Il razzismo dello stato ebraico


IL SILENZIO DELL’OCCIDENTE VERSO LE INACCETTABILI DISCRIMINAZIONI RAZZIALI D’ISRAELE[1]

Di Adri Nieuwhof, The Electronic Intifada, 20 Ottobre 2008

Nel 1965, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adottò la Convenzione per l’Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione Razziale (CERD). Questa convenzione definisce la discriminazione razziale come: “ogni distinzione, esclusione, restrizione, o preferenza basate sulla razza, il colore, la discendenza, o l’origine etnica o nazionale, che ha lo scopo o l’effetto di annullare o di intaccare il riconoscimento, il godimento, o l’esercizio, su basi di eguaglianza, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in ambito politico, economico, sociale, o in ogni altro campo della vita pubblica”. Essa afferma la convinzione che ogni dottrina di superiorità basata sulle differenze razziali è falsa, moralmente condannabile, socialmente ingiusta e pericolosa, e che non c’è giustificazione per la discriminazione razziale, in teoria o in pratica, in nessun caso. Israele ha accettato volontariamente l’obbligo di cooperare a questi obbiettivi con la ratifica del CERD nel 1979. Eppure, i palestinesi non hanno ancora tratto beneficio da questa convenzione.

Né hanno goduto di miglioramenti rispetto ai diritti di eguaglianza dall’epoca del primo Convegno Mondiale Contro il Razzismo del 2001. La Dichiarazione di Durban e il Programma di Azione adottati al Convegno hanno affermato il diritto inalienabile del popolo palestinese all’autodeterminazione e al rispetto dei diritti umani e del diritto umanitario, e hanno chiesto la fine della violenza e il riconoscimento del diritto alla sicurezza per tutti, nella regione. All’inizio di Ottobre del 2008, Navy Pillay, Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, sudafricano, ha confermato che il convegno per la revisione di Durban, indetto per valutare e accelerare i progressi dell’attuazione del Programma di Azione, avrà luogo nell’Aprile del 2009.

Israele è uno dei pochi paesi che non hanno una costituzione, avendo invece adottato una serie di Leggi Fondamentali. La discriminazione razziale istituzionalizzata dei palestinesi in Israele è facilitata dalla “Legge del Ritorno”, che “garantisce a ogni ebreo, dovunque sia, il diritto di venire in Israele e di diventare cittadino israeliano”. Questo diritto è stato esteso “per includere il figlio e il nipote di un ebreo, la moglie del figlio di un ebreo, e la moglie del nipote”.

Mentre la “Legge del Ritorno” è generosa verso l’immigrazione di ebrei provenienti da tutto il mondo, discrimina i palestinesi che sono effettivamente nati nella terra [di Palestina] e i loro discendenti. Centinaia di migliaia di profughi palestinesi che sono fuggiti dalle violenze e dalle aggressioni delle milizie sioniste e delle forze israeliane, dal 1948 fino a oggi, sono stati tagliati fuori dalla propria terra e dai propri possedimenti all’interno di Israele. La “Legge del Ritorno” non riconosce il loro diritto al ritorno, semplicemente perché non sono ebrei. Ancora oggi, ai palestinesi non viene permesso di ritornare nei loro villaggi.

Un altro esempio di discriminazione razziale istituzionalizzata in Israele è una legge provvisoria approvata dalla Knesset nel 2003 per impedire ai palestinesi provenienti dai Territori Occupati (la Cisgiordania e la Striscia di Gaza), e che hanno sposato cittadini israeliani, di vivere in Israele. Di conseguenza, i cittadini palestinesi di nazionalità israeliana che hanno sposato dei palestinesi residenti nei Territori Occupati dovranno anch’essi trasferirsi lì, o vivere separati dai propri mariti o dalle proprie mogli. La Legge permette agli uomini sposati a partire dai 35 anni e alle donne sposate a partire dai 25 anni di chiedere dei permessi di visita temporanea in Israele. Tuttavia, ai bambini nati da questi matrimoni verrà negata la cittadinanza allo scoccare dei 12 anni e saranno costretti ad andar via da Israele. Questa legge “provvisoria” è stata prorogata dalla Knesset nel 2007.

Il Centro Mossawa, che lavora per promuovere l’eguaglianza dei palestinesi di nazionalità israeliana, citando le statistiche del Ministero dell’Interno israeliano, ha affermato che la legge ha colpito almeno 21.298 famiglie, incluse coppie con matrimoni di lunga data le cui richieste di permesso di residenza erano in sospeso. Così, mentre la Legge del Ritorno ha lo scopo di facilitare l’unità delle famiglie ebree, l’unità delle famiglie palestinesi di nazionalità israeliana è stata ulteriormente ostacolata da questa legge “temporanea”.

La discriminazione razziale istituzionale dei palestinesi da parte di Israele viene attuata anche nei Territori Occupati. Dal 1967, il governo israeliano ha attivamente incoraggiato e facilitato l’afflusso di oltre 450.000 coloni ebrei in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, in chiara violazione del diritto internazionale. In netto contrasto, i palestinesi vengono sottoposti ad un trattamento differente. Nel 1967, 70.000 palestinesi vennero privati del loro diritto di risiedere in Cisgiordania e a Gaza, perché non si trovavano nei Territori Occupati durante il censimento israeliano successivo alla guerra di Giugno. Le richieste per i ricongiungimenti familiari con mogli o figli stranieri devono essere sottoposte alle autorità israeliane da un parente stretto residente nei Territori Occupati. Il processo di ricongiungimento delle famiglie può richiedere numerosi anni, e nel frattempo le persone cercano di stare con le loro famiglie inoltrando ripetutamente dei visti turistici di tre mesi. Tuttavia, Israele ha congelato nei Territori Occupati tutte le procedure di ricongiungimento dopo lo scoppio della seconda Intifada palestinese del Settembre del 2000. Le richieste di ricongiungimento non sono state più esaminate, e i permessi di soggiorno per le persone interessate non sono stati più rilasciati, separando le mogli e i figli dalle loro famiglie. Come gesto di buona volontà nel corso dei negoziati israeliani-palestinesi, Israele ha accolto circa 32.000 richieste di ricongiungimento familiare in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza dall’Ottobre del 2007. La maggior parte delle richieste accolte riguardavano palestinesi che stavano con le loro famiglie dopo che il loro permesso di soggiorno era scaduto. Tuttavia, secondo B’Tselem, quasi 90.000 persone stanno ancora aspettando una decisione sulla propria richiesta di ricongiungimento.

Gli Stati Uniti, il Canada e Israele si sono ritirati dal processo globale teso a eliminare la discriminazione razziale. Verranno probabilmente seguiti dai paesi dell’Unione Europea se il caso della discriminazione razziale contro i palestinesi verrà messo all’ordine del giorno. Tuttavia, gli appelli dei Premi Nobel per la Pace, Martin Luther King Jr., Nelson Mandela e Desmond Tutu, a combattere la discriminazione razziale non hanno perso la loro forza e sono ancora validi. Ad una conferenza-stampa dopo il meeting dello Human Rights Council delle Nazioni Unite, tenutosi lo scorso Settembre, Tutu ha detto: “Penso che l’Occidente, abbastanza giustamente, si senta contrito, pentito, per la sua orribile connivenza con l’Olocausto. Il prezzo viene pagato dai palestinesi. Spero solo che i cittadini comuni dell’Occidente si sveglino e dicano “Rifiutiamo di prendere parte a questa cosa””. Il silenzio e l’indifferenza della comunità internazionale verso la discriminazione razziale di Israele contro i palestinesi è un colpo a tutti quelli che non possono accettare l’ingiustizia e i comportamenti iniqui, sia da parte degli individui che degli stati. Inoltre, come Martin Luther King Jr. ha detto sulla discriminazione razziale contro gli afro-americani negli Stati Uniti, “l’ingiustizia, dovunque sia, è una minaccia alla giustizia, dovunque sia”.

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://electronicintifada.net/v2/article9902.shtml