, del viaggiatore israeliano: “Mi sono fatto la Bolivia”.

[1] http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-3630144,00.html