Una storica conferenza di Germar Rudolf


CONFERENZA SUL REVISIONISMO

Di Germar Rudolf, 29 Maggio 2004[1]

Signore e Signori!

Permettetemi prima di tutto di esprimere la mia gratitudine a David Duke per avermi dato la possibilità di parlare a questo raduno. La mia presenza qui è tutt’altro che scontata, e non mi riferisco al fatto di essere stato sottoposto ad una massiccia persecuzione nel mio paese d’origine, la Germania, che ancora oggi mi rende assai difficile rimanere un uomo libero. Quello a cui mi riferisco sono due fattori che mi avevano quasi convinto a non venire qui.

Il primo è qualcosa di più di una storia triste; qualche collega revisionista, infatti, mi aveva detto: “Non andare lì. E’ stato condannato; deve aver fatto qualcosa di sbagliato”. A mia volta ho risposto in questo modo: “Bene, ascoltate! Quello che sappiamo sulla condanna di David Duke viene dai media e dai tribunali, e come revisionisti dovremmo tutti sapere che non troveremo mai la verità sui resoconti dei media e nelle sentenze dei tribunali, naturalmente. Così ho insistito per farmi una mia idea personale. Poiché non lo avevo mai visto, ho voluto parlargli di persona. E sono sicuro del fatto – e David Duke lo ha promesso – che alla fine pubblicherà tutte le sue carte e i suoi documenti su internet, in modo che tutti noi potremo scoprire da noi stessi che è stato davvero condannato in modo ingiusto.

La cosa che mi preoccupava di più, anche più di questa questione, è il mio status legale in questo paese. A causa di una serie interminabile di raid di polizia, di libri mandati legalmente al rogo, e di processi penali contro di me nel mio paese natale a causa ai miei scritti scientifici, ho chiesto asilo politico negli Stati Uniti alla fine del 2000. Il procedimento è ancora in corso, e perciò ho bisogno di stare attento alle persone con cui ho a che fare. E’ così perché ogni attività politica da parte mia che le autorità potrebbero interpretare come – cito – un atto di persecuzione o – cito – l’atto di approvare una persecuzione, e cioè che io perseguiti qualcuno o che approvi un’eventuale persecuzione – ogni atto classificato in questo modo potrebbe portare al rigetto della mia richiesta d’asilo. Il risultato sarebbe che il signor Ashcroft - o il suo successore - mi rimanderebbe in Germania, dove dovrei affrontare molti anni di prigione.

Naturalmente, potreste chiedervi in che modo la mia partecipazione a questo bel convegno potrebbe essere interpretato come “l’atto di approvare una persecuzione”. Esaminate il confine settentrionale con il Canada e avrete la risposta. Dal Febbraio del 2003, un mio collega revisionista e caro amico, Ernst Zündel, viene tenuto lì in cella d’isolamento, aspettando la sua deportazione per la Germania, perché le autorità canadesi lo considerano una minaccia per la loro sicurezza nazionale. Tutte le prove che hanno per affermare questo consistono nell’affermazione – in parte infondata – che in passato Ernst Zündel si è associato, in un modo o nell’altro, con vari gruppi considerati dalle autorità canadesi estremisti o appartenenti alla destra radicale.

Questo colpevole di associazione [sovversiva] è perciò vivo e vegeto proprio a nord del confine di questo grande paese e, in seguito all’11 Settembre e al cosiddetto Patriot Act, non ho dubbi che le autorità statunitensi troverebbero il modo di procedere in modo analogo, se ne avessero la possibilità.

Desidero perciò che teniate presente il rischio che sto correndo parlandovi. Considerate solo l’immagine che si ha di voi, come individui o per le associazioni che rappresentate, presso i media o le autorità. Considerate la deformazione - stile cartoni animati - con cui vi rappresentano, come persone o associazioni malvagie – o come rappresentano me, naturalmente. Essi vedono le persone e le associazioni con le quali mi trovo oggi, come il male, e potrebbero cercare alla fine di trarne vantaggio affermando che sono legato a gruppi che – ai loro occhi – approvano atti di persecuzione. E allora, perché vi parlo comunque, anche se questo potrebbe portare alla completa distruzione della mia vita sociale? Permettetemi di elencare qualcuna delle mie ragioni:

il concetto di “colpevolezza per associazione” è immorale e illegale in ogni stato di diritto. Se evitassi il contatto con persone con le quali mi trovo in disaccordo solo per paura di inconvenienti legali, approverei questi comportamenti immorali e illegali. E’ quindi dovere di ogni cittadino non prestare attenzione alle minacce legali di punizione per il fatto di avere rapporti con – cito – le persone sbagliate – fine della citazione.

La sola ragione che accetterei per non parlare con certe persone, sarebbe quella di giungere per mio conto alla conclusione di non volere avere rapporti con persone che hanno certe opinioni. Il problema, naturalmente, è quello di come poter sapere o scoprire le idee che voi, gente, avete su certe questioni politiche. In altre parole: per accertare se voglio, oppure no, parlare con voi avrei bisogno di sottoporre ognuno di voi ad un’accurata disamina politica. E per essere equo, dovrei applicare questo criterio ad ogni persona con cui mi capita di parlare: sia in questa stanza, dove vedo certe persone che non avevo mai visto prima e che potrei non vedere più di nuovo, o anche, per esempio, in qualsiasi treno del metrò di Chicago, i cui passeggeri potrei allo stesso modo non incontrare mai più. Naturalmente, una tale procedura sarebbe non solo assurda, ma anche contraria a tutti i comportamenti di una società libera, ma sarebbe anche qualcosa di più: sarebbe contraria al diritto alla privacy. Mi rifiuto perciò di raccogliere informazioni sui miei ascoltatori. presenti e futuri, o sui miei partner nei dibattiti.

Io stesso sono stato ripetutamente vittima delle paure provocate dalla “colpevolezza per associazione”. Non solo gli estranei, ma anche individui che un tempo consideravo amici, e persino alcuni parenti, si sono rifiutati di avere a che fare con me perché erano sotto pressione da parte della società. Anche se i miei cosiddetti amici e i miei parenti sapevano che la propaganda messa in atto dai media tedeschi era sbagliata e distorta, tuttavia hanno ceduto alla pressione. Perciò la mia linea di condotta è quella di non essere succube del “politicamente corretto”, ma di rimanere fedele ai miei principi; di decidere per conto mio con chi voglio parlare; e di farmi la mia idea personale sui miei interlocutori piuttosto che farmi dire quello che devo pensare su di loro.

Se avessi voluto piegarmi alle pressioni dei governi che volevano che non parlassi di certi argomenti e che non entrassi in relazione con certe persone, sarei rimasto in Germania, avrei scontato la mia condanna e avrei smesso di fare quello che faccio. Ho invece deciso di percorrere l’altra strada, quella di esercitare fermamente il mio diritto alla libertà di parlare di qualunque cosa mi garbi e con chiunque mi garbi, senza essere per questo ritenuto responsabile delle opinioni e delle azioni altrui. Non cambierò questo comportamento solo perché mi trovo negli Stati Uniti.

La censura è il più grande ostacolo posto sulla strada del revisionismo storico. Sarebbe davvero il colmo se mi auto-censurassi rifiutando di dire la mia quando ne ho la possibilità: potrei essere più controproducente di così?

Ultima ragione, ma non meno importante: è sicuramente vero che non condivido certe opinioni che qualcuno di voi ha. Ma questo disaccordo, vorrei sottolinearlo, è fin troppo naturale. Può essere osservato in ogni luogo in cui gli esseri umani si incontrano. Ma è forse questa una ragione per non scambiarsi delle opinioni? Non è uno dei principi di questa società presuntamente illuminata che se uno ha un’opinione ritenuta erronea, non dobbiamo evitare questa persona ma dobbiamo piuttosto cercare di parlarci per tentare di fargli cambiare idea? Così, anche se tutti voi aveste delle opinioni totalmente ripugnanti, cosa ci sarebbe di così cattivo nel fatto che vi parlo per cercare di cambiare la vostra idea sul revisionismo?

Tuttavia, come ho detto prima, non conosco le vostre idee, e non voglio neppure conoscerle, perché non è affar mio conoscere le idee di ogni essere umano su ogni argomento potenzialmente controverso.

Mi scuso per questa prolungata precisazione, ma data la mia situazione legale, spero che capirete perché ho dovuto iniziare la mia prolusione con queste spiegazioni.

Sebbene non sia qui per scoprire le vostre opinioni su certi argomenti, capisco che tutti voi siete qui per scoprire le mie su certe questioni controverse, la qualcosa è, dopotutto, una delle ragioni per cui avete fatto di tutto per essere qui presenti. Così, permettetemi di mettervi tutti nei guai associandovi a me questa sera.

In una telefonata di un paio di settimane fa, Duke mi ha detto quale sarebbe stato lo scopo del convegno: individuare e discutere idee su come cambiare lo status quo sociale e politico in America. Il fatto di conoscere anche soltanto un po’ David Duke dovrebbe permettere a chiunque di farsi una vaga idea di quello che lui vuol dire con ciò. Permettetemi perciò di cogliere quest’opportunità spiegando innanzitutto cos’è il revisionismo, e cosa non è.

Il revisionismo non è un’ideologia. E’ un semplice concetto, un metodo. Il revisionismo riguarda soprattutto la precisione. Il revisionismo storico riguarda il tentativo di rendere gli studi storici più esatti, per metterli in accordo con i fatti.

Per quanto noioso possa sembrare, c’è qualcosa di esplosivo in quest’idea, perché quello che ho appena definito non è nient’altro che la definizione basilare di ogni storiografia. La verità, tuttavia, è che molti storici “normali”, ma sarebbe meglio dire “ordinari”, non rispettano questa regola, quando si affrontano certi argomenti. La ragione è molto semplice: si chiama condizionamento politico.

Ogni regime politico e ogni società esercitano una pressione sugli storici affinché la storia venga scritta in un modo che è loro favorevole. Le dittature possono esercitarla in modo più aperto e brutale delle cosiddette repubbliche, ma la differenza è solo di grado. Il revisionismo storico è la forza che resiste e che combatte questa pressione. Sebbene in sé stesso sia apolitico, il revisionismo storico perciò ha un profondo effetto politico. Poiché è sempre diretto contro i poteri vigenti, è sempre all’opposizione, se non decisamente rivoluzionario. Desidero tuttavia che teniate presente questo: la forza del revisionismo risiede nella sua scientificità, dal suo astenersi da ogni tentativo di diventare politico. Poiché solo affermazioni inequivocabili, oggettive, avvalorate da prove incontrovertibili, e prive di attacchi personali e di interpretazioni faziose, hanno il potere di coinvolgere potenzialmente chiunque.

Permettetemi ora di esaminare più da vicino il mio argomento specifico: il revisionismo dell’Olocausto. Si tratta solo di una piccola branca del revisionismo, quasi certamente la più controversa. Il prof Faurisson una volta ha detto che il revisionismo dell’Olocausto è la bomba atomica intellettuale dei poveri e degli oppressi. Ha detto anche che le prime vittime della propaganda dell’Olocausto, e di conseguenza i primi beneficiari del revisionismo dell’Olocausto, sono i tedeschi – ma non i loro governanti – oltre naturalmente ai palestinesi senza distinzioni. Ritengo, tuttavia, che queste affermazioni non siano di grande aiuto perché non mostrano realmente il quadro completo della situazione. Permettetemi perciò di fornire una descrizione più esaustiva cercando di individuare prima di tutto chi sono i primi beneficiari della propaganda dell’Olocausto e per quale motivo. Seguirò il mio percorso argomentativo così come l’ho delineato nel mio contributo ad un opuscolo commemorativo che ho pubblicato nel Gennaio di quest’anno in onore del 75° compleanno del prof. Faurisson. Dividerò le categorie che ricavano benefici massicci dai miti dell’Olocausto in tre gruppi:

I sionisti. Include la maggior parte degli ebrei - anche se non tutti - ma anche molti cristiani che hanno un’adorazione irrazionale per gli ebrei in quanto Popolo Eletto da Dio. Nel mondo vi sono certamente più cristiani sionisti che ebrei sionisti, sebbene i cristiani non siano di solito fanatici come gli ebrei. Il motivo per cui i sionisti traggono vantaggio dal mito dell’Olocausto è ovvio: perchè conferisce agli ebrei uno status di inattaccabilità morale, che è la pole position per ottenere il controllo su altre categorie di persone, come il prof. Norman Finkelstein ha bellamente dimostrato nel suo libro L’industria dell’Olocausto. Infine, la maggior parte dei cristiani sionisti sono sionisti perché credono nell’Olocausto, che trasforma gli ebrei in quanto tali – e lo stato d’Israele insieme a loro – in icone religiose.

Il capitalismo internazionale. Il capitalismo ha interesse a spezzare i confini [degli stati nazionali] sia da un punto di vista politico/fiscale, sia dal punto di vista etnico/culturale, perché il profitto di ogni capitalista aumenta quando gli stessi prodotti si possono vendere ovunque nel mondo. L’Olocausto viene solitamente descritto come la conseguenza logica delle ideologie di destra (come il nazionalsocialismo), come l’esito finale dell’esclusivismo nazionalista e etnico. Perciò, il mito dell’Olocausto è l’arma perfetta per combattere ogni genere di indipendenza nazionale, di autarchia e di protezionismo, ogni genere di identità e di esclusivismo etnico e culturale.
Gli ideologi dell’egualitarismo. Quelli che affermano che tutti gli esseri umani sono uguali – io li chiamo egualitari – hanno un’arma straordinaria nel mito dell’Olocausto, da loro considerata come la “prova” suprema della malvagità assoluta di ogni ideologia che osi fare delle distinzioni tra i vari gruppi umani. Utilizzando come argomento l’Olocausto, chiunque dissenta dalle concezioni egualitarie può essere facilmente ridotto al silenzio mettendolo di fronte all’argomento delle camere a gas: “Tutti sappiamo dove conducono le ideologie che affermano che le persone non sono uguali: alle camere a gas di Auschwitz”.

Perciò, l’ideologia dell’egualitarismo, che è la forza motrice della sociologia e della politica di sinistra, diventa virtualmente inattaccabile. Sebbene gli ideologi dell’egualitarismo siano di solito antagonisti rispetto al capitalismo internazionale, di fatto si sostengono reciprocamente, perché la distruzione delle culture particolari e dei gruppi etnici – uguaglianza contro identità – è lo scopo di entrambe le ideologie. Le ideologie di sinistra si oppongono talvolta anche al valore dell’altruismo, essendo considerato contrario agli ideali dell’auto-realizzazione e dell’emancipazione, perché l’altruismo richiede un senso di appartenenza a un particolare gruppo umano, nonché un comportamento basato sullo spirito di sacrificio in favore di tale gruppo, e contro – almeno indirettamente – altri gruppi. Il capitalismo internazionale condivide questo intento di distruggere le identità e ogni legame con gruppi particolari, perché il consumatore atomizzato e senza identità, che professa degli pseudo-valori meramente egoistici, materialistici e edonistici, e non certo degli ideali altruistici, può essere manipolato molto facilmente, come preda indifesa di ogni campagna pubblicitaria.

I demografi mostrano che le popolazioni autoctone dell’Europa stanno andando a rotoli, in conseguenza di una pandemia di edonismo, che ha inondato questo continente con un’intensità che procede parallela all’intensità della propaganda dell’Olocausto. Nel giro di cento anni, l’Europa rimarrà spopolata delle sue popolazioni originarie, rimpiazzata da stranieri provenienti soprattutto dall’Asia minore e dall’Africa. L’America del Nord è di fronte a una situazione analoga, che però può essere vista come una semplice “reconquista”, principalmente ad opera dei mestizos messicani.

Il capitalismo internazionale sta conducendo il mondo sull’orlo dell’esaurimento ecologico generalizzato e della rovina economica – un orlo che sarà presto varcato – soprattutto a causa di una progressiva redistribuzione della ricchezza, dai poveri ai ricchi – sia a livello nazionale che internazionale – grazie a un sistema monetario basato sul debito pubblico e sugli interessi composti. La rivolta, forse addirittura una rivoluzione, sarà inevitabile nel lungo periodo. Una via d’uscita sembra impossibile, perché richiederebbe concetti finanziari radicalmente “nuovi”, come quelli che erano stati sperimentati con successo dal…regime innominabile a cui viene attribuita l’invenzione delle “camere a gas”. Così, imponiamo a tutti il silenzio e continuiamo a correre verso il disastro!

Nel frattempo, la lobby sionista di Washington ha iniziato a combattere una guerra “eterna” con l’obbiettivo di stabilizzare Israele, conquistare le fonti petrolifere del Medio Oriente, e sostenere la spina dorsale – il dollaro - del fatiscente capitalismo internazionale, con la violenza e la forza bruta. Sarà tutto inutile, perché nessuno può sfuggire alle leggi matematiche delle funzioni esponenziali nascondendosi dietro il debito pubblico e un gigantesco deficit commerciale.

L’economia mondiale è squilibrata: nel corso degli anni gli Stati Uniti sono arrivati a perdere fino al 5% del proprio reddito in favore di paesi stranieri, dei quali il principale beneficiario è la Germania.

E allora, qual è il ruolo del revisionismo dell’Olocausto? E’ vero che il revisionismo non può risolvere nessuno dei problemi testé nominati. Quello che il revisionismo può fare, però, è sfidare l’egemonia morale e culturale dell’ideologia dominante delle società occidentali, le cui carenze sono la ragione del declino finora evidenziato. Se il revisionismo avrà successo, l’egemonia morale e culturale dell’egualitarismo, dell’internazionalismo e del sionismo crollerà, perché le idee antagoniste non si possono più diffamare così facilmente, ammesso che sia possibile in assoluto, e perché tutti quelli che traggono vantaggio dall’Olocausto per i loro scopi politici dovranno affrontare una situazione in cui questa politica sarà controproducente, se non disastrosa.

Sebbene il revisionismo non sia né di destra né di sinistra, né tedesco né ebraico, né internazionalista né patriottico, è sempre dalla parte degli oppressi: siano essi palestinesi, iracheni, o patrioti tedeschi, o qualsiasi altro gruppo che lotta per preservare la propria identità, o persino la propria stessa esistenza. Domani potrebbe trattarsi degli ebrei, se la loro esistenza venisse minacciata.

Capisco che molti di voi sono preoccupati per il futuro del retaggio, culturale e etnico, europeo degli Stati Uniti. Sebbene gli americani di origine europea non siano negli Stati Uniti né una minoranza né un gruppo perseguitato, è certamente vero che coloro che insistono a voler preservare l’identità europea di questo paese, e che si oppongono ai matrimoni misti, incontrino l’opposizione massiccia dell’establishment. La ragione è che tali idee sono agli antipodi delle tre ideologie suddette: il mondialismo, l’egualitarismo e il sionismo. In quanto tale, il revisionismo dell’Olocausto può esservi d’aiuto. Ma vi prego di essere consapevoli che il revisionismo non è un’arma a vostra esclusiva disposizione. Esso è anche un arma potenziale per molte nazioni del mondo nella loro lotta contro lo sfruttamento economico da parte del capitalismo internazionale, la cui forza motrice sono gli Stati Uniti. Inoltre, è un’arma potenziale per tutte le minoranze etniche di questo paese che vogliano preservare la propria identità e resistere ai tentativi di assimilazione. E infine, come forza capace di minare alla base la legittimità del mondialismo, il revisionismo è anche un’arma potenziale contro il nuovo impero chiamato Stati Uniti d’America. Per dirla in modo schietto, ciò significa che il cittadino americano che voglia utilizzare il revisionismo a fini politici finisce per segare il ramo su cui è seduto, perché la maggior parte della ricchezza americana dipende attualmente dallo sfruttamento economico ed ecologico del pianeta. Quando questo tipo di nuovo imperialismo si fermerà, si fermerà anche la ricchezza americana e ne risulterà una massiccia povertà per la maggior parte della popolazione di questo paese, a meno che l’America non venga ristrutturata nel senso di una società più equa, più solidale e più altruista.

Per terminare questa parte della mia relazione, permettetemi di sintetizzare quanto detto finora dicendo che in sé stesso il revisionismo dell’Olocausto è, e deve essere, apolitico. Tuttavia, l’impatto politico potenziale del revisionismo è globale in scala e rivoluzionario in profondità. Tale impatto non va a beneficio esclusivamente di un certo gruppo, ma a beneficio di chiunque sia oppresso dai poteri vigenti, e questa categoria include forse il 95% dell’intera popolazione del pianeta, soprattutto nel terzo mondo, ma anche i poveri e gli oppressi delle nazioni industrializzate.

Dico questo qui perché, riguardo alla lotta politica, tutti tengano bene a mente il vecchio proverbio romano: divide et impera. Se tuttavia sentite di aver bisogno di spezzare il giogo di governanti stranieri e ostili, dovete applicare il principio opposto: unita et libera – unitevi e liberatevi. Contro i poteri forti avete bisogno di unirvi al maggior numero possibile di alleati, altrimenti non riuscirete a liberare voi stessi. Perciò, dovrete trovare un terreno d’intesa con altri gruppi che soffrono a causa della situazione attuale. Ho mostrato come il revisionismo dell’Olocausto possa potenzialmente guadagnare il sostegno del 95% dell’umanità – bianchi, gialli, rossi, e neri, americani e stranieri, cristiani, musulmani, atei e persino degli ebrei non sionisti. In questo modo, potremo vincere.

Passiamo ora alla questione più spinosa: come può il revisionismo dell’Olocausto diventare egemone? La mia risposta potrà sorprendervi, forse deludervi, ma è questa: possiamo fare ben poco per raggiungere questa meta, e se il revisionismo diventerà dominante, non sarà certo per causa nostra. Ecco perché:

Le due caratteristiche principali delle società moderne sono:
l’alto livello di specializzazione.
Il loro essere società informatiche, in cui le informazioni sono trasmesse ad un livello pervasivo dai media controllati dai poteri dominanti.

Le conseguenze di tali caratteristiche sono le seguenti:

a) in una società altamente specializzata, gli esperti di un determinato campo stabiliscono quello che viene percepito come vero e quello che viene considerato falso. La maggior parte delle persone non ha altra scelta se non quella di affidarsi al consiglio dell’esperto, e fa bene. Perciò, fino a quando quasi tutti gli storici dell’Occidente sottoscriveranno la versione dominante prestabilita dell’”Olocausto”, il mondo occidentale presumerà che questa è la “verità”.
b) I media contemporanei, dominati dalla TV, insieme a sofisticate tecniche psicologiche, ci portano al fatto insormontabile che la stragrande maggioranza della gente crederà sempre a quello che i notiziari diranno loro. E non avremo mai la possibilità di competere con questi giganteschi mass-media multimiliardari. Ogni goccia d’informazione che riusciremo a portare all’attenzione dell’opinione pubblica si disperderà nell’oceano della disinformazione dominante.

Quando David Duke mi ha chiesto due settimane fa di presentare un’agevole sintesi degli argomenti più importanti e aggiornati del revisionismo, mi sono chiesto: perché dovrei farlo? La risposta potrebbe essere: sia per convincervi se voi stessi non siete convinti, oppure per permettervi di uscire da qui e di convertire il mondo. Tuttavia, l’esperienza che mi viene dalle molte conferenze che ho fatto davanti a uditori impreparati mi dice che non posso convincere una folla, a cui è stato fatto il lavaggio del cervello, con argomenti scientifici divulgati in un’ora o due, quando poi i miei uditori tornano a casa e rimarranno esposti ad altri vent’anni e più della solita massiccia propaganda olocaustiana diffusa da tutti i canali dei media. La mia esperienza mi dice anche che solo una percentuale dal 2 al 3% di ogni gruppo di persone è capace di esercitare un pensiero critico, fuori dagli schemi. La maggioranza seguirà sempre il gregge. E quando si parla di Olocausto, il gregge segue quello che gli dicono i media, e i media riportano quello che scrive la maggioranza degli storici.

Questo significa che rimarremo incastrati per sempre da questa gigantesca menzogna?

No. Ma la soluzione non sta in noi revisionisti che cerchiamo di convincere la gente normale o di fare della vana contro-informazione contro i mass-media. Naturalmente, continuo a fare anche questo, perché non si sa mai, e perché per me avere dei clienti che pensano che io abbia ragione è anche un mezzo necessario di sopravvivenza economica. Tuttavia, non mi faccio l’illusione che noi revisionisti potremo mai risolvere questo problema. La soluzione è altrove.

C’è solo una risorsa che il revisionismo ha, e si chiama precisione.

Se è vero che solo quel 2 o 3% di spiriti critici è il potenziale destinatario dei nostri sforzi, e se è vero inoltre che sono gli esperti a essere ascoltati dai media e dall’opinione pubblica, allora dobbiamo incominciare con quel 2 o 3% di storici [relativamente] critici. E c’è solo una cosa che può convincere questo tipo di studiosi: essere talmente precisi e superiori rispetto a quanto è stato scritto in precedenza che essi non possano fare altro che rimanere persuasi. E questo è l’argomento di cui desidero parlare adesso.

Negli ultimi otto anni ho sentito e risentito il discorso che il revisionismo dell’Olocausto ha esplorato tutto l’esplorabile, che tutti gli argomenti importanti sono stati già presentati, che tutto quello che è stato detto dalla contro-parte è stato confutato migliaia di volte, e che non è rimasto nulla da fare se non dedicarsi a qualcos’altro.

Questo discorso è vero e falso nello stesso tempo. Anche se è vero che diversi argomenti-bomba, realmente convincenti, sono in circolazione da molti anni, se non da decenni, non è esatto dire che tutto è stato già esplorato e che tutti gli argomenti della controparte sono stati confutati. Io tendo a guardare la cosa dal punto di vista opposto: quando ho iniziato a essere coinvolto nel revisionismo, all’inizio degli anni ’90, fui colpito dalla mancanza di studi che fossero conformi a criteri scientifici. Avendo percorso un tirocinio di dieci anni di studi scientifici, ho appreso scrupolosamente come deve essere fatto un lavoro scientifico. Quasi nessuno dei lavori revisionisti che ho letto in quegli anni era conforme ai criteri necessari. E quando c’era un libro che soddisfaceva i detti criteri, l’argomento trattato copriva solo una parte del gigantesco avvenimento chiamato Olocausto, che si estende nello spazio per un intero continente, nel tempo per cinque anni, e riguarda milioni di individui in centinaia di posti diversi. Come si può affermare che poche monografie di una manciata di autori coprano l’intera area d’indagine?

Non è stato prima della metà degli anni ’90 che la ricerca scientifica degna di questo nome è iniziata: ricerca che è stata condotta in numerosi archivi e località di tutta Europa, ma soprattutto in quell’Europa orientale che era stata fino a qual momento inaccessibile. Decine, se non centinaia di migliaia di documenti sono stati riesumati e analizzati. E non è stato prima del 1998 che il primo frutto di questa ricerca è stato pubblicato in una serie di relazioni e monografie che ho avuto sia il compito che l’onore di portare alla luce con la mia casa editrice bilingue. E posso dire che abbiamo solo iniziato l’enorme compito di scrivere una serie di antologie e di monografie meticolosamente documentate di quello che è successo e di quello che non è successo agli ebrei europei durante la guerra.

Per darvi solo un esempio: esaminiamo una delle opere standard sull’Olocausto, il Kalendarium [degli avvenimenti del campo di Auschwitz] di Danuta Czech. La prima edizione di quest’opera di circa 900 pagine venne pubblicata negli anni ’60. E’ basata su migliaia di documenti e di testimonianze che provano presuntamente lo sterminio di massa a Auschwitz. Non è stato scritto mai nulla da parte revisionista che abbia affrontato quest’opera. E allora come si può dire che l’abbiamo confutata se non l’abbiamo neppure trattata? E questo è proprio quello che ci vuole per convincere gli storici [potenzialmente] scettici: a) confutare la tesi di questo libro e di altri libri simili e b) pubblicarne uno che sia molto più preciso, esatto e affidabile in modo tale che ogni storico dotato di senso critico debba cambiare campo. Ancora non abbiamo fatto nulla del genere, neanche lontanamente. Dall’anno 2000, tuttavia, ci stiamo dedicando al compito enorme di dedicarci al campo di Auschwitz, con diversi autori, e ho investito decine di migliaia di dollari in questo progetto, nonostante i miei problemi finanziari. I primi risultati di questa ricerca sono stati presentati al pubblico in diverse relazioni che ho pubblicato nelle mie riviste, e mentre questa ricerca era in corso siamo usciti anche con una serie di libri su altri campi, come Majdanek, Stutthof, Treblinka, Belzec, alcuni dei quali sono qui disponibili nel mio spazio librario. Tutti questi lavori sono innovativi, nel senso che presentano un livello di scrupolosa ricerca storica mai visto finora in nessuna delle due parti di questa controversia. L’enorme opera su Auschwitz in due volumi, più di duemila pagine, che verrà presentata alla fine di questo progetto, e che si basa su decine di migliaia di documenti originali e su una gran quantità di prove forensi, sarà pubblicata fra tre anni, se saremo fortunati. La ragione è semplice: il revisionismo può contare, per ora, solo su UN ricercatore a tempo pieno [Carlo Mattogno]. Sì, avete sentito bene: solo una persona su sei miliardi! E non sono io, poiché sono solo un editore! La ragione di tutto ciò è anch’essa semplice da individuare: la persecuzione. La maggior parte delle persone che hanno intrapreso qualche ricerca a un certo punto sono state condotte alla rovina, economica e personale, dalle persecuzioni e dai procedimenti penali, come me.

Alcuni dei risultati della nostra ricerca in corso sono consultabili nel libro che ho pubblicato di recente, nel caso qualcuno sia interessato. E’ scritto in modo tale da convincere l’esperto di storia potenzialmente scettico, e adesso vi mostrerò che questa strategia funziona.

Il primo passo in questa direzione è stato un libro pubblicato nel 1995 dallo storico Joachim Hoffmann (che ha lavorato a lungo in un istituto di ricerca finanziato dal governo tedesco) sulla guerra tedesco-sovietica del 1941-45. Sebbene il suo principale obbiettivo sia un altro, Hoffmann ha discusso le menzogne propagandistiche e le esagerazioni propalate dai sovietici, e così facendo si è imbattuto – prima accidentalmente e poi sistematicamente – nella ricerca dei revisionisti, che ha avuto il coraggio di citare. Ho avuto il piacere di pubblicare la traduzione inglese del suo libro, e così facendo sono riuscito a penetrare non solo nella mente del suo autore ma anche a sapere quello che sta avvenendo nella cerchia degli storici tedeschi: prima di tutto, non pochi di essi, sono davvero spaventati dalla persecuzione governativa ma, in secondo luogo, sono anche consapevoli del fatto che la storia che viene insegnata in Germania è assai poco esatta. Hanno grattato solo la superficie delle menzogne ma sicuramente hanno sentito la puzza. La paura della persecuzione e la mancanza di argomenti li tiene però ancora a bada.

Il secondo passo di cui voglio parlare è un articolo pubblicato nel Maggio del 2002 da un importante redattore, Fritjof Meyer, della principale rivista tedesca: Der Spiegel. Quest’articolo ha fatto molte concessioni al revisionismo, delle quali vorrei elencare solo alcune: l’ex comandante del campo di Auschwitz, Rudolf Höss, fu costretto con la tortura a scrivere la sua “confessione”. La capacità di cremazione dei crematori di Auschwitz è stata largamente esagerata. Il solo lavoro attendibile sulla capacità reale è stato pubblicato dai revisionisti, e Meyer cita anche il libro su cui si è basato: Dissecting The Holocaust, il mio volume antologico di cui è stata appena pubblicata la seconda edizione inglese. Tenete presente che questo libro ha scatenato una delle più grandi perquisizioni – e conseguente rogo delle copie del libro – mai intraprese nella storia della Germania contemporanea! Eppure Meyer ancora cita quest’opera “infernale” – seppur prendendo le distanze dal resto del libro, ma lo fa!

Il risultato della sua indagine è che ad Auschwitz non sono morte un milione di persone ma forse solo la metà.

E, quel che più conta: i locali finora ritenuti come le principali attrezzature dello sterminio, certe camere mortuarie dei crematori di Auschwitz, in realtà, secondo Meyer, non furono affatto utilizzate come camere a gas!

Quest’articolo provocò uno scambio di opinioni tra Meyer e il capo del dipartimento della ricerca del Museo di Auschwitz, Franciszek Piper. Nella sua confutazione dell’attacco portatogli da Piper, Meyer si è basato ancora di più sugli argomenti revisionisti, citando decine di documenti che i nostri indefessi ricercatori hanno riesumato e pubblicato nel corso degli anni – per quanto Meyer non li degni neppure di una sola parola. Questa controversia, con un’analisi delle concessioni e degli errori che sono stati fatti dai due polemisti, è stata attentamente documentata sulla mia rivista The Revisionist.

Il terzo passo in avanti è un libro dello storico tedesco “mainstream”, Werner Maser, libro che è stato pubblicato lo scorso Aprile. Il suo titolo è: “Falsità, favole e verità su Hitler e Stalin”. Sebbene non abbia ancora letto il libro, che sto per ricevere, un editore tedesco mio amico mi ha già detto che Maser si rifà al coraggioso semi-revisionismo di Meyer e fa addirittura un passo ulteriore: ha osato citare la mia rivista tedesca, scusandosi per questo (non c’è bisogno di dirlo) ma dicendo che questa rivista pubblica così tanti documenti importanti che non poteva fare a meno di nominarli. Citare la ricerca revisionista in libri dell’establishment è diventato inevitabile.

Vedete: eccoci al punto. Se si presentano studi scrupolosi e prove scientifiche schiaccianti, gli studiosi dotati di senso critico all’interno della comunità degli storici alla fine ne terranno conto. Lentamente, all’inizio, ma lo faranno. E per essere franchi: non mi importa se forniranno gli opportuni riferimenti al nostro lavoro oppure no, o se facendolo parleranno male di noi, fintantoché accetteranno i fatti per come sono. E’ questo che mi interessa al momento.

Quella che possiamo sperimentare adesso in Germania è la prima fase di un nuovo orientamento, la fase preparatoria di una rivoluzione storiografica. E sono sicuro che si diffonderà, perché affonderò i miei tacchi sul suolo di questo paese per continuare a pubblicare [libri] nella nuova lingua franca, in modo che il mondo intero possa scoprire la madre di tutte le menzogne, e come è stata creata e sfruttata dai poteri dominanti!

Finora ho parlato quasi esclusivamente di politica. Tuttavia, siccome non voglio deludere quelli di voi che si aspettavano anche qualcosa sul revisionismo, accondiscendo al desiderio di David Duke di fornirvi degli orientamenti su come trattare l’argomento Olocausto quando ne parlate con altre persone. Ma, di nuovo, non può essere quello che vi aspettate perché adesso non vi darò un prontuario degli argomenti più esplosivi del revisionismo. Una delle ragioni per cui non lo farò è che sono giunto alla conclusione che la maggior parte delle persone, quando vengono messe di fronte a una massiccia bordata di argomentazioni reagiscono in modo opposto a quello che vorremmo: finiscono per considerarci dei fanatici, nel migliore dei casi, e perfidi nazisti nel peggiore. Tuttavia, se davvero volete leggere un riassunto delle nostre argomentazioni, potete prendere gratis il nostro volantino La controversia dell’Olocausto, qui sul mio tavolo dei libri oppure, se volete approfondire l’argomento, vi raccomando allora di comprare il mio libro Dissecting the Holocaust.

Come ho detto in precedenza, ho qualche esperienza di tentativi fatti per far diventare le persone più critiche verso quello che sono costrette a sorbirsi dai media, dai politici, e dalle istituzioni scolastiche, in modo tale che alla fine possano valutare le argomentazioni revisioniste. Finora l’approccio più efficace si è rivelato quello che si tiene lontano dall’Olocausto in quanto tale, ma che parla invece di avvenimenti accaduti nel 1900, l’anno in cui la propaganda dell’Olocausto è iniziata. Sì, mi avete sentito bene: il 1900. Non il 1941, e neppure il 1933, no, sto parlando dell’anno Uno Nove Zero Zero.

Di quello di cui parlerò adesso sono debitore ad uno degli autori della mia collana, Don Heddesheimer, che ha rintracciato tutte le notizie di cui sto per parlare, e il cui libro ho avuto l’onore di pubblicare l’anno scorso. Il suo titolo è: "The First Holocaust. Jewish Fund Raising Campaigns with Holocaust Claims During and After World War One" [Il primo olocausto. Le campagne ebraiche di raccolta fondi con dicerie sull’Olocausto durante e dopo la prima guerra mondiale]. Il titolo stesso dice molto.

La questione è fondamentalmente la seguente: da quando sappiamo che durante l’Olocausto della seconda guerra mondiale sono morti sei milioni di ebrei? Solo pochi minuti fa ho menzionato Hoffmann come il primo storico tedesco “mainstream” che abbia utilizzato gli argomenti dei revisionisti. Egli ha anche scoperto che i sovietici utilizzarono la cifra dei sei milioni, nelle loro pubblicazioni propagandistiche, già nel Dicembre del 1944, in un’epoca in cui nessuno poteva conoscere il tasso di mortalità. Heddesheimer ha riesumato molti articoli, pubblicati soprattutto dal New York Times, tra la fine della prima guerra mondiale e il 1927, che dicevano che milioni di ebrei nell’Europa orientale avrebbero subito una catastrofe a causa della fame e delle malattie se non avessero ricevuto aiuti massicci. Parole ronzanti come Olocausto, sei milioni, e sterminio, c’erano già tutte. Ho riprodotto alcune frasi tratte dagli articoli del New York Times sulla copertina del libro di Heddesheimer. L’esempio più impressionante, che è conosciuto già da un bel po’, venne pubblicato sul numero del 31 Ottobre del 1919 della rivista The American Hebrew da Martin H. Glinn, che era stato governatore dello stato di New York alla fine della prima guerra mondiale. In questo articolo possiamo leggere frasi come le seguenti:

“Dall’altra parte del mare, sei milioni di uomini e donne ci chiedono aiuto […] sei milioni di essere umani. […] Sei milioni di uomini e donne stanno morendo […] nell’incombente olocausto della vita umana […] sei milioni di uomini e donne affamati. Sei milioni di uomini e donne stanno morendo […]”

Heddesheimer ha anche provato che queste dicerie erano tutte fraudolente. Ha mostrato pure che già nel 1900 i sionisti affermavano che sei milioni di ebrei sofferenti in Europa sarebbero stati un buon argomento per il sionismo.

Vedete: la propaganda dell’Olocausto è molto più vecchia della seconda guerra mondiale. Far capire questo alla gente offre una tale apertura che dopo questa rivelazione la maggior parte delle persone accetterà la possibilità che le informazioni siano state manipolate.

Un’altra serie [di dicerie] che corre lungo un secolo di propaganda dell’Olocausto quasi ininterrotta è quella relativa alle camere a gas. Permettetemi di mostrarvi su questo due articoli di giornale. Il primo è stato pubblicato sull’inglese Daily Telegraph, il 22 Marzo 1916, a p. 7, vale a dire in piena guerra. Recita così:

“Secondo un’informazione attendibile, le vittime degli austriaci e dei bulgari superano le 700.000 unità. […] Donne, bambini e anziani sono stati fucilati nelle chiese dagli austriaci, e anche infilzati con le baionette o soffocati con il gas asfissiante”.

Oggi viene generalmente riconosciuto che questa fu una menzogna propagandistica inventata dagli inglesi. Ora, confrontiamo quest’informazione con un articolo che apparve sullo stesso Daily Telegraph il 25 Giugno del 1942, a p. 5, e cioè cinque giorni prima che il New York Times, di proprietà ebraica, riferisse per la prima volta del presunto sterminio degli ebrei nell’Europa controllata dai tedeschi:

“I tedeschi hanno ucciso 700.000 ebrei in Polonia. Camere a gas mobili”.

Ora, se pensate che sia ovvio che nessuno diffonderebbe oggi dicerie tanto vergognose sugli avvenimenti in corso nel mondo, devo darvi un’altra lezione assolutamente sbalorditiva: permettetemi di sottoporvi solo due esempi da una guerra del 1991, quasi cinquant’anni dopo l’inizio della propaganda del secondo Olocausto. Riguarda la prima guerra dell’America contro l’Iraq, intrapresa per far sloggiare le truppe irachene fuori dal Kuwait. La Jewish Press, di New York, che allora si definiva come “il più grande settimanale indipendente anglo-ebraico”, scrisse sulla sua copertina il 21 Febbraio 1991:

“GLI IRACHENI HANNO CAMERE A GAS PER TUTTI GLI EBREI”.

Oppure prendete la copertina del volume 12, numero 1 (primavera 1991) di Response, un periodico pubblicato dal Simon Wiesenthal Center di Los Angeles, e distribuito in 381.065 copie:

“I TEDESCHI PRODUCONO ZYKLON B IN IRAQ (La camera a gas fatta in Germania dell’Iraq)”.

Spero che afferriate l’idea: 1900, 1916, 1927, 1942, 1991…

Nel 1991 era sicuramente tutta un’invenzione, come pure le dicerie successive prima della seconda guerra dell’America contro l’Iraq nel 2003, secondo cui l’Iraq possedeva o stava per possedere armi di distruzione di massa – sebbene in quest’ultimo caso non fosse menzionata l’arma chiamata “Zyklon B”. Ma, come il rinomato giornale israeliano Haaretz proclamò orgogliosamente il 7 Aprile 2003:

“La guerra in Iraq è stata ideata da 25 intellettuali neoconservatori, la maggior parte dei quali ebrei, che stanno spingendo il Presidente Bush a cambiare il corso della storia”.

E proprio recentemente, il 21 Maggio 2004, il senatore Fritz Hollings ha orgogliosamente proclamato che questa guerra, naturalmente, è stata combattuta per Israele e per nient’altro. Perché, come tutti sappiamo, gli ebrei israeliani meritano una protezione preventiva dall’annientamento mediante armi di distruzione di massa – che sia lo Zyklon B oppure no, che siano armi inventate oppure no…

Solo con questi argomenti a disposizione, messi per iscritto sulla quarta di copertina di un libro che neanche tocca direttamente l’argomento scottante dell’Olocausto, potete uscir fuori e aprire la mente della gente, per far notare loro che forse non proprio tutte le dicerie riferite agli eventi accaduti tra il 1941 e il 1945 sono vere. Forse, dopotutto c’è una possibilità che le cose siano state deformate, distorte, esagerate, inventate. E se la gente ammette questa possibilità, sarà sufficientemente aperta per leggere da sé, nelle nostre pubblicazioni specialistiche – tutte peraltro accessibili su internet – chi è che dispone degli argomenti migliori.

Vi ringrazio per la vostra attenzione.

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://forum.codoh.com/viewtopic.php?t=1123