Una recensione da ricordare


IAN KERSHAW E LA SOLUZIONE FINALE

Di Paul Grubach[1]

Hitler, the Germans, and the Final Solution [Hitler, i tedeschi, e la Soluzione Finale], di Ian Kershaw, International Institute for Holocaust Research, Yad Vashem, Jerusalem. Yale University Press, New Haven & London, 2008, 394 pagine.

Introduzione

Ian Kershaw è uno storico di grande reputazione ed è professore di storia moderna all’Università di Sheffield (Inghilterra). Considerato un’autorità sulla Germania nazista, la sua biografia in due volumi di Adolf Hitler ha goduto di recensioni favorevoli da parte di numerosi esponenti del “mainstream” informativo.

Secondo la breve dichiarazione della copertina del libro, questa collezione di saggi riunisce per la prima volta gli aspetti più importanti e autorevoli della ricerca di Kershaw sull’Olocausto. I titoli delle quattro sezioni indicano gli argomenti affrontati: “Hitler e la Soluzione Finale”; “L’opinione pubblica e gli ebrei nella Germania nazista”; “La Soluzione finale nella storiografia”; “L’unicità del nazismo”.

Questo libro molto interessante ha ricevuto delle recensioni lusinghiere da parte di storici “mainstream” dell’Olocausto quali Saul Friedländer, Christopher Browning e Deborah Lipstadt. I commenti di Browning e della Lipstadt sono molto istruttivi. Dopo aver detto che Kershaw è uno degli storici della Germania nazista più penetranti e produttivi, Browning ha quindi aggiunto: “E’ semplicemente splendido che i suoi tanti studi fondamentali siano ora disponibili in un solo volume”. Anche la Lipstadt elogia Kershaw e il suo libro: “Avere insieme tutti questi saggi in un volume aumenta la loro importanza e ribadisce la posizione di Kershaw tra gli storici stellari del periodo preso in esame”.

Data la statura di Kershaw nel mondo accademico, bisogna prendere molto sul serio qualunque cosa dica su Hitler e sulla Germania nazionalsocialista. La presente recensione esaminerà brevemente quello che Kershaw scrive sulla "Soluzione Finale”.

La definizione diSoluzione Finale

Kershaw definisce “La Soluzione Finale della Questione Ebraica” come “Il tentativo [nazista] sistematico di sterminare l’intero ebraismo europeo [p. 60]”. Naturalmente, questa è l’opinione tradizionale, la sola correntemente accettata dagli storici “mainstream”.

Kershaw prosegue esponendo le tre questioni fondamentali che, a suo parere, riguardano la Soluzione Finale. Esse sono: come e quando venne presa la decisione di sterminare gli ebrei; quale fu il ruolo di Hitler in questa politica di sterminio; e se la “Soluzione Finale” prese il via da un singolo ordine frutto di un programma lungamente preparato, oppure si sviluppò in modo disordinato e frammentario nel corso di un certo periodo di tempo (p. 61).

Dopo aver posto queste tre questioni, egli afferma: “Le lacune e le ambiguità delle prove, aumentate dal linguaggio eufemistico e criptico usato dai nazisti, persino tra loro stessi quando affrontavano lo sterminio degli ebrei, significano che la certezza assoluta – nella risposta e queste questioni complesse – non può essere raggiunta [p. 61]”.

In linguaggio semplice e chiaro, sta dicendo che c’è spazio per i dubbi, riguardo alle risposte che gli storici “mainstream” hanno dato alle suddette questioni.

Gliintenzionalistie ifunzionalisti

Tra gli storici ortodossi della Soluzione Finale si sono formati due gruppi. La tradizionalista Deborah Lipstadt fa notare che “Gli intenzionalisti sostengono che Hitler venne al potere con l’intenzione di uccidere gli ebrei e istituì una serie continua e coerente di misure dirette a realizzare quello scopo. Al contrario, i funzionalisti sostengono che la decisione nazista di uccidere gli ebrei non ebbe inizio da una singola decisione di Hitler, ma si sviluppò in modo progressivo e improvvisato”.[2]

E allora chi è che ha ragione, per il nostro luminare della Soluzione Finale? Kershaw dice che “Bisogna concludere che nessuno dei due modelli offre una spiegazione interamente soddisfacente [p. 269]”. Nel paragrafo successivo, aggiunge: “I capricci della politica antiebraica, sia prima della guerra che nel periodo 1939-1941, da cui si sviluppò la “Soluzione Finale”, smentiscono ogni nozione di “piano” o di “programma”.

Allora lo ammettete. Le due teorie ortodosse/”mainstream” sulla Soluzione Finale sono difettose e, prima della guerra e nel periodo 1939/1941, non c’erano piani o programmi ufficiali, formalizzati, di sterminio degli ebrei. A quanto pare, quest’ultima affermazione implica che la teoria “intenzionalista” è stata confutata.

Ordinò Hitler lo sterminio degli ebrei?

Uno dei dogmi ufficiali della storia tradizionale dell’Olocausto è che il leader nazionalsocialista Adolf Hitler ordinò personalmente il completo sterminio dell’ebraismo europeo.

Eppure, Kershaw ammette che una dichiarazione scritta di Hitler che ordini lo sterminio degli ebrei non è mai stata trovata: “Come era da prevedere, un ordine scritto di Hitler per la “Soluzione Finale” non venne trovato [p. 96]”. Quindi, nella pagina successiva, di nuovo suscita scetticismo nella mente del lettore riguardo al ruolo di Hitler nella Soluzione Finale: “La ricerca ha preso poi le mosse dalle varie ipotesi sulla data della decisione di Hitler per la “Soluzione Finale” supponendo – o affermando esplicitamente – che nessuna decisione del genere era stata presa [p. 97]”.

Egli getta anche più dubbi sull’opinione tradizionale del ruolo di Hitler nella Soluzione Finale quando fa notare che le prove su cui si fonda sono frammentarie e insoddisfacenti: “Sembra certo, date le prove frammentarie e insoddisfacenti, che tutti i tentativi di stabilire il momento preciso di quando Hitler decise di intraprendere la “Soluzione Finale” si prestano a delle obiezioni [p. 100]”

Kershaw conclude con questa ammissione di scetticismo: “Sembra impossibile isolare un singolo, specifico ordine del Führer per la “Soluzione Finale”, in una politica di sterminio che prese pienamente forma in un processo di radicalizzazione che durò per un periodo di circa un anno [p. 101]”.

Nel corso del libro, Kershaw discute le teorie dei vari storici “mainstream” della Soluzione Finale”. Egli fa notare che questi storici hanno dedotto interpretazioni differenti dalle stesse storie, e sostiene che le sole prove su cui la loro interpretazione si fonda sono indiziarie. Gli manca solo un passo per ammettere che le loro prove sono molto deboli, se non addirittura inesistenti.

Citiamo Kershaw testualmente: “Come queste diverse interpretazioni di autorevoli esperti dimostrano, le prove della natura precisa della decisione di attuare la “Soluzione Finale”, del suo momento effettivo e dell’esistenza stessa di una tale decisione, sono indiziarie. Per quanto dei leader di second’ordine delle SS si riferissero ripetutamente, nei processi post-bellici, a un “Ordine del Führer” o a un “Incarico”, nessun testimone diretto di tale ordine è sopravvissuto alla guerra. E nonostante tutta la brutalità delle sue stesse dichiarazioni, non vi sono registrazioni di Hitler che parli in modo categorico, anche nella sua cerchia più ristretta, della decisione di uccidere gli Ebrei – sebbene le sue osservazioni non lascino il minimo dubbio sull’approvazione, sull’ampia conoscenza e sull’accettazione della “gloria” di quello che veniva fatto in suo nome. Le interpretazioni si basano quindi sull’”esame delle probabilità” [pp. 256-257]”.

Kershaw ammette che qualche testimonianza giudiziaria post-bellica di ufficiali dell’esercito tedesco sull’esistenza di un ordine di Hitler di sterminare gli ebrei è falsa: “Le prime testimonianze post-belliche di leader dell’Einsatzkommando sull’esistenza anteriore di un ordine del Führer si sono rivelate dimostrabilmente false, escogitate per fornire una difesa comune del leader dell’Einsatzgruppe D, Otto Ohlendorf, nel suo processo del 1947 [p. 258]”.

Così, dopo che al lettore vengono espressi tutti questi dubbi e questo scetticismo, la domanda rimane: qual’era la natura dell’”Ordine del Führer” per la “Soluzione Finale”? Kershaw afferma che non è possibile fornire una risposta: “La natura e la forma dell’”Ordine del Führer”, e se esso risaliva ad un’iniziativa dello stesso Hitler, o era nulla di più dell’approvazione di un suggerimento – in sé stesso, con ogni probabilità proveniente dai comandanti locali delle unità di uccisione e ingranditosi in un incarico più vasto – di Himmler o di Heydrich, è impossibile da stabilire [p. 259]”.

L’inattendibilità delle testimonianze di Rudolf Höss e di Adolf Eichmann

Uno degli esempi più importanti tradizionalmente addotti per “provare” l’opinione ortodossa sulla Soluzione Finale è quello della testimonianza dell’ex comandante del campo di Auschwitz, Rudolf Höss. Kershaw fa notare che Höss “ricordò dopo la guerra di aver ricevuto l’ordine di sterminio [di sterminare gli ebrei] da Himmler nell’estate del 1941. Quindi, osserva subito che Höss è un testimone inaffidabile: “Ma non si può fare affidamento sulla testimonianza di Höss, e in questo caso molti elementi portano alla conclusione che egli abbia erroneamente retro-datato gli eventi di un anno e che in realtà si riferisse all’estate del 1942 [p. 261]”.

Un altro “testimone capitale” fu Adolf Eichmann, un burocrate nazionalsiocialista al quale viene diffusamente attribuito un ruolo fondamentale nella Soluzione Finale. Esaminiamo cosa dice Kershaw sull’attendibilità della testimonianza di Eichmann: “Anche la testimonianza di Eichmann in Israele nel 1960 fu a volte inesatta. Affermò di ricordare vividamente che Heydrich gli aveva comunicato, due o tre mesi dopo l’invasione dell’Unione Sovietica, che “Il Führer ha ordinato lo sterminio fisico degli ebrei”. Ma la sua memoria era spesso capricciosa quando doveva precisare date e tempi. Anche in questo caso, è bene non basarsi troppo su prove così dubbie [p. 261]”.

Tuttavia, a p. 109, Kershaw fa questa’affermazione problematica: “Sebbene la loro testimonianza sia per certi versi inesatta e non si può farvi assegnamento per i dettagli, Adolf Eichmann, che fu in effetti il “manager” della Soluzione Finale, Dieter Wisliceny, uno dei suoi sostituti, e Rudolf Höss, il comandante di Auschwitz, tutti hanno detto dopo la guerra che gli ordini trasmessi loro per attuare la Soluzione Finale partivano dallo stesso Hitler. I leader delle SS di secondo e terzo ordine direttamente coinvolti nella Soluzione Finale affermarono di aver attuato “la volontà del Führer”. Non c’è ragione di dubitare che avessero ragione, e che l’autorità di Hitler – molto probabilmente data come assenso verbale alle proposte sottopostegli di solito da Himmler – stesse dietro ogni decisione importante e significativa”.

E’ in grado il lettore di cogliere qui la situazione imbarazzante? Egli dice che le testimonianze di Eichmann, Wisliceny e Höss non sono attendibili, e poi usa le loro testimonianze come parte di un insieme per “corroborare” la visione ortodossa della Soluzione Finale.

L'"asserzione definitivadi Kershaw è contraddetta dalle prove

In mezzo a tutti i dubbi e le incertezze che Kershaw ha introdotto nella visione tradizionale della Soluzione Finale, egli espone poi un’affermazione presentata come “assolutamente vera”. Egli afferma: “Nel Marzo del 1942 la Soluzione Finale com’è storicamente conosciuta era in pieno svolgimento [p. 78]”. In altre parole, nel Marzo del 1942 il presunto piano nazista per lo sterminio totale degli ebrei d’Europa era pienamente operativo.

Quest’”affermazione definitiva” è contraddetta dalle prove presentate dallo storico “mainstream” dell’Olocausto Jeffrey Herf.

Nell’annotazione del 7 Marzo 1942 del diario di Joseph Goebbels, il Ministro della Propaganda nazionalsocialista discusse un esteso memorandum concernente la Soluzione Finale della Questione Ebraica. Il documento parlava di “più di undici milioni di ebrei” in Europa che “devono dapprima essere concentrati ad Est” e nei modi dovuti “dopo la guerra, inviati su un’isola” come il Madagascar. L’Europa non avrebbe visto la pace fino a che gli ebrei non fossero stati “esclusi dal territorio europeo”. Le questioni delicate concernenti i mezzi-ebrei, i parenti, e le mogli, veniva detto, sarebero state affrontate. Goebbels poi scrisse: “La situazione è ora matura per una soluzione definitiva della questione ebraica. Le generazioni future non avranno più l’energia e la vigilanza istintiva per agire in tal modo. Perciò è importante che procediamo in modo radicale e totale”.[3]

Lo storico ortodosso dell’Olocausto Jeffrey Herf ammette che questo passaggio contraddice la storia tradizionale dell’Olocausto. Esso non parla di sterminio, ma di deportazione degli ebrei in qualche posto fuori dell’Europa dopo che la guerra fosse terminata. Herf cerca di spiegare questo passaggio affermando che Goebbels sta mentendo al suo stesso diario per amore dei posteri – una stravagante spiegazione, se mai ve ne è stata una.[4]

Da un lato Herf afferma che Hitler, Goebbels e i gerarchi nazisti annunciarono pubblicamente (!) al mondo in numerose occasioni il loro progetto di uccidere tutti gli ebrei d’Europa.[5] Tuttavia, fa poi una giravolta e cerca di farci credere che Goebbels cercò di nascondere questa politica di sterminio mentendo al suo diario per amore dei posteri. Perché mai Goebbels e i gerarchi nazisti avrebbero docuto annunciare al mondo la loro politica di sterminio degli ebrei, e poi cercare di nascondere questa stessa politica mentendo in diari privati? Non avrebbe avuto nessun senso per Goebbels mentire, coprire e nascondere nel suo diario personale la stessa cosa che aveva annunciato pubblicamente! Appare qui come se Herf abbia escogitato una spiegazione di comodo per “giustificare” una prova che mina la visione tradizionale della Soluzione Finale.

Inoltre, questa prova dell’annotazione del 7 Marzo 1942 del diario del dr. Joseph Goebbels sfida l’affermazione di Kershaw che una presunta politica di sterminio degli ebrei era in pieno svolgimento nel Marzo del 1942. Alla data suddetta, Goebbels stava ancora propugnando la deportazione degli ebrei dall’Europa quando la guerra sarebbe finita.

Kershaw e lecamere a gas naziste

Il prof. Kershaw, che certamente non è un revisionista, accetta chiaramente la visione tradizionale dell’Olocausto, poiché parla dell’”orrore di Auschwitz” (p. 237). Qui, egli si riferisce al presunto sterminio sistematico dell’ebraismo europeo nelle “camere a gas naziste”.

Nonostante ciò, presenta delle prove che suggeriscono che certe “testimonianze” delle “camere a gas naziste” sono altamente discutibili. Egli scrive: “Secondo le testimonianze post-belliche fornite dal suo ex aiutante personale, Otto Günsche, e del suo servitore, Heinz Linge, Hitler mostrò un interesse diretto per lo sviluppo delle camere a gas e parlò a Himmler dell’utilizzo dei camion a gas [p. 109]”.

Sepolta in una nota a piè di pagina, Kershaw spiega la ragione del perché le “testimonianze” di Günsche e di Linge sulle “camere a gas naziste” sono inattendibili: “I passaggi in questione non nominano gli ebrei e danno l’impressione che le vittime delle gasazioni fossero cittadini sovietici. Il testo, la cui provenienza e il cui previsto destinatario – Stalin – lo rendono per certi versi dubbio, prosegue affermando che le camere a gas furono messe all’opera, su ordine personale di Hitler, a Charkov, sebbene, in realtà, non venne eretta nessuna camera a gas nei territori occupati dell’Unione Sovietica [p. 115, nota 66]”.

Vale a dire che è stato sostenuto che a Charkov vennero utilizzate delle camere a gas omicide – dove è risaputo che non sono mai esistite.

Ma, soprattutto, Kershaw comprova quello che lo storico “mainstream” dell’Olocausto Arno Mayer ammetteva già nel 1988: “Le fonti per lo studio delle camere a gas sono ad un tempo rare e inattendibili”.[6]

Kershaw è d’accordo, perché scrive: “I commenti scritti sullo sterminio degli ebrei si riferiscono quasi sempre alle fucilazioni di massa da parte degli Einsatzgruppen, a cui in molti casi assistettero membri della Wehrmacht. Le gasazioni, sia da parte delle unità mobili che nei campi di sterminio, vennero attuate in modo molto più segreto, e trovarono scarsa eco all’interno della Germania, seguite da un’assenza quasi completa di fonti documentarie ad esse relative [p. 203].

Non solo Kershaw conferma che le fonti documentarie attendibili relative alle “camere a gas naziste” quasi non esistono, ma fa anche notare che in Germania circolarono “dicerie” sulle camere a gas, e che di tali dicerie possono essere state responsabili delle trasmissioni in lingua estera. “Anche in queste condizioni”, scrive Kershaw, “il silenzio [sulla segretezza che circondava le “camere a gas naziste” e l’assenza quasi totale di fonti documentarie relative ad esse] non fu totale. Circolavano delle dicerie, come è provato da due casi giudiziari provenienti dal “Tribunale Speciale” di Monaco, risalenti al 1943 e al 1944 e riferiti alle gasazioni degli ebrei in camion a gas mobili [p. 203]”.

Nell’autunno del 1943, una donna di mezza età, residente a Monaco, confessò di aver detto: “Pensate che nessuno ascolti le trasmissioni in lingua estera? Hanno caricato donne e bambini ebrei in un camion, li hanno portati fuori città, e li hanno sterminati (vernichtet) con il gas [p. 203]”. Per queste osservazioni, e per dei commenti sprezzanti su Hitler, fu condannata al carcere (p. 203). Anche un uomo venne incrinìminato per aver detto nel Settembre del 1943 che Hitler era uno sterminatore che aveva ucciso gli ebrei sterminandoli con il gas in un “camion a gas” (p. 203).

Kershaw inoltre fa notare che poiché le fonti per lo studio della Soluzione Finale e delle “camere a gas naziste” sono così insufficienti, gli storici “mainstream” hanno dedotto dalle stesse prove interpretazioni molto differenti. “L’inadeguatezza delle fonti, riflettendo sostanzialmente la segretezza delle operazioni di sterminio e l’oscurità deliberata del linguaggio impiegato per riferirsi ad esse, ha portato gli storici a trarre conclusioni molto diverse dalle stesse prove, riguardo al momento e alla natura della decisione, o delle decisioni, di sterminare gli ebrei [pp. 254-255]”.

Si penserebbe che, dopo aver ammesso che le fonti relative alle “camere a gas” sono molto rare e insufficienti, e che le dicerie sulle “camere a gas naziste” provenivano da trasmissioni radiofoniche straniere, Kershaw tenga almeno in qualche considerazione la teoria revisionista che queste “camere a gas” non sono mai esistite e che furono una creazione della propaganda bellica degli Alleati e dei sionisti. Ma chiaramente, questo non è possibile. Il libro è stato pubblicato dall’Istituto Internazionale per le Ricerche sull’Olocausto, per conto dello Yad Vashem, in Israele. Non sono necessari ulteriori commenti.

E' stata la brutalità di Hitler una risposta alla brutalità di Stalin?

Kershaw suggerisce che il piano brutale di Hitler di deportare gli ebrei fu una risposta al perfido piano di Josef Stalin di deportare i tedeschi etnici, perché scrive: “Ora, consapevole che la guerra sarebbe andata per le lunghe, e conscio che gli Stati Uniti sarebbero presto stati coinvolti, egli [Hitler] acconsentì su richiesta di un certo numero di leader nazisti – sfruttando la deportazione, da parte di Stalin, di centinaia di migliaia di tedeschi etnici dalla regione del Volga alle lande della Siberia occidentale e del Kazakhstan per sollecitare misure di ritorsione – a deportare ad est ebrei tedeschi, austriaci e cechi, anche se la guerra non era finita [p. 105]”.

Qui, Kershaw solleva di nuovo la domanda: fino a che punto la brutalità nazista fu una risposta alla brutalita dei sovietici, degli inglesi e degli americani?

Le affermazioni fuorvianti di Kershaw su David Irving

Il trattamento, da parte di Kershaw, dello storico indipendente ed esperto dei leader del Terzo Reich, David Irving, è estremamente fuorviante, a dir poco. Si potrebbe pensare che, dopo tutti i dubbi e le incertezze ammesse da Kershaw sulla visione tradizionale della Soluzione Finale, egli abbia compiuto un esame approfondito del punto di vista di Irving sulla questione. Niente affatto.

Kershaw parla delle “Affermazioni apologetiche di David Irving in Hitler’s War [p. 13]”; del “Tentativo di David Irving di mascherare la conoscenza di Hitler della Soluzione Finale [p. 239]”; e infine, dei “Tentativi di assoluzione, da parte di David Irving, del ruolo di Hitler nella Soluzione Finale [p. 329]”.

Essenzialmente, Kershaw sostiene che Irving ha cercato di minimizzare e persino di nascondere il ruolo di Hitler nella Soluzione Finale, il che è clamorosamente falso. Quello che Irving ha fatto è di aver portato alla luce quello che Kershaw ha involontariamente ammesso nel suo libro! E cioè, che non vi sono vere prove per dimostrare che Adolf Hitler abbia mai ordinato o abbia mai conosciuto un piano per sterminare totalmente gli ebrei nelle “camere a gas”, o con altri mezzi. Inoltre, Irving ha richiamato l’attenzione su documenti tedeschi autentici dell’epoca di guerra che suggeriscono fortemente che Hitler non ha mai ordinato lo sterminio degli ebrei.

Già nel 1977, Irving richiamò l’attenzione sulla brutalità di Hitler nei confronti degli ebrei, vanificando così l’affermazione di Kershaw che Irving abbia cercato in qualche modo di “coprire” il coinvolgimento di Hitler nella tragedia degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Prendiamo la seguente descrizione dell’incontro di Hitler con l’Ammiraglio Miklos Horthy, che era il reggente dell’Ungheria nel 1943. Irving ha scritto: “Hitler sosteneva che la Polonia avrebbe dovuto costituire una lezione pratica per Horthy. Egli [Hitler] raccontava di come gli ebrei che rifiutavano di lavorare venissero lì uccisi; quelli che non potevano lavorare venivano fatti fuori. Gli ebrei dovevano essere trattati come bacilli della tubercolosi, diceva, usando il suo paragone preferito. Era così crudele [un tale trattamento], considerato che anche creature innocenti come lepri e caprioli dovevano essere eliminati per impedire che provocassero dei danni? Perché preservare una specie bestiale la cui ambizione era di infliggere il bolscevismo a tutti noi? Horthy per difendersi osservò che aveva fatto tutto quello che poteva contro gli ebrei: “Ma non possono certo essere uccisi o eliminati in altro modo”, egli [Horthy] protestò. Hitler lo rassicurò: “Non ce n’è bisogno”. Ma, proprio come in Slovacchia, dovevano venire isolati in campi lontani dove non potevano più contaminare il corpo sano della società; oppure potevano essere messi a lavorare nelle miniere, ad esempio. Lui stesso [Hitler] non si preoccupava di venire aspramente criticato per la sua politica ebraica, se gli avesse portato la tranquillità. Horthy se ne andò non convinto.[7]

Inoltre, Irving ha richiamato l’attenzione su delle prove che sono incompatibili con la tesi che Hitler ordinò lo sterminio degli ebrei. Prendiamo il “documento Schlegelberger”. Questo memorandum del Marzo del 1942 del Segretario di Stato nazista Franz Schlegelberger recita quanto segue: “Il Ministro del Reich Lammers [uno dei più importanti collaboratori di Hitler] mi ha informato che [Hitler] gli ha spiegato ripetutamente che voleva che la soluzione della Questione Ebraica venisse rimandata a dopo la guerra. Di conseguenza le discussioni attuali, secondo il Ministro Lammers, hanno un’importanza solo teorica. Ma in ogni caso egli si assicurerà che non vengano prese decisioni fondamentali, con interventi a sorpresa da parte di altri enti, senza la sua conoscenza”.[8]

Irving sostiene correttamente che questo documento mostra che Hitler non aveva piani per sterminare l’ebraismo europeo; esso è incompatibile con la nozione che egli avesse ordinato un programma urgente di liquidazione. Non solo questo documento venne nascosto dai procuratori Alleati, ma Kershaw ha omesso di prenderlo in considerazione.[9]

Kershaw e la religione della Soluzione Finale

Kershaw ammette che le esperienze ebraiche della seconda guerra mondiale sono state elevate allo status di una religione sacrale, poiché lo stesso termine di “Olocausto”, fa notare, venne inizialmente adottato da scrittori ebrei, “ed è stato assunto per significare un’unicità quasi sacrale di avvenimenti terribili che esemplificano il male assoluto, un destino specificamente ebraico compiutosi fuori del normale processo storico…[p. 237]”. Quindi egli cita lo storico israeliano Yehuda Bauer, che afferma che l’”Olocausto” ora viene considerato come “un evento misterioso, un miracolo alla rovescia, per così dire, un avvenimento di significato “religioso” nel senso che, come tale termine viene comunemente inteso, non è un’opera umana [p. 237]”.

Kershaw sembra cortesemente rifiutare questa “mistificazione” dell’Olocausto, poiché non ritiene che il tentativo di Yehuda Bauer di fare apparire “unico” l’Olocausto sia “veramente convincente o analiticamente utile [p. 271, nota 2]”.

Anche se Kershaw rifiuta la religione di stato dell’Olocausto, la sua mente è ancora rinchiusa, riguardo alla Soluzione Finale, in un sonno dogmatico.

Riguardo agli scritti, ai discorsi e alle idee di Hitler, Kershaw scrive: “E, per quanto repellenti, e qualunque sia il loro fondamento irrazionale, essi costituivano un argomento circolare, autoreferenziale, impenetrabile dalla critica razionale, qualcosa che possiamo chiamare autenticamente una Weltanschauung, o un’ideologia [p. 90]”.

Questa critica di Hitler si ritorce contro Kershaw e il circolo degli storici tradizionali della Soluzione Finale. Come Kershaw ha dimostrato chiaramente nel suo libro, la visione tradizionale della Soluzione Finale è chiaramente difettosa e discutibile. Eppure viene creduta in modo dogmatico e promossa in ogni caso. La visione tradizionale di Kershaw della Soluzione Finale – una Weltanschauung se mai ve n’è stata una – è un argomento circolare e autoreferenziale, non falsificabile e impenetrabile dalla confutazione razionale.

A Kershaw manca solo un passo per ammettere che forse, soltanto forse, non vi fu una politica nazista di sterminio degli ebrei e che forse, soltanto forse, le “camere a gas naziste” non sono mai esistite. Forse, dopo tutto, la Soluzione Finale fu una politica di deportazione e di pulizia etnica, finalizzata a rimuovere dall’Europa la popolazione ebraica con mezzi brutali e spietati. Forse, dopo tutto, le “camere a gas naziste” furono una creazione della propaganda di guerra degli Alleati e dei sionisti.

Ma a causa dei freni dogmatici che condizionano gli storici “mainstream” della Soluzione Finale, Kershaw non può fare questo passo così logico.

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.fpp.co.uk/Hitler/Kershaw/Grubach_reviews.html
[2] Deborah Lipstadt, History On Trial: My Day in Court With David Irving, Harper-Collins, 2005, p. 23.
[3] Jeffrey Herf, The Jewish Enemy: Nazi Propaganda During World War II and the Holocaust, Belknap Press, 2006, p. 146.
[4] Ibid, p. 147.
[5] Ibid, pp. 5, 12, 110, 167, 267.
[6] Arno Mayer, Why Did the Heavens Not Darken?: TheFinal Solutionin History, Pantheon, 1988, p. 362.
[7] David Irving, Hitler’s War: 1942-1949, Papermac, 1977, p. 509.
[8] Citato in Richard Evans, Lying About Hitler: History, Holocaust, and the David Irving Trial [Mentire su Hitler: la storia, l’Olocausto, e il processo di David Irving], Basic Books, 2001, p. 83. Per un’altra discussione su questo documento, vedi Paul Grubach, “Holocaust Revisionism vs. Richard Evans”. In rete: http://www.fpp.co.uk/Legal/Penguin/books/Evans/Grubach.html
[9] Vedi David Irving, Nuremberg: The Last Battle, Focal Point, 1996, pp. 91-92; David Irving, Hitler’s War, edizione del 1991, p. 18.